Annullamento titoli edilizi: occhio a chi firma il provvedimento

di Redazione tecnica - 24/05/2024

Sebbene l’attuale funzione del segretario generale comunale si discosti radicalmente da quella originaria, non gli si può riconoscere una competenza generale su tutte le attività gestionali dell’ente, nè un connesso e generalizzato potere di firma in luogo dei dirigenti comunali.

Non può quindi invocarsi l’esercizio del potere sostitutivo, a maggior ragione laddove l’amministrazione pretenda di utilizzarlo in deroga alla regola generale che individua nel soggetto che ha la competenza ad adottare un atto, l’organo preposto a rivalutarne la legittimità.

Annullamento titoli edilizi: a chi spetta farlo?

Si tratta di una regola che si applica anche nel caso degli atti amministrativi legati al rilascio di titoli edilizi, oppure al loro annullamento d’ufficio e che ha portato il Consiglio di Stato, con la sentenza del 13 maggio 2024, n. 4278, a ritenere illegittimi l’annullamento di un’autorizzazione ambientale e dell’accertamento di compatibilità paesaggistica, oltre che l’ordine di demolizione relativi alla costruzione di un abbaino all'interno di in un’unità immobiliare situata nel sottotetto di un residence.

Il proprietario, dopo un contenzioso con altri proprietari del condominio risolto in suo favore, aveva avuto appunto ottenuto l’autorizzazione paesaggistica e l’autorizzazione ambientale e aveva eseguito i lavori.

Ne era seguita una denuncia da parte degli altri proprietari, sottolineando che avrebbero dovuto avallare i lavori, rciadenti anche su parte condominiale e l’avvio del procedimento di verifica delle denunciate irregolarità.

Il proprietario ha quindi presentato istanza di accertamento di conformità ex artt. 36 e 37 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) e di autorizzazione paesaggistica in sanatoria ex art. 167 del d.lgs. n. 42/2004 (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio), ammettendo una dimensione dell’abbaino superiore a quella che aveva dichiarato. Prendendo atto  del parere favorevole della Soprintendenza, ai sensi degli artt. 167 e 181 del d.lgs. 42/2004, favorevole all’accertamento di compatibilità paesaggistica», il Comune aveva irrogato la sanzione pecuniaria prevista dagli artt. 37 del T.u.e. e 167 del d.lgs. n. 42 del 2004.

Dopo aver pagato, il ricorrente ha ricevuto i due provvedimenti (annullamento dell'autorizzazione ambientale e ordine di demolizione) firmati dal Segertario generale. In primo grado il TAR li aveva ritenuti legittimi, specificando che correttamente il Segretario generale dell’ente era intervenuto in sostituzione dell’ufficio competente adottando un provvedimento legittimo per l’accertato contrasto dell’intervento edilizio con la vigente disciplina urbanistica. In particolare sarebbe stato violato l’art. 49 del regolamento di igiene, secondo cui la percentuale di estensione dell’opera va calcolata sulla parte di falda in proprietà esclusiva del richiedente, sicché l’utilizzo nel computo di quella condominiale imponeva l’avallo degli altri comproprietari ex art. 1102 c.c., che nel caso di specie era mancato.

Le competenze del Segretario Generale: no al potere sostitutivo

Di diverso avviso il Consiglio di Stato: non è competenza del Segretario Generale adottare, rispettivamente, l’atto di annullamento in autotutela e, quale conseguenza dello stesso, l’ingiunzione a demolire.

Se appunto l’attuale funzione del Segretario generale si discosta radicalmente da quella originaria di mera certificazione, di verbalizzazione, di rogito dei contratti dell’ente, nonché di autenticazione delle scritture private e degli atti unilaterali, ciò non può logicamente e giuridicamente conseguire una sorta di competenza generale su tutte le attività gestionali dell’ente ed un connesso e conseguente altrettanto generale e generalizzato potere di firma in luogo dei dirigenti comunali, che si porrebbe del resto in insanabile contrasto con la loro autonomia e con la valorizzazione delle loro competenze, finalizzate al miglior funzionamento possibile della struttura burocratica.

