Cambio destinazione d’uso: necessario il permesso di costruire
di Redazione tecnica - 18/11/2021
Cambio destinazione d’uso e permesso di costruire: uno presuppone l’altro? La risposta è sì, come ha spiegato il Consiglio di Stato, sez. Quarta, con la sentenza n. 7373/2021 emessa a seguito del ricorso di un’Amministrazione Comunale per la riforma della sentenza del TAR Campania (sez. Terza). n. 6425/2020.
Cambio destinazione d’uso e permesso di costruire: la sentenza del TAR
Il TAR aveva infatti dato ragione a una ricorrente in merito al diniego ricevuto alla domanda di permesso di costruire da parte di un’Amministrazione Comunale a seguito della presentazione di:
- domanda di cambio di destinazione d’uso del pianterreno di un immobile, da residenziale a commerciale;
- domanda di accertamento di decadenza di due precedenti permessi di costruire, uno risalente al 2010 relativo al cambio di destinazione da uso residenziale ad uso turistico-ricettivo e l’altro al 2013 relativo al cambio di destinazione d’uso da struttura ricettiva a casa albergo per anziani.
Su questo immobile era già stata presentata un’istanza di cambio di destinazione d’uso nel 2008, con un permesso di costruire che lo aveva qualificato interamente come edificio residenziale.
In particolare il TAR ha motivato la sentenza richiamando l’art. 6 della Legge Regionale Campania n. 21/2003 che consentirebbe di mutare la destinazione di un edificio residenziale in commerciale e ritenendo l’accertamento comunale della decadenza dei precedenti permessi di costruire solo come azioni meramente dichiarative.
Cambio destinazione d’uso è sempre consentito? La sentenza del Consiglio di Stato
Se in riferimento al permesso di costruire per cambio di destinazione d’uso, il giudice di primo grado ha fatto riferimento al carattere derogatorio dell’art. 6 della Legge Regionale n. 21/2003, per cui “Nei comuni di cui all’articolo 1 è consentito, in deroga alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti, il mutamento di destinazione d’uso degli immobili residenziali da adibire all’esercizio di attività produttive, commerciali, turistico - ricettive o di pubblica utilità”, a Palazzo Spada non sono stati dello stesso avviso.
Il Consiglio ha sottolineato il fenomeno di cristallizzazione degli effetti del condono edilizio straordinario che, in linea generale, non consente la modificazione ulteriore dei manufatti sanati, richiedendo sempre, per successivi mutamenti, la conformità ai parametri urbanistici da assodarsi con provvedimenti formali.
Il condono edilizio ha come finalità quella di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, con il rilascio di un titolo che consenta l’ulteriore utilizzazione di un edificio realizzato in tutto o in parte in modo abusivo. Ne consegue, pertanto, che lo stesso non può essere utilizzato:
- per legittimare ulteriori lavori o attività eccedenti la situazione in atto;
- per rendere automaticamente edificabile tutta la zona in cui le opere sanate insistono;
- per consentire ex novo il mutamento di una destinazione difforme da quella in atto, oppure lo svolgimento di qualsivoglia attività economica o imprenditoriale diversa da quella a suo tempo cristallizzata dal provvedimento di condono.
L’assenza di accertamento da parte del comune della decadenza dei titoli nonché delle relative richieste da parte del privato, porta ad affermare che non è stata provata, al momento della domanda di rilascio del nuovo permesso di costruire, la destinazione d’uso residenziale dell’immobile derivante dall’originario permesso di costruire in sanatoria, con conseguente insussistenza del presupposto per l’operatività dell’articolo 6 l.r. n. 21/2003, utile ad accogliere l’istanza.
Il Consiglio ha quindi accolto l’appello e annullato la sentenza di primo grado, precisando che sono fatti salvi gli ulteriori provvedimenti che il comune dovrà eventualmente emanare successivamente alla presentazione, da parte della parte interessata, di un'istanza volta a far dichiarare la decadenza dei precedenti titoli edilizi e a conseguire, in presenza di tutte le condizioni di legge, il rilascio di un nuovo permesso che modifichi la destinazione d’uso dell’immobile.
Legittimità del preavviso di rigetto
Inoltre il Consiglio ha rilevato che nel caso in esame non sussiste violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990 (Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti).
In particolare:
- l’obbligo del preavviso di rigetto non impone, ai fini della legittimità del provvedimento adottato, la confutazione analitica delle deduzioni dell’interessato: è sufficiente la motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno del provvedimento finale;
- l’omessa comunicazione di avvio procedimento di rigetto non annulla gli atti, laddove l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto dispositivo dell’atto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Nel caso in esame è stata rilevata la sostanziale conformità e continuità tra le motivazioni del preavviso di diniego e il provvedimento finale, dato che il motivo ostativo al rilascio del permesso era costituito dall’avvenuto cambio destinazione d’uso in virtù del rilascio del precedente titolo edilizio.
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