Abusi edilizi, pertinenze e vincolo paesaggistico: interviene il Consiglio di Stato
06/06/2023
Quando si parla di interventi edilizi occorre sempre fare attenzione. Il d.P.R. n. 380 del 2001 (Testo Unico Edilizia), il D.Lgs. n. 222/2016 e il D.M. 2 marzo 2018 forniscono un elenco degli interventi che si possono realizzare senza permesso di costruire (PdC), segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) o comunicazione di inizio lavori asseverata (SCIA).
Edilizia libera e vincoli
In questi casi si parla di “edilizia libera” ma l’art. 6 del T.U. Edilizia, nel definire questo regime, prescrive sempre il rispetto:
- degli strumenti urbanistici comunali;
- delle altre normative di settore aventi incidenza sulla
disciplina dell’attività edilizia ovvero quelle:
- antisismiche;
- di sicurezza;
- antincendio;
- igienico-sanitarie;
- relative all’efficienza energetica;
- di tutela dal rischio idrogeologico;
- contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio.
È così che anche un “banalissimo” intervento che prevede l’istallazione di una pergotenda (tipico intervento di edilizia libera sui quali abbiamo registrato fiumi di giurisprudenza) potrebbe risultare illegittimo perché eseguito in assenza di autorizzazione paesaggistiche in quanto presente un vincolo.
Gli interventi pertinenziali e i vincoli paesaggistici
Medesime considerazioni possono essere fatte per gli interventi “pertinenziali” sui quali è intervenuto il Consiglio di Stato con la sentenza 5 giugno 2023, n. 5454 che ci consente di approfondire l’argomento. Nel caso di specie viene contestata un’ordinanza di demolizione che era stata confermata dai giudici di primo grado.
In primo grado il ricorrente aveva contestato l’ordinanza di ingiunzione di demolizione adducendo i seguenti motivi:
- violazione e falsa applicazione degli articoli 3 e 7 della legge n. 241 del 1990 per omessa comunicazione di avvio del procedimento e lesione dei suoi diritti partecipativi;
- eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione, carenza d’istruttoria, sviamento e difetto dei presupposti per omessa indicazione delle prevalenti ragioni di interesse pubblico a rimuovere un’opera di natura meramente pertinenziale;
- violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del d.P.R. 380 del 2001 ed eccesso di potere per carenza d’istruttoria per omessa verifica circa la possibile sanatoria dell’intervento ex art. 37 d.P.R. n. 380 del 2001.
Motivazioni puntualmente respinte dal TAR ritenendo:
- che il territorio dove è stato realizzato l’intervento è soggetto a vincolo paesaggistico e che pertanto gli interventi non conservativi, comprendenti anche quelli di natura pertinenziale, sono soggetti al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica ex art. 146 d.lgs. n. 42 del 2004;
- che il Comune correttamente ha ritenuto che l’intervento, comportante un aumento di volume e di superficie utile nonché una modifica della sagoma dell’edificio, necessitasse del rilascio del permesso di costruire ex art. 10, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001 e del parere di compatibilità paesaggistica ex art. 46 d.lgs. n. 42 del 2004;
- che la natura vincolata del potere di vigilanza e repressione degli abusi consente di omettere la comunicazione di avvio del procedimento prescritta dall’art. 7 della legge n. 241 del 1990, non determinando gli effetti invalidanti di cui all’art. 21 octies l. n. 241 del 1990. La stessa natura vincolata esclude valutazioni comparative tra l’interesse del privato e l’interesse pubblico;
- che l’accertamento della conformità dell’opera al regime urbanistico non costituisce un onere della p.a. e che la pendenza dell’istanza di parte non produce alcun effetto sospensivo dell’efficacia dell’ordine di demolizione.
Le conferme del Consiglio di Stato
Le contestazioni in Consiglio di Stato hanno ricalcato sostanzialmente quelle del primo grado di giudizio con risultati similari. L’appellante ha, infatti, ribadito:
- che, diversamente da quanto ritenuto dal Giudice di primo grado, la comunicazione di avvio del procedimento, nella specie omessa, sarebbe stata utile in presenza di due sanzioni irrogabili. La natura vincolata del provvedimento, infatti, non escluderebbe la discrezionalità dell’amministrazione che potrebbe applicare la più lieve sanzione pecuniaria di cui all’art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001, in via alternativa all’ ingiunzione di demolizione. Nel caso di specie, si sarebbe in presenza di un volume e di una superficie già delineati prima dell’esecuzione dell’intervento di natura pertinenziale, in relazione al quale l’art. 3, primo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede, in caso di aumento della superficie inferiore al 20% dell’edificio principale, l’irrogazione di una sanzione pecuniaria.
