Abusi edilizi, le disposizioni nazionali prevalgono sempre su quelle regionali
di Redazione tecnica - 11/08/2022
La chiusura di uno spazio con una veranda o la realizzazione di una tettoia costituiscono la creazione di un nuovo volume e necessitano di permesso di costruire, anche se una norma regionale deroga a questo principio.
Abusi edilizi e norme contrastanti, la sentenza della Cassazione
La conferma arriva dalla Corte di Cassazione , con la sentenza n. 30426/2022 della III sez. Penale, con la quale ha ritenuto inammissibile il ricorso del responsabile di diversi abusi edilizi, condannato già per i reati di cui agli articoli 44 e 95 del D.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) e 181 del D.Lgs. n. 42/2004 (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio), per opere realizzate senza alcun titolo abilitativo in zona a rischio sismico e soggetta a vincolo paesaggistico.
Secondo la parte ricorrente, sia il giudice amministrativo che il giudice d'appello non avrebbero ritenuto, erroneamente, di potere applicare l'art. 20 della l.r. Sicilia n. 4/2003, che consente di realizzare tettoie e verande senza permesso di costruire purché non superino i 50 metri quadrati e siano strutture precarie (del genere tettoie, pensiline, gazebo).
Il contrasto tra la l.r. Sicilia e il Testo Unico Edilizia
Già il TAR aveva espresso parere negativo, qualificando la struttura come un pergolato a struttura chiusa che amplia la volumetria, soggetta a preventivo parere degli organi addetti alla tutela del paesaggio e non sanabile. Pertanto, le opere erano abusive in quanto creavano ampliamento di volumi in zone sottoposte a vincolo sismico e paesaggistico, diversamente da quanto sostenuto dalla parte ricorrente per cui l'edificazione di una tettoia aperta su due lati, ai sensi della normativa regionale, non crea aumento di volumetria e non determina alcuna lesione dell'interesse protetto, sia sotto il profilo dell'ordinato assetto del territorio che del bene paesaggistico.
Secondo gli ermellini, nel caso in esame non è possibile invocare l'art. 167 D. Lgs. n. 42/2004 il quale prevede la possibilità di una valutazione postuma della compatibilità paesaggistica solo per alcuni interventi definibili come "minori". Le opere infatti rappresentano abusi realizzati in zona sismica, sottoposta a vincolo, non qualificabili come minori, considerato che, come riportato dal giudice "l'attività edilizia in zona sottoposta a vincolo sismico e paesaggistico ha comportato una apprezzabile trasformazione urbanistica e edilizia del territorio, sì da necessitare il preventivo permesso di costruire".."
Si tratta infatti di una nuova costruzione, con la creazione di volumi fuori terra non assentiti, in zona sismica, senza il preventivo avviso al Sindaco e all'ufficio del Genio Civile e sottoposta a vincolo paesaggistico.
Non solo il permesso di costruire non poteva essere concesso considerato che non vi era corrispondenza tra i lavori autorizzati dal Comune e quanto effettivamente realizzato, ma la presenza del vincolo paesaggistico costituiva anche un insormontabile ostacolo al rilascio del permesso di costruire in sanatoria, oltre a quello, appena evidenziato, dell'assenza del requisito della doppia conformità. Infatti, un eventuale permesso di costruire in sanatoria sarebbe stato comunque subordinato al conseguimento dell'autorizzazione paesaggistica ex art. 146 d.lgs. 42/2004, che costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico - edilizio.
Infine, fondamentale l’indicazione condivisa dalla giurisprudenza in materia urbanistica, per cui le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali stabiliti dalla legislazione nazionale, e conseguentemente devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi.
Il problema nasce proprio dalla deroga che la legge regionale Sicilia n. 4/2003 all’art. 20 appone alla realizzazione di verande e coperture: già la Cassazione ha stabilito con precedenti sentenze che per tali strutture è necessario il permesso di costruire, ai sensi degli artt. 3, 10 e 31 del T.U. dell’Edilizia, essendo tali disposizioni destinate a prevalere sulla disciplina regionale per cui invece questi manufatti non sarebbero soggetti a concessioni e/o autorizzazioni né sono considerate aumento di superficie utile o di volume né modifica della sagoma della costruzione.
Infine non è neanche applicabile il giudizio di tenuità del fatto: sul punto, la Cassazione ricorda che, ai fini della applicabilità dell'art. 131-bis cod. pen. nelle ipotesi di violazioni urbanistiche e paesaggistiche, la consistenza dell'intervento abusivo - data da tipologia, dimensioni e caratteristiche costruttive - costituisce solo uno dei parametri di valutazione, e assumono rilievo anche altri elementi quali, ad esempio, la destinazione dell'immobile, l'incidenza sul carico urbanistico, l'eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici e l'impossibilità di sanatoria, il mancato rispetto di vincoli e la conseguente violazione di più disposizioni, l'eventuale collegamento dell'opera abusiva con interventi preesistenti, la totale assenza di titolo abilitativo o il grado di difformità dallo stesso, il rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dall'amministrazione competente, le modalità di esecuzione dell'intervento.
In questo caso si ravvisa una significativa consistenza delle opere abusive realizzate e una motivazione congrua, tale da legittimare la decisione del giudice di merito.
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