Arbitrato, da strumento meritorio a paradigma di malaffare: il percorso inverso è possibile?
di Michele Raffaele Bulla - 08/02/2023
L’Arbitrato è uno degli istituti più controversi della legislazione degli appalti. Negli anni ha attraversato una folgorante parabola che, passando da estremi opposti quali l’espresso divieto, da un lato, e l’obbligatorietà, dall’altro1 ha raggiunto il picco tra la fine degli anni '90 e la prima decade degli anni 2000 per poi avviarsi verso un rapido ed inesorabile declino figlio di una generalizzata sfiducia nei confronti di uno strumento che aveva potenzialità uniche ma si è tradotto in un viatico per l’elevazione a prassi consolidata di pratiche sperequative ai danni della Pubblica Amministrazione.
Arbitrato: strumento controverso ma da riabilitare
È ormai da parecchio tempo che ci si chiede se avrà una inversione di tendenza il disfavore che il legislatore sembra mostrare vero l’istituto arbitrale, che trova la sua ratio nella diffidenza da parte di un’opinione pubblica “molto sensibile alla denuncia di abusi e distorsioni nell’applicazione pratica dell’istituto"2.
Non hanno certamente ostato (anzi favorendolo) al consolidamento di tale cattiva reputazione i numerosi accordi “non scritti” tra componenti del Collegio e tra questi ed i tecnici incaricati della redazione di Consulenze d’Ufficio che col tempo hanno rappresentato sempre più l’anticipazione del futuro Lodo, accordi volti ad individuare nell’arbitrato l’ennesimo strumento di riequilibrio economico delle commesse3.
L’intento primigenio dell’istituto dell’arbitrato, nel solco delle Alternative Dispute Resolution4, era invece quello di operare una significativa deflazione del contenzioso ordinario offrendo al contempo uno strumento snello e particolarmente efficace di soluzione della controversia, in quanto affidato ad un Collegio giudicante appositamente costituito e composto da persone ultra qualificate in materia.
Purtroppo tuttavia, come spesso accade, gli intenti meritori si discostano dalla concreta applicazione pratica degli istituti, laddove si intravede un mezzo di facile guadagno.
Nel caso specifico, appunto, la regolamentazione sommaria dell’istituto unita all’elevatissima misura dei compensi degli arbitri5 ne hanno favorito un uso indiscriminato proteso alla realizzazione di accordi “non limpidi”, finalizzati a riconoscere all’Appaltatore maggiori somme e/o sanare ex post una serie di carenze originarie della commessa.
La reazione legislativa a tale status quo, che non a caso ha iniziato a prendere piede negli anni bui di “tangentopoli”, ha portato ad un progressivo irrigidimento normativo che ha delineato quei tratti di peculiarità6 caratterizzanti l’arbitrato in materia di contratti pubblici, i quali hanno indubbiamente contribuito a svilire l’istituto in questione rendendolo, all’atto pratico, un “vuoto simulacro” del se stesso primigenio7.
Al di là del netto ridimensionamento nei compensi, l’elemento che più di tutti ha posto un freno all’istituto è stato l’introduzione della facoltà discrezionale da parte della Stazione Appaltante in merito all’inserimento o meno nella disciplina di gara della clausola compromissoria, clausola comunque soggetta a ratifica da parte dell’organo di governo dell’Ente8, nonché passibile di ricusazione da parte dell’aggiudicatario.
A ciò ha poi fatto seguito, logico corollario, il divieto di compromettere la lite successivamente, una volta insorta, che si colloca nel contesto della strutturazione di una disciplina obbligatoria del quomodo arbitrale che, di fatto, nel renderlo così inderogabilimente e puntualmente normato, discosta sensibilmente l’istituto dal gemello di cui all’art. 12 del Codice del Processo Amministrativo9.
Ultimo elemento che ha segnato decisamente il passo verso l’era attuale dell’arbitrato è dato dalla formulazione di una disciplina sempre più lontana dalla discrezionalità delle parti e sempre più rimessa ad una autorità terza10 nella nomina dei componenti del Collegio.
