Abusi edilizi e sanzione alternativa alla demolizione: come si calcola?
di Redazione tecnica - 25/06/2021
Il DPR n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) dedica un intero titolo (il IV) alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, responsabilità e sanzioni. Benché molte delle disposizioni previste abbiano ormai superato la maggiore età, sono ancora tanti gli interventi della giustizia sugli effetti di un abuso edilizio.
Abusi edilizi: demolizione o sanzione?
Nel caso di interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire l'art. 34 del testo unico edilizia offre all'amministrazione una duplice possibilità:
- ordinanza di demolizione a spese del responsabile degli abusi entro un termine congruo dopo il quale è l'amministrazione a provvedere alla rimozione con spese a carico dei medesimi responsabili dell'abuso;
- sanzione alternativa quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità.
Come si calcola questa sanzione alternativa lo spiega il comma 2 dello stesso articolo 34 che parla di "sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale".
Abusi edilizi e sanzione alternativa alla demolizione: nuova sentenza del Consiglio di Stato
L'argomento è stato, però, oggetto di diverse sentenze come l'ultima del Consiglio di Stato, n. 4463 del 10 giugno 2021, n. 4463, che ci consente di fare il punto.
Nel nuovo caso sottoposto ai giudici di Palazzo Spada, il ricorrente è un Comune contro la decisione del TAR relativa all’irrogazione della sanzione pecuniaria per interventi eseguiti in parziale difformità del permesso di costruire.
In primo grado, il ricorrente proprietario di un immobile, a seguito di trattative per l’alienazione di detto bene che aveva ricevuto per successione, ebbe notizia che quest’ultimo fosse più grande e con maggiore superficie utile lorda rispetto a quanto rappresentato nel progetto autorizzato a suo tempo dal Comune.
Per questo motivo, al fine di regolarizzare l'abuso e rendere il bene commerciabile, il proprietario chiede al Comune l’applicazione della misura sanzionatoria sostitutiva prevista all'art. 34, comma 2 del Testo Unico Edilizia, per l’impossibilità di rimuoverne le difformità senza intaccare la parte regolare. Il Comune eroga quindi una sanzione pari a € 71.178,12, con riferimento al momento dell’adozione della sanzione ed utilizzando come parametri l’aggiornamento del costo di costruzione e del costo base di produzione di cui alla delibera del Consiglio comunale n. 82 del 19 dicembre 2015, attuativa dell’art. 15 della l. 27 luglio 1978 n. 392.
Il proprietario ricorre, quindi, al TAR, ritenendo abnorme ed erronea la liquidazione di tale sanzione ed illegittimi i parametri assunti, chiedendo:
- l’obbligo del Comune di calcolare il costo di produzione con riguardo al momento dell’abuso e non al tempo della sanzione e con l’applicazione del costo base per le costruzioni ultimate entro il 31 dicembre 1975 ai sensi dell’art. 14 della legge n. 392/1978 (£ 250.000);
- l'applicazione di parametri di calcolo più favorevoli di cui alla delibera consiliare n. 39 del 19 luglio 2011 ed il coefficiente d’abbattimento di 0,60 (scadente, anziché mediocre), più congruente con lo stato qualitativo dell’edificio.
Il TAR accoglie il ricorso riguardo all’impossibilità d’applicare al caso in esame i parametri di calcolo della delibera n. 82 del 2015 per il costo di costruzione di produzione attualizzati (nuovi fabbricati) ad un edificio agibile fin dal 1971 che avrebbe comportato importi superiori al valore venale di esso. Il TAR rimanda il ricalcolo al Comune previa individuazione in contraddittorio con le ricorrenti dell’anno di realizzazione dell’abuso e l’applicabilità o del citato art. 14 (per gli edifici ante 31 dicembre 1975) o dei parametri previsti dal successivo art. 22 (all’attualità) della legge n. 392/1978, se del caso coi coefficienti d’abbattimento di cui agli artt. da 15 a 21.
Il ricorso al Consiglio di Stato
In secondo grado arriva l'appello del Comune che deduce l’erroneità della sentenza di primo grado per:
- aver fatto riferimento non ad un principio di diritto ma ad un orientamento giurisprudenziale diverso da quello che mosse la P.A., non tenendo conto così né della natura dell’abuso come illecito permanente, né della funzione della sanzione pecuniaria come sostitutiva di quella demolitoria;
- non aver colto la natura d’illecito permanente dell'abuso, che ne consente la repressione in ogni tempo (il cui interesse pubblico prevale su ogni interesse privato al mantenimento del manufatto abusivo), con la sanzione vigente al tempo in cui l’illecito è sanzionato e al di là del tempo in cui questo fu commesso;
- la conseguente sicura applicazione della sanzione attuale in coerenza con l’art. 34, comma 2 del DPR n. 380/2001, ché in caso contrario il responsabile dell’abuso avrebbe lucrato tanto più indebito vantaggio, quanto più tardi fosse stato sanzionato (è la logica dell’arricchimento senza causa);
- l’illogicità della motivazione, basata più sul temuto effetto “distorsivo” della sanzione vigente al momento della sua applicazione, che alla natura della sanzione stessa;
- la perplessità del rinvio alla sede del riesame dell’indicazione dell’anno in cui fu commesso l’abuso e delle conseguenti misure, in violazione del principio per cui nella materia edilizia ricade sul privato l’onere della prova in merito alla data di ultimazione delle opere edilizie ritenute abusive.