- il TAR avrebbe errato nel non rilevare il difetto di motivazione e di comparazione tra interesse pubblico e privato, alla luce del sacrificio che l’ingiunzione di demolizione comporta per il privato destinatario;
- contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, l’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 impone un preventivo onere di valutazione della sanabilità dell’opera, incorrendo in alternativa nella violazione dell’art. 97 Cost. e dell’art. 1 della l. n. 241 del 1990. In ogni caso, la successiva presentazione dell’istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 renderebbe il gravame improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, determinando così l’erroneità della sentenza sotto altro profilo.
Abusi edilizi, vincolo paesaggistico e pertinenze
Preliminarmente il Consiglio di Stato ha confermato che il Comune dove è stato realizzato l’intervento è soggetto alla disciplina di tutela paesaggistica di cui al d.lgs. n. 42 del 2004, alla luce del quale gli interventi edilizi non meramente conservativi sono subordinati al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica ex art. 146 d.lgs. n. 42 del 2004.
Ciò premesso, esiste una costante giurisprudenza per la quale l'attività di repressione degli abusi edilizi, attraverso l'ordinanza di demolizione, avendo natura vincolata, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, dovendo considerarsi che la partecipazione del privato al procedimento comunque non potrebbe determinare alcun esito diverso.
La suddetta natura vincolata del potere di repressione degli abusi riguarda anche le sanzioni in astratto applicabili, non trovando spazio l’esercizio di una scelta discrezionale dell’Amministrazione e di conseguenza la necessità di coinvolgimento del privato.
Oltretutto, secondo il Consiglio di Stato il ricorso non coglie nel segno interpretando gli artt. 22 e 37 del d.P.R. n. 380/2001 come se, in caso di abuso edilizio, la sanzione pecuniaria sia limitata ai soli interventi realizzabili astrattamente, previa denuncia d'inizio attività, che siano anche conformi agli strumenti urbanistici vigenti.
Nel caso di specie siamo di fronte ad opere abusive realizzate in zona sottoposta a vincolo paesistico, le quali richiedono una preventiva autorizzazione paesaggistica, indipendentemente dalla natura pertinenziale.
Secondo Palazzo Spada, ove gli interventi edilizi ricadano in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, stante l'alterazione dell'aspetto esteriore, gli stessi risultano soggetti alla previa acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica, con la conseguenza che, quand'anche si ritenessero le opere pertinenziali o precarie e, quindi, assentibili con mera DIA, l'applicazione della sanzione demolitoria è, comunque, doverosa ove non sia stata ottenuta alcuna autorizzazione paesistica.
La ratio è quella di precludere qualsiasi forma di legittimazione del fatto compiuto, in quanto l'esame di compatibilità paesaggistica deve sempre precedere la realizzazione dell'intervento.
L’ordine di demolizione: natura e accertamento di conformità
Da quanto osservato consegue, sotto il profilo sostanziale, che il provvedimento con cui viene ingiunta la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse.
Parte appellante ha censurato la sentenza di primo grado sotto un duplice aspetto:
- nella parte in cui afferma che l’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 non impone un onere per l’Amministrazione di valutare la possibilità di sanatoria degli interventi realizzati;
- nella parte in cui non dispone ex art. 35 c.p.a. l’improcedibilità del ricorso per aver parte appellante presentato successiva istanza di accertamento di conformità ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001.
Il Consiglio di Stato ha confermato la tesi del TAR che ha affermato che “l’accertamento della conformità dell’opera al regime edilizio urbanistico e di tutela paesaggistica non costituisce un onere della p.a. - che al contrario è tenuta a reprimere gli abusi - ma è rimesso all’istanza di parte la cui pendenza, incidentalmente allegata dal ricorrente, non produce alcun effetto sospensivo dell’efficacia dell’ordine di demolizione”. Dunque l'Amministrazione, in sede di irrogazione della sanzione demolitoria, non deve ritenersi onerata di valutare preventivamente la possibilità che l'abuso sia sanabile anche perché la sanatoria richiede la domanda dell’interessato.
Quanto alla successiva presentazione dell'istanza di accertamento di conformità, è ormai pacifico ritenere che la presentazione di un'istanza di sanatoria non comporta l'improcedibilità del ricorso proposto contro l'ordinanza di demolizione delle opere abusive, ma soltanto un arresto temporaneo dell'efficacia della misura repressiva, fino a definizione della istanza di sanatoria.
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