Cambio destinazione d'uso: ci vuole il permesso di costruire
di Redazione tecnica - 11/07/2022
La disciplina del mutamento della destinazione d’uso è uno dei perni attraverso i quali è possibile operare un effettivo governo del territorio. Se l’ordinamento restasse indifferente ai cambi di destinazione d’uso dei singoli immobili si finirebbe per vanificare la zonizzazione, l’equa distribuzione degli oneri di urbanizzazione, l’effettiva applicazione degli standard urbanistici, la razionale allocazione dei carichi urbanistici.
Ad affermarlo è il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5593/2022, inerente il ricorso contro l’ordine di demolizione e rimozione di opere e interventi irregolari realizzati in assenza di titolo abilitativo e con variazioni essenziali rispetto a quelli rilasciati, considerata la trasformazione d’uso dell’unità immobiliare da agricola a commerciale.
Cambio destinazione d'uso: la sentenza del Consiglio di Stato
Nel valutare il caso, i giudici di Palazzo Spada hanno anche riconosciuto l’importanza di trovare un giusto equilibrio tra razionalizzazione dell’uso del territorio e la necessità di non ostacolare, anzi valorizzare le attività economiche. In ogni caso, ribadiscono, esistono situazioni che lasciano intendere quando il legislatore ritiene fondamentale difendere un ordinato e quindi economicamente efficiente sviluppo del territorio. Da questo punto di vista, la disciplina del mutamento della destinazione d’uso è una di quelle situazioni.
In particolare, il Consiglio di Stato ha ricordato quanto confermato dalla giurisprudenza della Cassazione, ovvero che:
- la destinazione d'uso è un elemento che qualifica la connotazione del bene immobile e risponde a precisi scopi di interesse pubblico, di pianificazione o di attuazione della pianificazione;
- essa individua il bene sotto l'aspetto funzionale, specificando le destinazioni di zona fissate dagli strumenti urbanistici in considerazione della differenziazione infrastrutturale del territorio, prevista e disciplinata dalla normativa sugli standard, diversi per qualità e quantità proprio a seconda della diversa destinazione di zona;
- l'organizzazione del territorio comunale e la gestione dello stesso vengono realizzate attraverso il coordinamento delle varie destinazioni d'uso in tutte le loro possibili relazioni e le modifiche non consentite di queste incidono negativamente sull'organizzazione dei servizi, alterando appunto il complessivo assetto territoriale;
- lo strumento urbanistico rappresenta l'atto di destinazione generica ed esso trova attuazione nelle prescrizioni imposte dal titolo che abilita a costruire, quale atto di destinazione specifica che vincola il titolare ed i suoi aventi causa.
Sulla base di questi preesupposti, possono distinguersi:
- a) una destinazione d'uso urbanistico, riferita alle categorie specificate dalla legge e dal d.m. n. 1444 del 1968;
- b) una destinazione d'uso edilizio, che attiene al singolo edificio ed alle sue capacità funzionali.
Duplice è, dunque, l'esigenza correlata al controllo della destinazione d'uso degli immobili:
- assicurare tutela alla zonizzazione funzionale;
- consentire l'applicazione della normativa sugli standard, regolatrice della differenziazione infrastrutturale del territorio.
Come spiega il Conisglio di Stato, la destinazione d’uso è un istituto di natura urbanistica. Esso, infatti:
- a) consente la puntuale zonizzazione funzionale del territorio (ad esempio, attribuendo destinazioni d'uso predeterminate, con esclusione o limitazione delle altre, il pianificatore può far sviluppare, in una determinata area, un quartiere residenziale ed in un'altra area un polo terziario-direzionale);
- b) incide in maniera determinante sul calcolo degli oneri di urbanizzazione (l'art. 16, 4° comma, d.p.r. n. 380/2001 recita: «L'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni in relazione […] c) alle destinazioni di zona previste negli strumenti urbanistici vigenti». Di conseguenza, costruire un determinato immobile destinandolo all'uso commerciale può risultare molto più oneroso, a parità di cubatura e superficie, rispetto alla scelta di una destinazione agricola);
- c) definisce i contenuti degli standard urbanistici (a norma del d.m. 1444/1968 i «Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti», non operano in modo uniforme su tutto il territorio comunale, ma secondo zone territoriali omogenee individuate dallo stesso decreto);
- d) funge da parametro per la valutazione del carico urbanistico connesso ad un determinato intervento (secondo il quadro delle definizioni uniformi allegato allo schema di regolamento edilizio tipo approvato in attuazione dell’art. 4, comma 1-sexies del d.p.r. 380/2001, per carico urbanistico si intende il fabbisogno di dotazioni territoriali di un determinato immobile o insediamento in relazione alla sua entità e destinazione d’uso; costituiscono variazione del carico urbanistico l’aumento o la riduzione di tale fabbisogno conseguenti all’attuazione di interventi urbanistico-edilizi ovvero a mutamenti di destinazione d’uso).
