Abusi edilizi: niente condono senza data certa di ultimazione lavori

di Redazione tecnica - 06/02/2024

La normativa, in tema di abusi edilizi, prevede la possibilità di sanatoria per i c.d. abusi "formali”, ovvero di opere eseguite in assenza di titolo edilizio e che, tramite istanza di accertamento di conformità, ottengono il titolo in sanatoria qualora l’abuso commesso sia conforme sia alla normativa vigente al momento della sua realizzazione, che al momento della presentazione dell’istanza.

Capitolo a parte è invece quello che riguarda la sanatoria di “abusi sostanziali”, ovvero di opere eseguite:

  • senza licenza, concessione edilizia o autorizzazione a costruire prescritte da norme di legge o di regolamento, oppure in difformità dalle stesse;
  • in base a licenza o concessione edilizia o autorizzazione annullata, decaduta o comunque divenuta inefficace, oppure verso cui sia in corso procedimento di annullamento o di declaratoria di decadenza in sede giudiziaria o amministrativa.

Condono edilizio: le norme e i termini per chiedere la sanatoria

Si tratta di interventi sui quali il legislatore è intervenuto con la speciale normativa condonistica, declinata in 3 distinte leggi che si sono succedute nell’arco di poco meno di vent’anni, ciascuna con condizioni differenti, una delle quali la data di ultimazione delle opere:

  • la Legge 28 febbraio 1985, n. 47 (c.d. “Primo Condono Edilizio”), relativa a opere ultimate entro l'1 ottobre 1983 (art. 31) e con istanza presentata al Comune entro il termine del 30 novembre 1985 (art. 35) successivamente prorogata;
  • la legge 23 dicembre 1994, n. 724 (c.d. “Secondo Condono Edilizio”), che ha permesso di sanare opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993, senza ampliamenti superiori al 30% della volumetria della costruzione originaria ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale, un ampliamento superiore a 750 metri cubi; sanatoria valida anche nuove costruzioni non superiori ai 750 metri cubi per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria;
  • la Legge 24 novembre 2003, n. 326 ("Terzo Condono Edilizio") che ha riaperto i termini per opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003, che non abbiano comportato un ampliamento del manufatto superiore al 30% della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a 750 metri cubi o la realizzazione di nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 metri cubi per singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria, a condizione che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3.000 metri cubi.

Data di ultimazione lavori: l'onere della prova

La data di ultimazione delle opere rappresenta quindi condizione fondamentale per ottenere la sanatoria e spetta al proprietario provare che il manufatto fosse stato ultimato entro i termini previsti. Fatto che non si è verificato nel caso recentemente affrontato dal Consiglio di Stato con la sentenza del 26 gennaio 2024, n. 853, con cui ha confermato il diniego di condono ex l. n. 326/2003 per due unità abitative realizzate probabilmente oltre il termine ultimo previsto dalla norma.

Nel dettaglio, la sanatoria era stata negata in quanto:

  • a) non vi era la prova che l’opera fosse stata ultimata entro il termine di legge del 31 marzo 2003;
  • b) in ogni caso l’abuso eccedeva quantitativamente il limite di 3000 mc di volumetria condonabile.

Il proprietario infatti non aveva presentato la prova della conclusione dei lavori entro il termine ultimo del 31 marzo 2003, considerato che da un’aerofotogrammetria del luglio 2003 le unità immobiliari non risultavano esistenti.

Una tesi avallata dal Consiglio di Stato: per giurisprudenza consolidata, grava sul richiedente l’onere di provare l’esistenza dei presupposti per il rilascio del provvedimento di sanatoria, tra cui, in primis, la data dell’abuso. Solo il privato può, infatti, fornire, in quanto ordinariamente ne dispone, inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione dell’abuso, mentre l’amministrazione non può materialmente accertare quale fosse la situazione all’interno del suo territorio.

Nel caso di specie, l’interessato non ha fornito alcun elemento idoneo a smentire quanto emergente dalla documentazione agli atti del comune e non assurgono a prova della realizzazione dei manufatti residenziali né la concessione edilizia che ha per oggetto la costruzione di un magazzino agricolo, né la circostanza che all’epoca del rilievo aerofotogrammetrico il fabbricato fosse occultato da rigogliosa vegetazione che lo sovrastava.

Correttamente, conclude Palazzo Spada, il giudice di primo grado ha quindi ritenuto legittimo il diniego, a prescindere dall’ulteriore profilo afferente al superamento della volumetria condonabile, poiché la mancata realizzazione delle opere entro il termine di legge, che era onere del richiedente dimostrare, costituisce di per sé circostanza ostativa al condono.

 



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