Né può invocarsi l’esercizio da parte del Segretario Generale del potere sostitutivo, perché anche quest’ultimo non si sottrae ai principi di legalità e tipicità dell’azione amministrativa. Non si comprende dunque quale peculiare vizio dell’atto, spiega Palazzo Spada, ne avrebbe consentito la deroga.

Il potere sostitutivo presuppone un inadempimento da parte della PA

In linea generale, la disciplina dei poteri sostitutivi nasce con l’apprezzabile intento di disincentivare il contenzioso avverso l’inadempimento della pubblica amministrazione a fronte dell’istanza di un privato. Per tale ragione essa si inserisce all’interno dell’art. 2 della legge n. 241/1990, concernente la doverosità dell’azione amministrativa e dei suoi tempi, quale peculiare espressione del principio di legalità.

A ciò consegue che affinché possa configurarsi un inadempimento della p.a., tale da legittimare l’attivazione del potere sostitutivo, si presuppone la necessità di adottare un provvedimento espresso.

In questo caso, i proprietari hanno presentato richiesta di definizione negativa dell’istanza di sanatoria al Segretario generale, individuato come titolare del potere sostitutivo nel regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi del Comune.

SCIA in sanatoria: l'art. 37 del Testo Unico Edilizia

Per dirimere la questione, i giudici hanno richiamato la disciplina dell'art. 37 del Testo Unico Edilizia. La segnalazione certificata di inizio attività o in difformità dalla stessa è infatti oggetto di disciplina autonoma e distinta dal paradigma generale della sanatoria ordinaria declinato all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001.

Essa trova infatti riscontro nel successivo art. 37 che, pur prevedendo egualmente il requisito della c.d. doppia conformità (l’intervento realizzato, cioè, deve risultare conforme tanto alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della sua realizzazione, quanto a quella vigente alla presentazione della domanda), si presenta alquanto lacunoso con riferimento al procedimento vero e proprio.

Esso assorbe il rilascio del titolo in sanatoria nell’irrogazione di una sanzione pecuniaria il cui valore è stabilito dal responsabile del procedimento in una somma comunque non inferiore a euro 516. Proprio in ragione della condivisione con l’istituto della fiscalizzazione del contenuto di monetizzazione dell’illecito parte della dottrina ha ricondotto a ridetto modello anche la fattispecie di cui all’art. 37 del T.u.e., che peraltro si diversifica dalle ipotesi tipicamente ascritte al medesimo (artt. 33 e 34 del d.P.R. n. 380/2001) per l’effetto sanante del pagamento della sanzione (sul punto, v. Cons. Stato, sez. II, 15 novembre 2023, n. 9799).

L’obbligo di pronuncia sull’istanza di sanatoria ex art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001 e il conseguente significato di inadempimento della p.a. che non provvede in merito è già stato affermato dalla Sezione che non ha ritenuto applicabile, in assenza di un’indicazione in tal senso del legislatore, il valore di silenzio rifiuto previsto invece in termini generali dall’art. 36, comma 4. Nella specie, dunque, «il procedimento può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell’amministrazione procedente, pena la sussistenza di un’ipotesi di silenzio inadempimento».

Del tutto legittimamente, dunque, l’interessato avrebbe potuto rivolgersi al Segretario Comunale dell’ente a fronte dell’inerzia dell’ufficio competente; analoga possibilità non è invece riconosciuta ai controinteressati, cui il comma 9-ter dell’art. 2 della l. n. 241 del 1990, sia in ragione della sua formulazione letterale, sia avuto riguardo alla sistematica della norma, non fa riferimento, avendo la norma introdotto un rimedio aggiuntivo e deflattivo del contenzioso a beneficio del richiedente il provvedimento espresso con cui deve concludersi il procedimento che «consegua obbligatoriamente ad un’istanza» (art. 2, comma 1).

Peraltro nella specie nessun inadempimento può essere imputato agli uffici comunali, stante che gli stessi hanno adottato l’ingiunzione riferita espressamente sia alla sanatoria edilizia ex art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001, che a quella paesaggistica ex art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004, ritenendo sussistenti, i presupposti di entrambe, ovvero il requisito della doppia conformità urbanistica e l’avallo della Soprintendenza, debitamente interpellata in merito.