Mutamenti di destinazione d’uso: l’art. 23-ter del Testo Unico Edilizia
Non solo: la destinazione d'uso è un istituto di natura edilizia che attiene al singolo edificio e alle sue capacità funzionali.
In riferimento al cambio di destinazione d’uso, Palazzo Spada ha ricordato la tradizionale distinzione tra:
- mutamenti di destinazione all’interno della stessa categoria funzionale di riferimento;
- mutamenti che segnano il passaggio da una categoria ad un'altra.
E ancora, un’altra distinzione che si usa fare è tra:
- mutamenti di destinazione accompagnati dalla realizzazione di opere (mutamento strutturale);
- mutamenti di destinazione senza realizzazione di opere (mutamento funzionale).
Di recente il legislatore è intervenuto per aggiungere un nuovo tassello, distinguendo tra:
- mutamento di destinazione d’uso “urbanisticamente rilevante”;
- mutamento di destinazione d’uso “urbanisticamente irrilevante”.
Questa distinzione è stata introdotta con il decreto legge n. 133/201, he ha aggiunto al testo unico per l’edilizia l’articolo 23-ter che così recita:
«Art. 23-ter Mutamento d'uso urbanisticamente rilevante.
1. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa, da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate:
a) residenziale;
a-bis) turistico-ricettiva;
b) produttiva e direzionale;
c) commerciale;
d) rurale.
2. La destinazione d'uso dell'immobile o dell'unità immobiliare è quella stabilita dalla documentazione di cui all'articolo 9-bis, comma 1-bis.
3. Le regioni adeguano la propria legislazione ai princìpi di cui al presente articolo entro novanta giorni dalla data della sua entrata in vigore. Decorso tale termine, trovano applicazione diretta le disposizioni del presente articolo. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito».
Come spiega il Consiglio, la norma segna uno snodo molto importante, anche se pone problemi di coordinamento con le altre disposizioni del d.p.r. 380/2001 e segnatamente con i seguenti articoli:
- art. 3 (definizione degli interventi edilizi e, segnatamente, la nozione di «interventi di nuova costruzione»);
- art. 10 (interventi subordinati a permesso di costruire);
- art. 22 (interventi subordinati a segnalazione certificata di inizio di attività);
- art. 32 (determinazioni delle variazioni essenziali).
Cambio di destinazione d’uso e permesso di costruire
Secondo il Consiglio di Stato, c’è però un dato però emerge chiaramente dall’analisi dell’articolo: posto che esiste una differenza netta tra mutamento della destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale e cambio di destinazione d’uso che operi un passaggio tra diverse categorie funzionali (ad esempio: da rurale a commerciale), il cambio di destinazione tra diverse categorie, anche se operato in assoluta carenza di opere, è riconducibile alla categoria degli «interventi di nuova costruzione» di cui alla lettera e) dell’art. 3 del d.p.r. 380/2001 (ovvero «interventi di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti»), con necessario assoggettamento a permesso di costruire ex art. 10, comma 1, lett. a), dello stesso testo unico e al relativo regime contributivo e sanzionatorio.
Lo confermano anche passate sentenze del Consiglio per cui «Il mutamento della destinazione d'uso tra categorie funzionali ontologicamente diverse, anche senza opere edilizie, ove realizzato senza permesso di costruire, è sanzionabile con la misura ripristinatoria». Questo perché il cambio di destinazione d'uso fra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee integra una vera e propria modificazione edilizia che, incidendo sul carico urbanistico, necessita di un previo permesso di costruire, non assumendo rilevanza l'avvenuta esecuzione di opere.
Sulla base di questi principi, il ricorso è stato respinto: non è possibile attuare un mutamento di destinazione d’uso rilevante in assenza di permesso di costruire, confermando l’illegittimità della trasformazione operata con la destinazione dell'immobile ad attività commerciale in ordine di quella agricola.
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