CILA, edilizia libera e ordine di demolizione: chiarimenti dal TAR

di Redazione tecnica - 29/02/2024

Se è vero che l’Amministrazione non è tenuta a verificare la sanabilità dell’intervento edilizio prima di emettere l’ordine di demolizione, è altrettanto vero che il provvedimento deve fondarsi su un preciso accertamento istruttorio: la verifica dell’abusività dell’opera e la necessità che la stessa sia assistita da un titolo edilizio.

Intervento in edilizia libera: l'ordine di demolizione è illegittimo

Lo spiega bene il TAR Sicilia con la sentenza del 29 gennaio 2024, n. 373, con la quale ha annullato l’ordine di demolizione impartito per la realizzazione di un locale tecnico in un’area condominiale adibita a parcheggio e per il quale l’Amministrazione contestava l’assenza di un permesso di costruire. I proprietari dell’area avrebbero solo presentato una CILA, riconoscendo l’intervento come tra quelli rientranti in edilizia libera, come previsto all’art. 6 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia).

Secondo l’amministrazione mancava un titolo abilitativo per l’esecuzione delle tramezzature del box e per la realizzazione del soppalco, intervento di rilevanza urbanistico-edilizia non rientrante nell’ambito dell’edilizia libera (oggetto di CILA).

Il TAR ha invece ritenuto che gli interventi effettuati costituiscano una variazione non essenziale (art. 32, comma 1, lett. a)) del d.P.R. n. 380/2001, ovvero rientranti nell’edilizia libera comunicata (CILA) di cui all’art. 6-bis dello stesso Testo Unico Edilizia, soggetti solo a SCIA, con conseguente applicazione della semplice sanzione pecuniaria.

Le responsabilità della PA: la verifica dell'abusività delle opere

Questo perché, se è vero che l’Amministrazione non è tenuta a verificare la sanabilità dell’intervento edilizio prima di emettere l’ordine di demolizione, è altrettanto vero che il provvedimento deve fondarsi su un preciso accertamento istruttorio: la verifica dell’abusività dell’opera e la necessità che la stessa sia assistita da un titolo edilizio.

Nel dettaglio, l’art. 31, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, nell’imporre al Comune di adottare l’ordine di rimozione e/o di demolizione del manufatto qualora ne sia stata accertata l’esecuzione in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali determinate ai sensi dell’art. 32 del medesimo testo normativo - sottende e implica la valutazione di una pluralità di circostanze di fatto e di diritto.

La P.A., tra l’altro, deve appurare:

  • la natura, la consistenza e la tipologia dell’opera così da ricondurla nell’alveo di quelle necessitanti di un titolo edilizio e non già nell’edilizia libera;
  • l’assenza di evidenti indizi di una sua realizzazione in un’epoca in cui non era necessario munirsi di tale titolo autorizzatorio.

L’onere motivazionale in ordine alla contestazione dell’abusività delle opere deve considerarsi inversamente proporzionale alla manifesta evidenza di questi presupposti dovendosi considerare, di regola, sufficiente la mera descrizione dell’intervento edilizio qualora già chiaramente sussumibile nell’ambito di operatività dell’art. 31 e 33 del d.P.R. n. 380/2001.

Si tratta di una regola motivazionale di autoevidenza dell’abuso conforme all’insegnamento della sentenza dell’Adunanza Plenaria 17 ottobre 2017, n. 9 ove si collega la doverosità e la vincolatività dell’ordine di demolizione all’accertamento della realizzazione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo.

Pertanto, a fronte di interventi edilizi riconducibili all’art. 6 del Testo Unico Edilizia (siano essi sussumibili nell’ambito dell’edilizia libera “secca” o dell’edilizia libera oggetto di comunicazione), l’onere di motivazione dell’ordinanza di demolizione del Comune deve ritenersi esteso anche ai profili di fatto e di diritto in grado di escluderne la riconducibilità a tale categoria, giacché l’illegittimo avvio dell’attività edilizia soggetta a mera comunicazione implica esclusivamente l’applicazione una sanzione pecuniaria “secca”.

Cambio di destinazione d'uso: come valutare il passaggio di categoria 

Nel caso in esame, l’area interessata è stata chiusa in forza del titolo rilasciato dall’Ente locale senza cambio di destinazione d’uso. Sul punto spiega il TAR che il mutamento della destinazione d’uso con opere (strutturale) o senza opera (funzionale) presuppone, in ogni caso, una puntuale descrizione delle opere o degli indici (arredi, impianti, punti luce, ecc.) da cui desumere il passaggio da una categoria urbanistica ad un’altra ex art. 23-ter del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.

Questo onere motivazionale non contrasta con la regola giurisprudenziale sopraindicata sull’assenza in capo alla P.A. di un onere di verifica della sanabilità dell’intervento edilizio prima di emettere l’ordine di demolizione, poiché l’attività assoggettata a CILA non solo è libera ma deve essere “soltanto” conosciuta dall’Amministrazione, affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un modesto impatto sul territorio e non dissimulino interventi edilizi necessitanti di specifica autorizzazione.

In questo caso la descrizione delle opere edilizie (portata dall’ordinanza di demolizione) non rileva un evidente mutamento di destinazione d’uso poiché la realizzazione di un soppalco in ferro scatolare con solaio di meno di 2 metri di altezza non è adibito alla permanenza di persone ma ha chiara funzione di mero locale di sgombero e non appare da sola sufficiente ad integrare una funzionale o strutturale modificazione dell’uso.

Il ricorso è stato quindi accolto, annullando l'ordine di demolizione ilegittimamente emesso per interventi rientranti in edilizia libera.

 



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