Abusi edilizi: quando la pergotenda in realtà è una veranda
di Redazione tecnica - 21/09/2021
Pergotenda, veranda e tettoia: le parole magiche dietro cui spesso si mascherano abusi edilizi in aree esterne come terrazzi e spazi adiacenti ad attività commerciali, spesso fornite di regolare permesso di occupazione di suolo pubblico. L’autorizzazione a mettere sedie e tavolini non significa però che intorno si possa realizzare quella che va qualificata come “nuova costruzione” e quindi struttura soggetta a permesso di costruire.
Abusi edilizi, pergotenda e veranda: nuovo intervento del TAR
Ce lo ricorda ancora una volta il TAR Liguria (Seconda Sezione) con la sentenza n. 408/2021. Nel caso in esame, un ristorante aveva realizzato una struttura esterna di circa 25 mq, adiacente al locale, con base di legno e tamponature in alluminio, dotate di vetrate scorrevoli. Proprio per le sue caratteristiche, l’Amministrazione comunale l’ha definita come nuova costruzione sprovvista di titolo abilitativo e ne ha ordinato la demolizione.
Il proprietario del ristorante ha quindi presentato ricorso contro tale ingiunzione di demolizione, facendo presente che la struttura non sarebbe un organismo edilizio autonomo né comporterebbe una trasformazione permanente del territorio, ma dovrebbe piuttosto essere considerata una struttura precaria o, al più, una pertinenza del ristorante. Non solo: l’opera sarebbe conforme ai titoli con cui è stata autorizzata a occupare il suolo pubblico.
I motivi della sentenza: i materiali per l'edilizia libera
Nel motivare la sentenza, il TAR ha quindi precisato che l’attività edilizia libera riguarda manufatti leggeri diretti a soddisfare esigenze temporanee. In questa fattispecie rientra proprio la cosiddetta “pergotenda”, che ha le seguenti caratteristiche:
- tenda munita di una struttura di supporto, in quanto l’opera principale è costituita, appunto, dalla “tenda” quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici;
- la struttura rappresenta un mero elemento accessorio;
- gli elementi di copertura e di chiusura devono essere in materiale plastico o in tessuto, comunque privi di quelle caratteristiche di consistenza e rilevanza che possano connotarlo in termini di componenti edilizie di copertura o di tamponatura di una costruzione.
In questo caso, i materiali utilizzati (alluminio e vetro per i lati, legno per la base), la chiusura dello spazio su tutti i lati e il fatto che l’accesso avvenga dalle vetrate scorrevoli, sono tutti elementi che conducono a escludere che la struttura rappresenti un mero accessorio rispetto alla tenda e a ritenere piuttosto che essa sia volta a chiudere stabilmente lo spazio, aumentando la superficie e il volume utilizzabili per l’attività di ristorazione, e configurandosi così quale organismo edilizio autonomo e non pertinenziale.
Non di pergotenda dunque si tratta, ma di veranda, adiacente il ristorante, che necessita di apposito titolo edilizio.
Il tempo non rende legittimo un abuso
Infine, la ricorrente lamenta una violazione del proprio affidamento nella legittimità dell’opera, considerato il tempo trascorso dalla sua realizzazione, risalente al 2002. Il TAR ha quindi ricordato che, a prescindere dalla data di costruzione del manufatto è ormai consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui il mero decorso del tempo dalla commissione dell’abuso non può far divenire legittima un’edificazione senza titolo, che è fin dall’origine illegittima, né può radicare un affidamento di carattere “legittimo” in capo al privato (Cons. St., Ad. Plen., sent. n. 9 del 2017 e, più di recente, sez. VI, sent. n. 1552 del 2021). In conclusione, l’ordine di ripristino dei luoghi allo stato autorizzato, emesso ai sensi dell’art. 31 del DPR n. 380 del 2001, è immune dai vizi denunciati con il ricorso.
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