Ante ’67 e annullamento d’ufficio: gli obblighi del Comune
di Redazione tecnica - 15/01/2025
Spetta sempre al privato l’onere di dimostrare che un’opera dichiarata abusiva sia in realtà stata realizzata in epoca ante ’67, mediante la presentazione di prove rigorose ed elementi oggettivi.
Qualora il soggetto fosse in grado di fornire tali dimostrazioni, il Comune è tenuto a compiere in merito un’adeguata istruttoria, non potendosi limitare a fornire elementi incerti in ordine alla presumibile data di realizzazione al fine di giustificare l’adozione dell’ordine di demolizione.
L’Amministrazione, allo stesso modo, è anche tenuta al rispetto delle condizioni stabilite dalla legge per poter esercitare l’annullamento d’ufficio di un permesso di costruire in sanatoria, sia in merito alle tempistiche concesse che all’obbligo di comparare correttamente l’interesse pubblico con quello del privato alla conservazione del titolo.
Opere ante ’67: prove congrue annullano la demolizione
A ribadirlo è il Consiglio di Stato con la sentenza n. 9582 del 29 novembre 2024, che, in parte, dispone la riforma della sentenza del TAR, accogliendo il ricorso per l’annullamento dell’ordine demolitorio relativo ad un manufatto ante ’67 e, in parte, conferma quanto stabilito dai giudici di primo grado in relazione all’illegittimità dell’annullamento d’ufficio del permesso in sanatoria disposto dal Comune.
In quanto alle opere ante ’67 - ovvero realizzate prima della Legge n. 765/1967 (Legge Ponte), che ha modificato la Legge n. 1150/1942 (Legge urbanistica) e introdotto l’obbligo dei titoli edilizi - qualora venissero contestate come abusive, spetta al privato dimostrare che l’epoca di realizzazione è stata antecedente all’introduzione dell’obbligo, e quindi che l’opera è stata realizzata lecitamente sine titulo.
Il soggetto, in particolare, deve fornire prove rigorose, che si basano su documentazione certa e univoca e, comunque, su elementi oggettivi, come ad esempio aerofotogrammetrie, dichiarazioni sostitutive di edificazione o altre certificazioni attestanti fatti che costituiscono circostanze importanti.
Qualora l’interessato riuscisse a fornire tali prove certe e inequivoche, l’Amministrazione avrebbe l’obbligo di valutarle ai fini della verifica dell’efficacia dell’ordine di demolizione disposto.
Nel caso in esame, il proprietario dell’immobile risulta aver correttamente presentato una serie di documenti validi a comprovare che il manufatto ad uso deposito contestato è un’opera ante ’67, e pertanto non necessitava di alcun titolo edilizio per essere realizzata.
Nello specifico, è stato dimostrato che il deposito era esistente, con basi in muratura e sostegni in legno, almeno dal 1936, ed è stato ricostruito, a seguito di crollo, nel 1979, con volumetria leggermente inferiore e con sostegni in muratura, invece che in legno.
Si evidenzia in proposito che l’intervento di ricostruzione dei sostegni crollati, ai sensi dell’art. 31, lett. b) della Legge n. 457/1978 (Norme per l’edilizia residenziale), rientra tra gli interventi di manutenzione straordinaria e, ai sensi dell’art. 48 della stessa norma, rientra tra gli interventi che possono essere autorizzati mediante silenzio-assenso, come è avvenuto in questo caso.
Risulta evidente, in generale, “il difetto di istruttoria e di motivazione dell’ordinanza di demolizione con riferimento sia all’accertamento dell’epoca di realizzazione del manufatto e sia alla sussistenza di idoneo titolo edilizio ai sensi della l. 457/1978”; ordinanza di demolizione che, quindi, dev’essere annullata.
Annullamento d’ufficio: illecito per tempistiche e motivazione
L’operato dell’Amministrazione viene giudicato inadeguato anche per ciò che concerne l’annullamento d’ufficio del Permesso di Costruire in sanatoria inizialmente rilasciato ai sensi della Legge n. 47/1985 (Primo Condono Edilizio) relativo all’ampliamento dell’edificio residenziale in cui insiste il manufatto adibito a deposito. Il provvedimento difatti risulta illegittimo sia per tempistiche che per motivazioni.
L’art. 21-nonies della Legge n. 241/1990 (Norme in materia di procedimento amministrativo) dispone chiaramente che l’Amministrazione possa provvedere all’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio entro un tempo massimo di 12 mesi dal suo rilascio, con possibilità di estensione del termine solo per quanto riguarda i casi previsti al comma 2-bis dello stesso articolo (“provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato”).
Nel caso qui trattato, il Comune ha disposto il provvedimento oltre il termine concesso, e non risultano applicabili le disposizioni di cui al comma 2-bis.
In ogni caso, non è condivisibile neanche la motivazione dell’annullamento d’ufficio, disposto in virtù dell’assenza del Certificato di Idoneità Statica del fabbricato, obbligatorio per gli interventi che ricadono in zone sottoposte a vincolo sismico e per le opere abusive che superino i 450 mc, a tenore di quanto disposto dalla circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 3357/25 del 30 luglio 1985.
Si spiega infatti che, a prescindere dalla portata del volume abusivo - che comunque nel caso in esame è pari a 420 mc - l’immobile oggetto del condono è stato realizzato nel 1975, ovvero molto prima che il Comune in questione venisse classificato come zona sismica nel 1981, pertanto non risulta applicabile l’obbligo di presentazione del certificato di idoneità statica previsto dall’art. 35, comma 9, della Legge sul Primo Condono.
Per i motivi suddetti, si dispone la riforma parziale della sentenza del TAR, con l’accoglimento integrale del ricorso di primo grado e l’annullamento del provvedimento disposto dal Comune.
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