Bonus edilizi e Superbonus: occhio ad alterare la volumetria del tetto

di Cristian Angeli - 11/07/2024

Il rapporto tra la legittimità dei lavori eseguiti e la spettanza delle agevolazioni fiscali che maturano a seguito della loro realizzazione è un tema molto delicato. È chiaro, infatti, che i bonus sorgono in relazione alle spese sostenute per l’esecuzione di interventi edilizi, e che se questi non sono regolari per un motivo o per un altro, le detrazioni non possono essere riconosciute.

E non si tratta solo di un dato logico. Una simile considerazione discende innanzitutto dall’ordinamento giuridico, in particolare dal TUE (Testo Unico dell’Edilizia, d.P.R. n. 380/2001).

I casi che possono verificarsi sono i più disparati, e uno dei più “pacifici” è rappresentato dalla mancata presentazione del titolo abilitativo dei lavori. Ma cosa accade quando invece il titolo esiste, ma non è quello corretto?

Tra CILAS, CILA, SCIA e Permesso di Costruire (PdC) corrono infatti molte differenze, e comprendere quale sia quello da presentare non è sempre semplice. Tutto dipende, in sintesi, dal tipo di lavori che devono essere eseguiti, ma occorre fare attenzione, perché l’erronea qualificazione degli interventi può anche portare a ordinanze di demolizione e, di conseguenza, alla perdita dei bonus edilizi connessi.

Sul tema, è stata emessa lo scorso 2 luglio la sentenza n. 5865 del Consiglio di Stato, con la quale è stato chiarito che se nel rifacimento di un tetto si procede ad aumentarne la volumetria, il titolo corretto è il PdC, non essendo sufficiente una SCIA.

Ristrutturazione pesante e Pdc

Nel dettaglio, l’intervento di cui si occupa la citata sentenza è consistito nello spostamento dell'asse della trave di colmo e nella modifica della sagoma dell'inclinazione del tetto dello stabile, in modo da ampliare la volumetria dell’unità immobiliare collocata nel sottotetto, ed estenderne la superficie abitabile. Questo, almeno, è quanto risultava dai progetti contenuti nel titolo abilitativo, in particolare una DIA.

Tuttavia, il Comune contestava la regolarità di tale intervento, sostenendo che non si tratterebbe di manutenzione straordinaria, ma piuttosto di un intervento di ristrutturazione pesante, pertanto da abilitare con un PdC.

Opponendosi a tali contestazioni, i proprietari sono giunti fino al Consiglio di Stato, che ha ritenuto corrette le conclusioni già formate nei precedenti gradi di giudizio. In particolare, il Comune avrebbe correttamente inquadrato come “ristrutturazione pesante” ai sensi dell’art. 10, co. 1 del TUE le opere realizzate sul tetto. Ciò in quanto la norma esplicitamente sottopone alla necessità del PdC “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva”, e nel caso di specie “l'incremento volumetrico determinato dallo spostamento della trave al colmo e dalla variazione di altezza esclude la riconducibilità dell'intervento in questione alla manutenzione straordinaria”.

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