Abusi edilizi: intervento va valutato nel suo complesso
di Redazione tecnica - 03/04/2024
La valutazione di un abuso edilizio dev’essere conseguita tenendo conto dell’immobile o del complesso immobiliare nella sua interezza, in quanto il frazionamento dei singoli interventi non consentirebbe di avere una visione totale dell’impatto che l’opera produce sull’assetto territoriale.
Il pregiudizio arrecato al luogo infatti non deriva dai lavori presi separatamente, ma dall’insieme delle opere reputate nel loro contestuale impatto edilizio, nonché dalle reciproche interazioni generate.
Abuso edilizio: necessario tener conto della consistenza
A ribadirlo è il Consiglio di Stato con la sentenza dell’11 marzo 2024, n. 2321, con cui ha confermato la legittimità del provvedimento di diniego dell’istanza di sanatoria relativa ad alcune opere abusive realizzate senza titoli che, secondo la ricorrente, avrebbero dovuto essere valutate singolarmente, apprezzandone così la lieve entità.
Seguendo anche un’ormai consolidata giurisprudenza, l’Amministrazione comunale è invece tenuta a valutare l’abuso edilizio in maniera complessiva e non atomistica; ciò in modo da poter compiere una corretta qualificazione unitaria degli interventi e, chiaramente, al fine di evitare i tentativi di elusione dei limiti imposti per il rilascio del permesso in sanatoria.
Qualificazione interventi edilizi: gli elementi da considerare
I giudici di Palazzo Spada hanno quindi ritenuto corretta la descrizione e la qualificazione degli interventi condotte dal Comune, secondo cui erano irrealizzabili le opere oggetto della richiesta di sanatoria, consistenti nella realizzazione senza titoli e in area sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta di:
- un locale coperto di circa 16 mq per la collocazione di impianti;
- una copertura per scala in muratura e intercapedine;
- una pavimentazione esterna in pietra di 53 mq.
Le prime due opere non sono qualificabili come meri volumi tecnici perché trattasi di strutture chiuse che, vista la consistenza, godono di una propria autonomia funzionale (anche solo potenziale) e hanno inoltre prodotto un ampliamento del manufatto principale.
I volumi tecnici infatti possono essere esclusi dal calcolo della volumetria solo se non sono chiusi e se occupano una superficie esigua, condizioni non riscontrabili nel caso in esame.
Analogo ragionamento viene fatto per la pavimentazione esterna, opera che può essere realizzata in regime di edilizia libera solo se la sua consistenza irrisoria produce un impatto ritenuto irrilevante dal punto di vista urbanistico ed edilizio.
Nuovo volume equivale a nuova costruzione
In virtù di quanto detto - e ribadendo l’impossibilità di considerare gli abusi edilizi in maniera frazionata - si attesta che le opere realizzate non sono qualificabili come locali accessori, né come interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico o di restauro conservativo.
Si tratta bensì di strutture che hanno prodotto nuovi volume e superficie e che hanno alterato in maniera significativa lo stato dei luoghi, potendo essere qualificate dunque solo come “nuove costruzioni”, ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia).
Il Consiglio chiarisce peraltro che, oltre all’obbligo del permesso di costruire, nel caso in questione il soggetto avrebbe dovuto ottenere anche un’apposita autorizzazione paesaggistica per procedere con i lavori, in quanto le opere sono ubicate in un’area sottoposta a vincoli ai sensi del D.lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio). In base a quanto disposto dal Piano regolatore comunale, l'area era classificata come “Zona speciale di vincolo visivo” dove, ai fini di tutela del paesaggio, è vietata la realizzazione di qualsiasi tipo di edificazione, pubblica o privata, a maggior ragione se comporta la creazione di nuovo volume.
Tutte motivazioni per cui il ricorso è stato respinto, confermando la piena legittimità del diniego di sanatoria.
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