Abusi edilizi in zona vincolata: niente doppia conformità
di Redazione tecnica - 17/10/2023
La realizzazione di nuovi volumi e superfici in zona vincolata, in assenza di permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica non può che configurare un abuso edilizio, per altro insanabile ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 (c.d. “doppia conformità”).
Nuova costruzione in zona vincolata: niente autorizzazione paesaggistica postuma
È un concentrato di giurisprudenza amministrativa sul tema, la sentenza del 9 ottobre 2023, n. 8806, con cui il Consiglio di Stato ha respinto l’appello proposto conmtro un oridne di demolizione ingiunto da un’Aministrazione su alcune opere realizzate senza titolo abilitativo e in area vincolata determinanti incremento volumetrico, consistenti:
- nella realizzazione di una struttura in legno e relativa copertura;
- nella realizzazione di una struttura in metallo congiunta alla predetta tettoia;
- nella chiusura pressoché integrale di un preesistente porticato.
Abusi edilizi: nessun termine all'esercizio del potere repressivo della PA
Già in primo grado il TAR aveva respinto il ricorso, ritenendo irrilevante la circostanza per cui l’opera in questione fosse già ultimata da tempo, sull’assunto che l’art. 27 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) non lascia desumere alcun termine per l’esercizio del potere repressivo, considerata altresì la sua inesauribilità in quanto connesso alla doverosa e permanente cura dell’interesse pubblico.
Per altro, data la consistenza delle opere realizzate, che avrebbe necessariamente imposto il previo rilascio del permesso di costruire, l’atto adottato aveva carattere vincolato, considerata la sussistenza in re ipsa dell’interesse alla rimozione dell’abuso. Da questo punto di vista, andava esclusa la poossibilità del ricorso alla sanzione pecuniaria, o che vi fosse un onere a carico del Comune di valutare la sanabilità delle opere.
La sentenza del Consiglio di Stato
Il Consiglio ha confermato la decisione di primo grado su tutti i fronti, richiamando i consolidati orientamenti della giurisprudenza su diversi aspetti legati al tema degli abusi edilizi.
In primo luogo, la natura vincolata delle determinazioni in materia di abusi edilizi e, quindi, anche delle determinazioni di sanatoria, che esclude la possibilità di apporti partecipativi dei soggetti interessati e di un obbligo di previa comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della relativa domanda. Questo anche in applicazione dell'articolo 21-octies, comma 2, primo periodo, della legge n. 241/1990, secondo cui il mancato preavviso di diniego non produce effetti vizianti ove l'Amministrazione non avrebbe comunque potuto emanare provvedimenti diversi da quelli in concreto adottati.
L’ordine di demolizione era infatti necessario dato che:
- gli interventi realizzati dall’appellante, per caratteristiche, dimensioni e destinazione, erano certamente qualificabili come interventi di nuova costruzione ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera e) del d.P.R. 380/2001 e, in quanto tali, idonei ad alterare in modo stabile e significativo lo stato dei luoghi;
- per tali interventi sarebbe stata necessaria (quand’anche rilasciabile) la previa adozione di un permesso di costruire e che la mancata previa acquisizione di tale – necessario – titolo giustificava di per sé l’adozione del provvedimento ripristinatorio ai sensi degli articoli 27 e 31 del d.P.R. n. 380/2001;
- l’intervento in questione ricadeva in area assoggettata a vincolo paesaggistico vietando “qualsiasi intervento che comporti incremento dei volumi esistenti”.
Il provvedimento demolitorio si fondava quindi su una pluralità di ragioni ostative (e, in particolare, sull’assenza di un qualunque titolo edilizio, sulla rilevante consistenza della nuova volumetria realizzata – circa 230 mc -, nonché sulla contrarietà con il vincolo paesaggistico esistente sull’area e con il divieto di incremento volumetrico posto dal P.T.P.).
Anche in questo caso si è richiamato un orientamento consolidato, che secondo cui a fronte di provvedimenti di segno negativo di carattere plurimotivato, è sufficiente che una sola di tali ragioni resista alle censure, perché il provvedimento nel suo complesso non sia suscettibile di annullamento.
Il tempo non estingue l'abuso e non può determinare legittimo affidamento nel privato
Altro elemento più volte ribadito in giurisprudenza, il fatto che l'ingiunzione di demolizione di un abuso edilizio sia stata adottata dopo lungo tempo dalla commissione dell'abuso non è pretesto per richiedere una motivazione rafforzata, dato che essa può basarsi anche solo sulla necessità di ripristinare la legalità violata dalla commissione dell'abuso edilizio.
Sul punto, Palazzo Spada spiega che il lasso di tempo che fa sorgere in capo alla pubblica amministrazione l'onere di una motivazione rafforzata per l'ingiunzione di demolizione di opera edilizia abusivamente realizzata, non è quello che intercorre tra il compimento dell'abuso e il provvedimento sanzionatorio, ma tra la conoscenza da parte dell'amministrazione dell'abuso e il provvedimento sanzionatorio adottato, con la conseguenza che, in mancanza di conoscenza dell'illecito da parte dell'amministrazione, non può consolidarsi in capo al privato alcun affidamento giuridicamente apprezzabile, il cui sacrificio meriti di essere adeguatamente considerato in sede motivazionale.
In questo caso non può affermarsi che fosse stato superato tale ragionevole lasso di tempo, considerato che il provvedimento di demolizione era stato emanato meno di un mese dopo dall'acertamento degli abusi.
Per altro, per quanto riguara il termine di ultimazione delle opere, il Consiglio ha richiamato il consolidato orientamento secondo cui ricade sul privato l'onere della prova dell'ultimazione entro una certa data di un'opera edilizia abusiva, allo scopo di dimostrare che essa rientra fra quelle per le quali si può ottenere una sanatoria speciale ovvero ad altri fini giuridicamente rilevanti, quali quelli qui invocati. In questo caso non è stato fornito alcun indizio utile a individuare il termine temporale di verosimile realizzazione dell’abuso.
Accertamento di conformità e abusi edilizi in zona vincolata: no ad autorizzazione paesaggistica postuma
Infine gli interventi realizzati, per consistenza e natura oggettiva erano idonei a determinare una nuova e maggiore volumetria in un’area del territorio comunale in cui tale incremento, semplicemente, non era ammesso. Per altro, considerati i vincoli esistenti nell’area, l’eventuale (ma improbabile) rilascio di un titolo edilizio avrebbe comunque richiesto il previo rilascio di un’autorizzazione paesaggistica, nel caso in esame mai rilasciata, né richiesta.
È noto al riguardo che, fatta eccezione per le limitate ipotesi previste dal comma 4 dell'art. 167 del d.Lgs. n. 42/2004 (“4. L'autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi: a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b) per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica; c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380”), in presenza di un vincolo paesaggistico è precluso il rilascio del permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell’articolo 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 (accertamento di conformità), considerato il divieto di autorizzazione paesaggistica postuma previsto dall' articolo 146 dello stesso Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio.
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