Deve ricordarsi al proposito che negli anni di massima proliferazione degli arbitrati la costituzione del Collegio era interamente rimessa alle parti e ciò veniva considerato garanzia del principio costituzionale di divieto di giurisdizione speciale: la compressione della libertà delle parti nella scelta degli arbitri ancor più per consegnare tale diritto non ad un organo giurisdizionale bensì ausiliario di un ente pubblico avrebbe, in altre parole, contraddetto la natura volontaria dell’arbitrato, da intendersi come risvolto naturale e inevitabile dei principi costituzionali in tema di diritto al giudice naturale11.
Riforma del Codice dei Contratti Pubblici: un nuovo ruolo per l'arbitrato
Cosa promana dunque, rispetto ai profili suesposti, dai lavori di redazione del nuovo Codice? Sarà ridata vita ad uno strumento negli anni eccessivamente compresso, mediante alleggerimento di quei pesi che a tutt’oggi ne limitano la ripresa di quota?
Tralasciando gli ulteriori aspetti (secondari) da destinare per ovvie ragioni alla sede di un maggior approfondimento, per quel che ci riguarda la risposta sembrerebbe parzialmente positiva alla luce di una importantissima novità.
Il testo che ci rendono i lavori parlamentari in corso, infatti, non solo non ripropone il divieto di compromesso di cui alla previgente disciplina12, ma al nuovo comma 2, con un sorprendente capovolgimento del pensiero ormai radicato, prevede che: “È nella facoltà delle parti di compromettere la lite in arbitrato nel corso dell’esecuzione del contratto.”.
Ora, se pensiamo a quali problemi (sopra accennati), in grado di depotenziare progressivamente l’istituto, ha generato l’obbligatorio inserimento della clausola compromissoria con necessaria ratifica preventiva da parte dell’organo di governo dell’Ente, risulta immediata la percezione della portata rivoluzionaria di tale nuova previsione.
Tralasciando, per ora, il fatto che non risulta chiaro come possa essere superata l’evidente discordanza con il mantenimento in essere dell’obbligo di inserimento della clausola compromissoria e successiva ratifica da parte dell’organo di governo sin dalla fase antecedente alla gara13, ciò che è necessario rilevare è come questa non sia più l’unica e sola via per aversi il ricorso all’arbitrato.
Ne deriva che tale strumento non sarà più subordinato ad una aprioristica valutazione di principio, potendosi ora ovviare in corso d’opera ad una mancata previsione in tal senso sin dagli albori, cosicché, dandosi per scontato che, seppur non espressamente previsto dal tenore letterale della norma, ancora tale decisione debba essere soggetta alla ratifica da parte dell’organo di governo dell’Ente, quantomeno quest’ultimo avrà la possibilità di valutare se gli interessi e la concreta situazione in gioco all’insorgere della controversia giustifichino il superamento di quel timore reverenziale che nella fase preliminare l’avrebbe sicuramente orientato a scartare tale forma alternativa di soluzione della disputa.
Ciò anche e soprattutto in considerazione del fatto che è complicato rendersi conto della miglior soluzione per risolvere una controversia quando tale controversia non risulti minimamente all’orizzonte e l’auspicio sia quello, seppur banalmente ottimistico, che la commessa si svolgerà senza intoppi14.
Le possibili soluzioni per procedure limpide
Volendosi concludere con una nota di speranza, ove questa modifica legislativa possa portare auspicabilmente ad un sempre maggiore ricorso alla procedura arbitrale (e dunque ad alleggerire il ruolo saturo dei giudici ordinari rimettendo per giunta le controversie a soggetti più tecnicamente preparati15) quale garanzia può dunque aversi che non si ricadrà nelle spire di quella corruzione sperimentata per oltre un decennio nella fase deregolata dell’istituto?
A parere di chi scrive la chiave di volta deve individuarsi nell’inflessibilità mostrata dal legislatore sulle modalità e procedure di selezione e nomina dei componenti del collegio arbitrale che è ragionevole prevedere non saranno mai più rimesse all’arbitrio delle parti e saranno informate dal più rigoroso principio di rotazione e trasparenza, il quale peraltro si estende anche alla fondamentale fase di consulenza d’ufficio che, come ben sappiamo, in materie dal così elevato tasso tecnico è praticamente l’anticipazione della sentenza.
