Agevolazioni prima casa: occhio al computo della superficie utile

di Redazione tecnica - 12/03/2025

Nel calcolo della superficie utile di un immobile, rileva l'utilizzo che si fa degli ambienti e la possibiità di svolgere delle attività proprie della vita quotidiana, a prescindere dalla loro abitabilità in senso giuridico.

Occhio quindi a pensare che non siano superfici utili un piano interrato, solo perché accessibile da una scala esterna, oppure una soffitta perché di altezza inferiore rispetto agli standard di abitabilità, quando si tratta di spazi comunque utilizzati per consentire l'espletamento di tutte le funzioni proprie della vita del “padrone” dell'alloggio.

Agevolazioni prima casa: la Cassazione sugli immobili di lusso

Sulla base di questi principi, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 1° marzo 2025, n. 2503, ha confermato la legittimità della revoca delle agevolazioni prima casa, per un immobile con una superficie superiore ai 240 mq e quindi classificabile come casa di lusso.

L’Agenzia delle Entrate aveva quindi recuperato, ai sensi dell’art. 1, nota II-bis, punto 4, della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986, l’IVA dovuta con interessi e sanzioni, dopo la revoca dell’agevolazione c.d. prima casa (Iva al 4%) fruita per l’acquisto di un immobile per il quale l’Amministrazione riteneva sussistere i requisiti di abitazione di lusso in base ai criteri del D.M. 2 agosto 1969 n. 1072, superando complessivamente i mq 240 di superficie utile.

I ricorrenti avevano proposto ricorso alla CTP per errato computo della superficie utile dell’immobile dell’autorimessa, del piano interrato e della soffitta; la CTP, lo aveva accolto accoglieva specificando che:

  • il piano interrato dell’immobile non era direttamente collegato con la proprietà principale;
  • il secondo piano era una soffitta;
  • l’autorimessa rientrava nella categoria del posto-macchina e non era quindi computabile nel calcolo della superficie utile.

Di diverso avviso la CTR, che invece riteneva corretto il calcolo effettuato dal Fisco.

Da qui il ricorso in Cassazione, in quanto la CTR:

  • avrebbe erroneamente il concetto di “superficie utile complessiva” ai fini della qualificazione di abitazione di lusso;
  • avrebbe fatto coincidere la superficie utile complessiva con i concetti di “superficie calpestabile”, “locali concretamente utilizzabili”, “locali per loro natura al servizio delle restanti parti dell’unità immobiliare”, “locali che contribuivano alla valorizzazione dell’immobile… anche se di altezza inferiore”;
  • avrebbe incluso vani (cantina, sottotetto e posto auto) espressamente esclusi dall’art. 6 a prescindere dalla loro imprescindibile utilità.

Immobile di lusso: criteri di classificazione

Gli ermellini hanno confermato il giudizio di secondo grado: l'art. 6 del D.M Lavori Pubblici n. 1072/1969 definisce abitazione di lusso le singole unità immobiliari che hanno superficie utile complessiva superiore a mq. 240, esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchina.

Per stabilire se un'abitazione sia di lusso e, quindi, sia esclusa dai benefici per l'acquisto della prima casa ai sensi dell'art. 1, Parte I, nota II bis della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131/1986, occorre fare riferimento alla nozione di «superficie utile complessiva», quale mera utilizzabilità degli ambienti, a prescindere dalla loro effettiva abitabilità, considerandosi tutta la superficie dell'unità immobiliare ma con esclusione di balconi, terrazze, cantine, soffitte scale e posto auto, in quanto espressamente esclusi dalla disposizione richiamata.

Tale interpretazione riposa sulla lettura dell’art. 5 dello stesso decreto che fa richiamo al concetto di superficie utile dell’alloggio padronale, ossia “tutta quella che fa parte della “casa” anche su più piani, purché costituenti unico alloggio, quindi dell'intero complesso costruttivo (con esclusione, ovviamente, di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e posto macchine), quante volte sia “utile” a costituire “unico alloggio padronale”.

L'utilità evocata dalla norma - nella quale manca qualsiasi riferimento, all’abitabilità in senso giuridico implica l’idoneità, esclusivamente fattuale, di una determinata superficie chiusa da muri a integrare un “alloggio padronale”, ossia a consentire l'espletamento al suo interno di tutte le funzioni (di ogni genere) proprie della vita del “padrone” dell'alloggio.

In definitiva, ciò che assume rilievo è la marcata potenzialità abitativa del bene e, più precisamente, l'idoneità di fatto degli ambienti allo svolgimento di attività proprie della vita quotidiana.

Nella sentenza impugnata, la CTR si è attenuta ai suddetti principi nell’osservare che:

  • il piano interrato faceva comunque parte dello stesso immobile ed era collegato al resto della casa da una scala esterna ubicata all’interno dell’unica proprietà e all’esclusivo servizio dei contribuenti;
  • i locali in contestazione risultavano concretamente utilizzabili; in particolare, il piano interrato comprendeva, tra l’altro, “un locale pluriuso”, un locale doccia e la lavanderia;
  • il secondo piano comprendeva tre ripostigli, un disimpegno ed un guardaroba, locali, per loro natura, direttamente a servizio delle restanti parti dell’unità immobiliare e un’altezza inferiore a quella standard non appariva inficiarne la possibilità d’impiego.

Pertanto, il giudice di appello ha correttamente incluso nel calcolo della superficie utile complessiva sia il piano interrato, sia il secondo piano, in quanto -non presentava in concreto le caratteristiche di una soffitta.

Prima casa: la richiesta delle agevolazioni è a carico dell'acquirente

Corretta anche l’applicazione, ai sensi dell’art. 1, nota II-bis, punto 4, della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986, della sanzione per dichiarazione mendace, ovvero per qualsiasi richiesta di fruizione del beneficio in difetto delle condizioni, soggettive ed oggettive, previste dalla legge.

Non solo: concludono gli ermellini sottolineando come l'applicazione dell'aliquota ridotta non costituisca affatto un obbligo del venditore (né, tanto meno, dell'Ufficio) ma solo un diritto soggettivo dell'acquirente, la cui fruizione è subordinata soltanto alla manifestazione, espressa nell'atto di acquisto, della sua volontà di fruire di quella riduzione. Questa richiesta, pertanto, suppone necessariamente la “dichiarazione” dell’acquirente (contribuente) della sussistenza di tutte le condizioni contemplate dalle specifiche norme per godere dell'agevolazione.

La presenza della dichiarazione:

  • consente all'Ufficio solo di riscuotere le imposte di registro nella misura prevista dal beneficio (salvo il successivo esercizio del potere di negarne la spettanza);
  • istituisce un rapporto giuridico diretto ed esclusivo tra l'acquirente stesso e l'Amministrazione finanziaria in ordine al quale non assume nessun rilievo il regime giuridico proprio dell'imposta per cui, in ipotesi di soggezione dell'atto all'IVA, la soggettività passiva esclusiva del venditore non rileva perché tale qualità impone al venditore medesimo unicamente di assoggettare l'operazione economica al regime agevolato richiesto dall'acquirente.

Proprio in considerazione di tanto il quarto comma della richiamata nota II bis) impone all’Agenzia delle entrate presso cui sono stati registrati i relativi atti:

  • di recuperare nei confronti degli acquirenti la differenza fra imposta calcolata in base all'aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall' applicazione dell’aliquota agevolata;
  • di irrogare la sanzione amministrativa, pari al 30% della differenza medesima.


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