Accertamento di conformità: il TAR sui presupposti per la sanatoria edilizia

di Redazione tecnica - 13/08/2024

L’accertamento di conformità può essere rilasciato esclusivamente se l’abuso, pur essendo stato realizzato in assenza o in difformità dal titolo edilizio, dovesse risultare compatibile con le prescrizioni urbanistico-edilizie vigenti sia all’epoca della realizzazione dell’illecito sia al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria.

La valutazione dev’essere condotta tenendo conto dell’intervento nella sua interezza, non essendo possibile scindere tra opere in parte sanabili, in parte conseguite in edilizia libera e in parte qualificabili come ante ’67, con riferimento ad un intervento che invece risulta unitario, a maggior ragione se il soggetto interessato non è stato in grado di fornire alcuna prova concreta a sostegno delle proprie tesi.

Accertamento di conformità e ante ‘67: prove a carico dell’interessato

A ribadirlo è il TAR Puglia con la sentenza del 24 giugno 2024, n. 810, con cui ha rigettato il ricorso per l’annullamento dell’ordinanza di demolizione e del silenzio-rigetto formatosi sull’istanza di accertamento di conformità di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia).

Si ricorda, in particolare, che il permesso in sanatoria è concedibile esclusivamente se sia possibile dimostrare che gli interventi sono stati conseguiti in conformità ai regolamenti edilizi e urbanistici vigenti al momento della realizzazione dell’opera e al momento della presentazione dell’istanza.

L’onere di attestare la c.d. doppia conformità necessaria per l’ottenimento della sanatoria ordinaria è interamente a carico del soggetto interessato, che dovrà dimostrare, appunto, la non contrarietà del manufatto abusivo alla disciplina urbanistica.

Nel caso in esame, gli interventi contestati sono stati nello specifico i seguenti:

  1. diversa distribuzione di spazi interni, realizzazione di copertura di circa 13 mq destinato a locale caldaia, mancata realizzazione di un controsolaio sul porticato coperto;
  2. realizzazione di un gazebo in legno, di un deposito attrezzi in legno, e di muretti scoperti adibiti a wc e docce;
  3. realizzazione di un manufatto rurale in pietrame a secco.

Secondo la parte ricorrente i suddetti interventi sarebbero sanabili in quanto:

  • i lavori di cui al punto 1 non avrebbero comportato ampliamenti rilevanti e il locale caldaia sarebbe un mero vano tecnico non computabile nel calcolo della volumetria;
  • gli interventi di cui al punto 2 sarebbero conseguibili in edilizia libera;
  • il manufatto rurale di cui al punto 3 sarebbe un immobile ante ’67.

Conformità edilizia: va riferita all’intero intervento

L’accertamento di conformità ha riguardo all’intervento abusivo nella sua interezza e non alla singola opera abusiva. Difatti, si fa presente, è da escludersi l’ammissibilità di sanatorie parziali o condizionate di opere abusive che abbiano invece dato luogo ad un intervento unitario.

In tali casi, il soggetto interessato è tenuto a scegliere tra la totale demolizione di tutte le opere realizzate oppure la presentazione di un’istanza di sanatoria che sia riferita all’intervento nella sua interezza, non essendo ammissibile richiedere la verifica della conformità in relazione ai singoli abusi.

Ciò posto, dunque, non è possibile ricondurre parte degli interventi al regime dell’edilizia libera, in quanto questi fanno parte di un intervento rilevante e non conseguibile senza titolo.

Si rileva peraltro che gli interventi in questione hanno comportato degli ampliamenti, tenendo conto anche del fatto che i soli volumi tecnici non computabili ai fini del calcolo della volumetria sono quelli:

  • privi di qualsiasi autonomia funzionale, anche solo potenziale, in quanto destinati - esclusivamente e senza possibili alternative - a contenere, per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, impianti a servizio di un immobile principale, per essenziali esigenze tecnico-funzionali dello stesso;
  • non inquadrabili come vani chiusi;
  • di altezza e volume tali da non essere, neanche potenzialmente, suscettibili di abitabilità.

Ante ‘67: in presenza di prove concrete, onere passa al Comune

Il ricorrente non ha fornito alcuna prova concreta che sia idonea a dimostrare la non computabilità del locale tecnico nella volumetria del fabbricato, così come non è stato in grado di attestare che il manufatto rurale sia un immobile ante ’67.

Anche in questo caso, infatti, l’onere probatorio incombe sul soggetto responsabile, che è l’unico che può essere in possesso di inconfutabili atti, documenti o altri elementi in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione del manufatto, al contrario dell’Amministrazione comunale, che non può, di solito, materialmente accertare quale fosse la situazione all’interno del suo territorio prima che fosse introdotto l’obbligo di ottenimento del titolo edilizio.

Affinché le prove fornite dal soggetto siano valide è necessario che siano rigorose e che si fondino su documenti o elementi univoci - attestabili ad esempio mediante aerofotogrammetrie o mappe catastali - non essendo ammissibili a tal fine dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà o semplici dichiarazioni di terzi che non siano obiettivamente verificabili.

Nel caso in cui il soggetto riuscisse ad attestare concretamente la realizzazione del manufatto ante ’67 e, allo stesso tempo, si rilevasse l’inadempienza del Comune circa la mancata considerazione degli elementi probatori e la considerazione, invece, di elementi incerti in proprio possesso, la sanatoria sarebbe ammissibile in virtù del temperamento secondo ragionevolezza.

In tale ottica, pur senza inversione dell’onere della prova, spetterebbe infatti all’Amministrazione fornire elementi contrari idonei a giustificare l’emissione dell’ordine di demolizione.

Di conseguenza, il TAR ha respinto il ricorso, confermando la legittimità dell'operato del Comune in merito al rigetto della sanatoria e all'ordinanza demolitoria, riferita all’intervento nella sua interezza.



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