Note
1. cfr. G. Manfredi, Le stagioni dell’arbitrato: dall’obbligo al divieto, in Urb. e App, 2008, 275 ss.
2. Così G. Verde, Arbitrato e pubblica amministrazione, in Dir. proc. amm., 1996, p. 216.
3. Può individuarsi una triade costituita da arbitrato, accordo bonario sulle riserve e perizie di variante, tutti strumenti che hanno rappresentato le sacche gestative della corruzione all’interno delle Amministrazioni in quanto gestiti da soggetti non necessariamente apicali e quindi all’insaputa dei più alti livelli.
4. Le ADR trovano una decisa riaffermazione nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ove è dato leggere testualmente che “uno degli elementi essenziali per garantire una maggiore efficienza della giustizia civile è legato alla definizione di strumenti alternativi al processo per la risoluzione delle controversie” ed in tale contesto, particolarmente, si rende necessario “garantire un maggior ricorso all’arbitrato”.
5. Inizialmente parametrati in misura percentuale sul valore della controversia.
6. Diretti discendenti della L. n. 190/2012 (c.d. legge anticorruzione).
7. Nasceva per occuparsi con snellezza e celerità di materie ritenute troppo tecniche per i giudici ordinari laddove da mere rilevazioni statistiche si ha oggi che i Tribunali sono sovraccarichi laddove i dati di ricorso all’arbitrato sono impietosi: nell’ultimo quadriennio sono state devolute alla Camera arbitrale istituita presso l’ANAC, complessivamente, appena 56 controversie.
8. Più di una critica ha ricevuto nel corso del tempo una previsione che ha sterilizzato il ricorso agli arbitrati ponendo alla base dello stesso una valutazione da parte dell’Ente che siccome condotta in una fase troppo immatura dell’appalto, addirittura antecedente all’indizione della gara, non può certo operare quella “ponderata valutazione degli interessi coinvolti e delle circostanze del caso concreto” richiesta dai Giudici di Palazzo Spada in Cons. Stato, Sez. VI, 4 marzo 2019, n. 1495, finendo dunque per tradursi in una motivazione aprioristica e stereotipata.
9. Il quale si limita semplicemente a dire che: “Le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo possono essere risolte mediante arbitrato rituale di diritto ai sensi degli articoli 806 e seguenti del codice di procedura civile.”.
10. La Camera arbitrale istituita presso l’ANAC non soltanto designa e nomina il Presidente ma nomina (di fatto ratificando con ultima parola) gli arbitri designati dalle parti.
11. Il risvolto della medaglia è rappresentato tuttavia dalla nascita di un sistema che ha visto per anni l’assegnazione degli incarichi ai “soliti noti” in un contesto di rotazione fittizia siccome interna alla sola “cerchia degli eletti”, i quali operavano un sistematico scambio di benevolenze per favorire di volta in volta i propri clienti coinvolti nelle controversie e trarne guadagno personale.
12. Art. 209 c.2 II cpv D.Lgs. 50/2016: “E' vietato in ogni caso il compromesso.”.
13. Sia perché la previsione perde di senso in quanto decisione sempre controvertibile in seguito, sia perché per estremo paradosso diventerà la regola: chi si prenderebbe mai l’onere di introdurre la clausola compromissoria in bando quando può compromettere la lite in seguito?
14. In siffatto contesto verrà naturale dare seguito alla direttiva del Ministero delle infrastrutture 5 luglio 2012 che invitava platealmente le amministrazioni ad un uso “oculato” dell’arbitrato “da limitare al massimo”, in considerazione della speciale natura e caratteristiche dell’appalto e dell’opportunità di valutare “caso per caso” il ricorso a tale istituto.
15. Si noti al proposito che ulteriore novità della emananda norma è l’apertura generalizzata all’assunzione di incarichi arbitrali da parte di figure tecnico giuridiche di vario ordine e grado (magistrati, avvocati dello stato, etc) oggidì “a riposo”, il cui impiego era prima vietato al pari dei soggetti “in attività”.
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