Appalti pubblici: il problema del sistema Italia

di Gianluca Oreto - 17/07/2023

Negli ultimi 30 anni il comparto dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ha vissuto (e subito) diverse riforme. La Legge n. 109 del 1994, poi il D.Lgs. n. 163/2006, il D.Lgs. n. 50/2016 fino ad arrivare al nuovo Codice di cui al D.Lgs. n. 36/2023, entrato in vigore l'1 aprile e pienamente operativo (o quasi) dallo scorso 1 luglio.

Appalti pubblici: la riforma

Mentre l'ultima riforma del 2016 era nata dall'esigenza di adeguare la normativa italiana alle tre direttive europee (2014/23, 24 e 25), il nuovo Decreto Legislativo n. 36/2023 trae le sue radici in sede di approvazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) dove si è rilevata la complessità del vigente sistema normativo. Un sistema complesso e mai compiutamente attuato, rimasto vittima di sé stesso e delle emergenze che hanno costretto il legislatore ad intervenire in corsa con dei provvedimenti emergenziali a tempo (ricordiamo lo Sblocca Cantieri e i due Decreti Semplificazione) che ne hanno resa ancora più complicata la lettura.

Con la legge n. 78/2022 si è deciso di intervenire delegando il Governo a razionalizzare la complessa materia dei contratti pubblici, lavoro che è stato affidato ad una commissione di esperti del Consiglio di Stato.

Analizzando il nuovo Codice dei contratti è possibile rilevare come la scelta sia stata quella di innovare ma con una certa continuità rispetto al passato. Il Consiglio di Stato ha deciso di aprire il D.Lgs. n. 36/2023 con i principi ispiratori che hanno da subito cambiato paradigma, passando dalla logica inquisitoria del vecchio codice (in sembrava quasi che l'obiettivo fosse solo quello di trovare il colpevole) ad una collaborativa in cui l'obiettivo principale è (art. 1, comma 1) "il risultato dell’affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza".

Sono parecchie le novità del nuovo Codice ma un'analisi completa delle sua struttura dimostra come gran parte dei suoi contenuti è stata presa dai tanti provvedimenti attuativi del D.Lgs. n. 50/2016, che sono stati riorganizzati in un testo unico con degli allegati legislativi che rappresentano un vero e proprio regolamento che ha reso il Codice "autoesecutivo".

I punti chiave della riforma

Tra le innovazioni contenute nel nuovo Codice Appalti 2023 (tra cui la riduzione dei livelli di progettazione, il nuovo RUP, le regole sul subappalto, l'accelerazione sul BIM, le norme per la rinegoziazione del contratto, il partenariato pubblico-privato,...) alcune rappresentano l'architrave su cui poggerà tutto:

  • la digitalizzazione del ciclo di vita del contratto;
  • la qualificazione delle stazioni appaltanti.

Mentre la digitalizzazione consentirà una netta riduzione dei tempi e imparzialità/trasparenza dell'azione amministrativa, la qualificazione dovrebbe consentire da una parte la riduzione delle stazioni appaltanti e dall'altra migliorare le capacità amministrative del primo anello della catena degli appalti pubblici.

Il problema principale da risolvere

E come ogni catena, anche quella degli appalti pubblici si misura dal suo anello più debole che (inutile girarci intorno) è rappresentato proprio dalle capacità amministrative delle stazioni appaltanti.

Come sempre, generalizzare è sbagliato. Esistono tante amministrazioni (anche piccole) con personale preparato e adeguato all'importanza che merita un appalto pubblico. Ma ad oggi gran parte delle amministrazioni è vittima di anni in cui non si è potuto assumere, pensionamenti che hanno lasciato scoperte molte attività (delegate a chi faceva altro), riduzione dei fondi per la formazione e un personale dall'età media forse troppo elevata per pensare di far fronte alle rinnovate necessità di digitalizzazione.

Digitalizzazione non vuol dire gestire una gara con una piattaforma informatica, ma l'intero ciclo di vita del contratto che con l'introduzione del BIM necessiterà di competenze differenti da quelle attuali.

Ecco che si pone quindi la sfida più grande di cui in realtà si era parlato proprio in sede di definizione del PNRR all'interno del quale si era già compresa la necessità di rafforzare i processi di selezione, formazione e promozione dei dipendenti pubblici.

Le competenze della P.A.

Relativamente alla riforma della pubblica amministrazione, all'interno del PNRR era già stato rilevato che nell'ultimo decennio l’evoluzione della spesa pubblica, con il blocco del turnover, ha generato una significativa riduzione del numero dei dipendenti pubblici. La Pubblica Amministrazione italiana registra oggi un numero di dipendenti (circa 3,2 milioni in valore assoluto) inferiore alla media OCSE (13,4% dell'occupazione totale, contro il 17,7% della media OCSE, secondo i dati del 2017).

È stato rilevato che l'età media dei dipendenti pubblici è di 50 anni e che:

  • il 16,3% del totale ha più di 60 anni;
  • soltanto il 4,2% ne ha meno di 30.

Numeri che hanno contribuito in modo determinante a creare un forte disallineamento tra l'insieme delle competenze disponibili e quelle richieste dal nuovo modello economico e produttivo disegnato per le nuove generazioni.

Un problema, quello delle competenze, la cui causa è da ricercare anche nella forte riduzione degli investimenti in formazione del personale che è passata da 262 milioni di euro nel 2008 a 164 milioni nel 2019.

Soluzione

Ecco che in questo contesto, benché io sia un sostenitore della riforma del Codice che dal mio punto di vista rappresenta una innovazione positiva rispetto al recente passato e su cui dovremo confrontarci tutti, si può pensare di rinnovare, migliorare e semplificare la normativa in migliaia di modi differenti, ma se non si comprende l'esigenza di valorizzare, formare e rinnovare il capitale umano presente all'interno delle pubbliche amministrazioni, sarà tutto inutile.

Come inutile è pensare di affidare alla pubblica amministrazione processi che potrebbero essere tranquillamente e opportunamente richiesti al libero mercato. Oggi il problema non è incentivare i tecnici della pubblica amministrazione per affidare la progettazione, la direzione lavori, il coordinamento della sicurezza,...

Ciò che dovremmo comprendere è la complessità di quella catena di cui parlavo, i cui anelli sono tutti fondamentali e con complessità differenti. La mia idea resta sempre la stessa:

  • alla pubblica amministrazione il compito di programmare e controllare;
  • ai liberi professionisti la progettazione;
  • alle imprese l'esecuzione dei lavori;

ognuno con le proprie competenze e responsabilità.



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