Ampliamento edificio in zona vincolata: l’abuso è sanabile oppure no?
di Redazione tecnica - 29/06/2022
L’ampliamento di un edificio esistente situato in zona vincolata configura un intervento di nuova costruzione e, in quanto tale, non può essere sanato. Ne parla il Consiglio di Stato nella sentenza n. 5153/2022, a conferma di quanto stabilito in primo grado dal TAR Lazio, sul diniego di condono deciso da un’Amministrazione comunale ai sensi dell’art. 32, comma 26, lett. a), in combinato con il comma 27, lett. d), del D.L. n. 269/2003, convertito in legge n. 326/2003 (cd. “Terzo Condono Edilizio”) e dall’art. 3, comma 1, lett. b), della legge regionale Lazio n. 12/2004.
Ampliamento edificio in zona vincolata: condono sì o no?
Il caso riguarda un immobile realizzato in area soggetta a vincolo paesaggistico, classificata come verde pubblico dal vigente P.R.G. del comune. Come confermato dall'amministrazione comunale, l’intervento oggetto di richiesta di sanatoria è un intervento di nuova costruzione e, in quanto tale, non riconducibile alle tipologie di illecito di cui ai numeri 4, 5 e 6 dell’Allegato 1, classificate come abusi edilizi “minori”, ammessi a sanatoria nel caso di esistenza di vincoli. Come spiega il Consiglio di Stato, dagli atti emerge chiaramente che l'area su cui insiste il fabbricato oggetto della suddetta istanza di condono, ricade in zona con vincolo apposto prima dell’intervento di ampliamento.
Sul punto, l’art. 32, comma 27, lett. d), del d.l. n. 269/2003 (convertito con legge n. 326/2003), presuppone che per il rigetto dell’istanza di condono è necessaria la contesuale sussistenza dei seguenti elementi:
- presenza di un vincolo anteriore all’abuso;
- assenza o difformità dal titolo abilitativo prescritto;
- contrasto con norme urbanistiche e con prescrizioni degli strumenti urbanistici.
Non solo: anche la legge regionale n. 12/2004 stabilisce che non è in ogni caso possibile la sanatoria delle opere abusive realizzate, anche prima della apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, non ricadenti all’interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali.
In particolare, spiega il Consiglio di Stato, la legge regionale del Lazio, escludendo dalla sanatoria gli immobili abusivi siti in zone vincolate, anche se costruiti anteriormente all’apposizione del vincolo, rende irrilevante la data di realizzazione dell’abuso e introduce un regime più rigoroso di quello disegnato dalla normativa statale, con l’obiettivo di tutelare valori di rilievo costituzionale, quali quelli paesaggistici, ambientali, idrogeologici e archeologici, ragion per cui, secondo il Consiglio, non è irragionevole che il legislatore regionale, nel bilanciare gli interessi in gioco, abbia scelto di proteggerli maggiormente, restringendo l'ambito applicativo del condono statale, sempre restando nel limite delle sue attribuzioni.
Sanabilità nuove costruzioni in zona vincolata
In ogni caso, in ambito urbanistico manca la natura pertinenziale quando sia realizzato un nuovo volume, su un'area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio, oppure sia realizzata una qualsiasi opera, come ad es. una tettoia, che ne alteri la sagoma. Nel caso in esame è stata aumentata la superficie di oltre 50 mq, per cui si tratta di un intervento di nuova costruzione soggetto a titolo edilizio di permesso di costruire; peraltro, la stessa parte appellante nella istanza di condono ha qualificato l’opera come ampliamento di preesistente fabbricato.
Di conseguenza, il ricorso è stato respinto, confermando il diniego di condono: trattandosi di un intervento di nuova costruzione entro zona con vincolo paesaggistico, esso non è in alcun modo sanabile, ai sensi della Legge n. 326/2003.
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