Da balcone a cucina abusiva: demolizione o sanzione alternativa?

di Giorgio Vaiana - 15/06/2021

Quando si parla di abusi edilizi c'è chi pensa subito alla villa abusiva realizzata sul mare. I tecnici che si occupano di ristrutturazioni, restauri e, in generale, pratiche edilizie sanno bene che, invece, la situazione è ben più complessa e delicata. Parlare di abusi su un costruito che spesso risale ad un periodo in cui non esisteva una normativa edilizia, su cui per anni si è lasciato costruire senza vigilanza e con alle spalle tre condoni edilizi, non può che determinare un variegato ventaglio di colori che lancia il settore dell'edilizia nella galassia dei settori più gettonati dalla giustizia italiana.

Da balcone a cucina abusiva: nuovo intervento del Consiglio di Stato

Alzi la mano tra i tecnici che si occupano di civili abitazioni chi non si è mai trovato davanti un proprietario di casa ignaro di aver realizzato un abuso bello e buono con la trasformazione di un balconcino in cucina con tanto di abbattimento delle mura perimetrali dell'involucro.

Ed è proprio di questo di cui si parla nella sentenza del Consiglio di Stato 31 maggio 2021, n. 4165 che ci permette di approfondire e fare ancora più chiarezza sul tema. Sul tavolo dei giudici il ricorso proposto dal proprietario di un immobile che aveva realizzato nel terrazzino di casa un vano di 16 metri quadri adibito a cucina, che il Comune aveva ordinato di demolire. Ordine di demolizione a cui era seguito un ricorso al TAR che aveva, però, dato ragione all'amministrazione comunale. Da qui il ricorso in secondo grado

Cucina e nuova costruzione

I giudici di Palazzo Spada hanno confermato che la creazione di un nuovo volume abitabile, adibito in questo caso a cucina, deve essere inteso come nuova costruzione che necessita di regolare titolo edilizio. Conferma arrivata rilevando la definizione di "nuova costruzione" contenuta nell'art. 3, comma 1, lettera e.5) del DPR n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) per il quale sono da considerarsi tali "le installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere che siano usati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee". Nel caso analizzato la sostituzione di alcuni elementi, visto che si trattava di un vano realizzato parecchi anni fa, non è rilevante, dicono i giudici "in quanto ogni intervento edilizio ripete le medesime caratteristiche di abusività del manufatto cui accede".

La data di realizzazione dell'abuso

Secondo il ricorrente, la cucina era stata realizzata in epoca risalente ad un periodo "in cui non era prescritto il previo rilascio di titolo edilizio", in quanto risulta soltanto che alcuni elementi strutturali del manufatto, inglobati nell’attuale costruzione, erano presenti fin dall’anno 1995. Come ribadito dai giudici, "l’onere di provare la data di realizzazione dell’immobile abusivo spetta a colui che ha commesso l’abuso e che solo la deduzione, da parte di quest’ultimo, di concreti elementi trasferisce il suddetto onere di prova contraria in capo all’amministrazione". Infatti "solo l’interessato infatti può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto e, in difetto di tali prove, resta integro il potere dell’Amministrazione di negare la sanatoria dell’abuso e il suo dovere di irrogare la sanzione demolitoria".

Pertinenze

Secondo il ricorrente, inoltre, la cucina non avrebbe necessitato di permesso di costruire in quanto pertinenza. Ma non è così, si legge nella sentenza: "le caratteristiche strutturali e funzionali impediscono di attribuire alle opere per cui è causa la qualifica di “pertinenze”, non essendo certo coessenziali al bene principale". La qualifica di pertinenza "è applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica".

Il fatto che dal cucinino potessero essere rimosse le strutture laterali, "non muta la qualificazione edilizia, in quanto non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo. I manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto stagionale".

L'ordinanza di demolizione

Il manufatto è dunque chiaramente abusivo, dicono i giudici. E l'ordine di demolizione "è atto dovuto e vincolato" e non necessita "di alcuna motivazione aggiuntiva rispetto all’indicazione dei presupposti di fatto e all’individuazione e qualificazione degli abusi edilizi". Non vale nemmeno il lungo lasso di tempo trascorso tra la realizzazione dell'opera abusiva e la conclusione dell'iter sanzionatorio. "La mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che è sin dall’origine illegittimo - si legge nella sentenza - Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere legittimo in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata".

Il tempo e l'ordinanza di demolizione

Se il decorso del tempo non può incidere "sull’ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione", deve essere escluso "che l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata". In tal caso, è del tutto congruo che l’ordine di demolizione "sia adeguatamente motivato mercé il richiamo al comprovato carattere abusivo dell’intervento, senza che si impongano sul punto ulteriori oneri motivazionali, applicabili nel diverso ambito dell’autotutela decisoria". Quindi, in realtà, il decorso del tempo "rafforza il carattere abusivo dell'intervento". Anche nel caso in cui l'attuale proprietario non sia il responsabile dell'abuso.

Ordinanza e sanzione pecuniaria

L'appello contesta pure la mancata applicazione della sanzione alternativa all'ordine di demolizione come prevista dall'art. 34, comma 2 del DPR n. 380/2001 per la quale "Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale". I giudici del Consiglio di Stato hanno, però, ricordato che va valutata l'oggettiva impossibilità a procedere con la demolizione senza pregiudizio sulle parti conformi. Impossibilità che va valutata dall'amministrazione comunale nella fase esecutiva del procedimento "successiva ed autonoma rispetto all'ordine di demolizione". E come ribadito altre volte, l'omesso avviso di avvio del procedimento "non può comportare l'annullamento dell'atto". La sentenza del Tar è stata confermata e il ricorso respinto.



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