Infine, l’esercizio del potere sostitutivo, implica la conclusione del procedimento entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto «o attraverso le strutture competenti o con la nomina di un commissario ad acta».

Le due modalità sono tra loro alternative e la norma lascia al soggetto titolare la discrezionalità della scelta, ma non gli consente di agire in prima persona. Nel caso poi in cui anche il titolare del potere sostitutivo non risponda nei termini di legge, non resta all’interessato che la tutela giurisdizionale contro il silenzio serbato dall’Amministrazione.

Ne consegue l’annullamento degli atti impugnati per incompetenza del Segretario Generale a firmarli.

La tutela degli interessi dei terzi

Al riguardo i giudici hanno osservato come l’abusività di un’opera non può essere in alcun modo ricondotta all’assenso o dissenso degli altri comproprietari, in quanto essa dipende esclusivamente dal rispetto delle regole sulla edificabilità dei suoli e di buon governo del territorio. I diritti dei comproprietari, infatti, ivi inclusi quelli connessi all’eventuale travalicamento dei limiti imposti a ogni comunista dall’art. 1102 cod. civ., non sono giammai pregiudicati dal rilascio del titolo edilizio (che è sempre legittimamente rilasciato, senza neanche bisogno di esplicitazione, con salvezza dei diritti dei terzi). Essi, cioè, sono tutelabili (esclusivamente) mediante azioni civili innanzi al giudice ordinario.

Il comproprietario, infatti, diviene “terzo” solo nel momento in cui se ne è ignorata la presenza, mentre configura una sorta di litisconsorte necessario in caso di oggettiva conoscenza della contitolarità di un bene e del contrasto tra aventi diritto, a maggior ragione ove espresso, come in questo caso, sotto forma di denuncia dell’abuso dell’uno a carico dell’altro. In questo caso, l’ente deve compiere quel minimo di indagini necessarie per verificare se le contestazioni sono fondate sul piano quanto meno della legittimità formale e denegare il rilascio del titolo se il richiedente non sia in grado di fornire elementi seri a fondamento dell’esclusività, in fatto o in diritto, della sua posizione.

La maggiore ampiezza di soggetti legittimati alla richiesta di una sanatoria, in quanto anche potenziale causa estintiva del'illecito edilizio, ha come contropartita la valorizzazione del potere di “sbarramento” da parte del comproprietario, diversamente costretto a subire non solo un cambiamento dello stato dei luoghi realizzato (illegittimamente) a sua insaputa, ma pure il suo consolidarsi, a tutela (anche) della incensuratezza di controparte.

Nel caso di specie, tuttavia, la posizione di contrasto degli altri condomini e la necessità di scrutinare alla luce della stessa l’esatta portata del regolamento edilizio erano noti al Comune quanto meno dalla presentazione del ricorso dei comproprietari.

La sentenza del Consiglio di Stato: l'annullamento dei titoli è illegittimo

Ad ogni buon conto, l’esercizio dell’autotutela si palesa tardivo. La responsabile del servizio ha rilasciato la sanatoria affermando di avere «accertata la conformità degli interventi realizzati con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione degli interventi che al momento della presentazione della richiesta di sanatoria». Anche per tale via è chiara da un lato la tardività dell’annullamento d’ufficio, dall’altro la sua parziarietà, non avendo interessato espressamente il titolo edilizio (originario e in sanatoria).

D’altro canto, l’annullamento d’ufficio, a maggior ragione tenuto conto della sua complessità contenutistica, avrebbe dovuto essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento. La stessa, non poteva in alcun modo essere surrogata, quando peraltro la sanatoria si era già perfezionata essendo stato monetizzato l’illecito, siccome consentito dalla norma.

Infine, illegittima anche l’ingiunzione a demolire, essendo già stato l’abuso sanato e non essendo stato annullato il provvedimento di sanatoria, per cui non vi era ragione di attivare il relativo procedimento sanzionatorio.



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