Il calcolo della sanzione alternativa
Per rispondere al ricorso del Comune, i giudici del Consiglio di Stato premette che non sono in discussione i seguenti principi:
- il dovere del Comune di reprimere in ogni tempo gli abusi in difformità;
- l’onere della prova, che è posto in capo alle sole appellate, sull’ultimazione dell’edificio recante l’accertata difformità, tant’è che non è contestato che tal fabbricato fu reso agibile dal 13 dicembre 1971;
- il carattere sostitutivo della sanzione pecuniaria a quella demolitoria (che ha natura d’eccezione per causa di forza maggiore rispetto all’ordinaria sanzione ripristinatoria).
Secondo i giudici di secondo grado, il tenore letterale del comma 2, art. 34 del DPR n. 380/2001 rende evidente che il calcolo del costo di produzione dell’edificio avvenga in base alle disposizioni della legge n. 392/1978 soltanto. Si tratta d’un rinvio in senso materiale a tal normativa, riferito ad una specifica metodologia di calcolo del costo di produzione degli immobili, al di là ed indipendentemente dall’attuale loro vigenza nella materia delle locazioni urbane. Anzi, il testo unico racchiuso nel DPR n. 380 è ben successivo alla riforma dell’equo canone, ma non ha inteso adeguarsi al nuovo regime ai sensi della legge 9 dicembre 1998 n. 431 né allora, né adesso, nonostante tutte le novelle intervenute nella disciplina dell’edilizia.
Nei casi dell'art. 34, comma 2, la sanzione pecuniaria sostitutiva va calcolata applicando il valore del costo di produzione previsto dagli artt. 14 e 22 della legge n. 392/1978, aggiornato alla data di esecuzione dell'abuso. In tal caso, la sanzione si calcola in base sì ai citati criteri ex legge n. 392/1978, ma con riguardo all'ultimo costo di produzione stabilito dal DM aggiornato, secondo l'indice ISTAT del costo di costruzione, alla data d’esecuzione dell'abuso-
Il criterio di calcolo della sanzione sostitutiva ex art. 34, co. 2 è e resta quello posto per legge ed è inderogabile.
Il caso in esame
Quando, come nel caso in esame in particolare, si deve applicare la sanzione sostitutiva ex art. 34, co. 2 del DPR n. 380/2001, che non prese partito se il calcolo della sanzione dovesse riferirsi al tempo del commesso abuso o a quello dell’irrogata sanzione, la quantificazione è per legge affidata ai parametri di calcolo posti negli articoli da 14 a 22 della l. 392/1978. Essa, pertanto, non è, in tutto o in parte, nella volizione discrezionale del Comune, né nell’identificazione del commesso abuso (il quale, seppur permanente quanto agli effetti, fu consumato nel 1971, ossia alla data del certificato di abitabilità), né in ordine a qual tariffa fosse applicabile in quel preciso momento. Infatti la disciplina rinviata recò pure, all’art. 14, I co., lett. a) della legge n. 392, il criterio di calcolo della sanzione, ancorata al costo base di produzione, alla data d’ultimazione dell’edificio (momento consumativo dell’illecito), che è quello vigente per gli edifici ultimati prima del 1975 e va applicato alla sola superficie utile reale aggiuntiva, cioè quella in effetti abusiva.
In altri termini, il principio dell’attualità della sanzione vige quando non v’è altro che rimuovere l’abuso o la difformità e rimettere in pristino lo stato dei luoghi o, il che è logicamente lo stesso, quando v’è una sanzione edittale predefinita e non ancorabile a parametri mobili o in divenire. Il Comune ha sì la facoltà d’aggiornare le tariffe del costo di costruzione, ma, come tutte le tariffe che s’incorporano in sanzioni amministrative, esse valgono per l’avvenire e non retroagiscono al tempo del commesso abuso. E ciò soprattutto se la fonte primaria sul loro calcolo suddivida il trattamento sanzionatorio degli eventi nel tempo.
Si badi: ciò non viola il principio, sotteso alla sanzione, della repressione dell’illecito arricchimento grazie all’abuso, ma essa va graduata, secondo ragionevole proporzionalità, in base alle regole vigenti del commesso abuso, onde resta ferma la statuizione del TAR, che correttamente rinvia al Comune il preciso calcolo del quantum debeatur dalle appellate. Per questo motivo, l’appello è stato respinto.
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