Codice Appalti 2023: il partenariato pubblico-privato e le concessioni
di Alessandro Boso - 18/07/2023
Il D.lgs. n. 36/2023, recante il nuovo Codice dei contratti pubblici, ha introdotto delle novità significative anche con riguardo alla disciplina del partenariato pubblico e privato e in particolare delle concessioni.
Partenariato pubblico privato: le caratteristiche
Il nuovo Codice Appalti 2023, nell’ottica semplificazione e razionalizzazione della materia dei contratti pubblici, ha ridefinito la nozione di partenariato pubblico privato, chiarendo che non si tratta di una tipologia di contratto contrapposta al contratto di concessione - come poteva apparire dalla disciplina previgente - bensì di una complessa operazione di tipo economico in cui vi rientra, in rapporto di genere a specie, anche l’accordo concessorio.
Il partenariato viene quindi definito all’art. 174 del D.Lgs. n. 36/2023 come un’operazione economica in cui ricorrono congiuntamente le seguenti caratteristiche:
- tra un ente concedente e uno o più operatori economici privati è instaurato un rapporto contrattuale di lungo periodo per raggiungere un risultato di interesse pubblico;
- la copertura dei fabbisogni finanziari connessi alla realizzazione del progetto proviene in misura significativa da risorse reperite dalla parte privata, anche in ragione del rischio operativo assunto dalla medesima;
- alla parte privata spetta il compito di realizzare e gestire il progetto, mentre alla parte pubblica quello di definire gli obiettivi e di verificarne l’attuazione;
- il rischio operativo connesso alla realizzazione dei lavori o alla gestione dei servizi è allocato in capo al soggetto privato.
Per il loro carattere generale, le norme sul partenariato pubblico-privato (PPP) precedono quindi la disciplina delle figure contrattuali tipiche, quali la concessione, la locazione finanziaria e il contratto di disponibilità.
Il partenariato istituzionale
Il nuovo Codice, inoltre, rispetto al precedente, evidenzia che oltre al partenariato di tipo contrattuale, che si sostanza nella stipula di un contratto, anche atipico, esiste un’altra tipologia di partenariato: il partenariato di tipo istituzionale.
Il partenariato istituzionale è caratterizzato dalla creazione di una nuova entità giuridica, a cui poi vengono affidati servizi e attività, come ad esempio una nuova società a partecipazione mista pubblica e privata. Il Codice, con riferimento a tali tipologie di operazioni, rinvia espressamente al testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, e alle altre norme speciali di settore.
Ad ogni modo si noti che il nuovo Codice riserva il ricorso alle forme di partenariato pubblico-privato (sia contrattuale che istituzionale) unicamente ai soggetti qualificati ai sensi dell’art. 63. Ne consegue che una concessione, anche se di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria (per le concessioni la soglia è fissata dall’art. 14 in euro 5.382.000), non potrà essere affidata da una stazione appaltante priva di qualificazione.
Del resto, questo pare coerente con un’altra novità rilevante, ovvero la necessità che il partenariato sia preceduto da una attenta valutazione preliminare di convenienza e fattibilità, che richiede competenze professionali adeguate.
L’art. 175 del Codice prevede, infatti, che il ricorso al partenariato pubblico-privato sia preceduto da una valutazione preliminare di convenienza e fattibilità.
La valutazione si deve focalizzare:
- sull’idoneità del progetto a essere finanziato con risorse private,
- sulle condizioni necessarie a ottimizzare il rapporto tra costi e benefici,
- sulla efficiente allocazione del rischio operativo,
- sulla capacità di generare soluzioni innovative,
- sulla capacità di indebitamento dell’ente e sulla disponibilità di risorse sul bilancio pluriennale, anche attraverso un confronto tra la stima dei costi e dei benefici del progetto di partenariato, nell’arco dell’intera durata del rapporto, con quella del ricorso alternativo al contratto di appalto per un arco temporale equivalente.
Peraltro, finalmente, nel libro IV, si ritrova una disciplina completa ed esaustiva del partenariato, priva dei continui e ampi rinvii alla disciplina degli appalti pubblici, che nella normativa previgente avevano creato non poche difficoltà interpretative.
Le concessioni nel D.Lgs. n. 36/2023
Le norme in materia di concessioni sono la disciplina “di default”, applicabile a tutte le operazioni di partenariato, in assenza di norme speciali.
La concessione è caratterizzata dai seguenti elementi distintivi:
- un corrispettivo, coincidente con il diritto di gestire i lavori o servizi oggetto dei contratti e solo eccezionalmente accompagnato dal pagamento di un prezzo (vedasi la definizione di concessione all’art. 2, comma 1, lettera c), dell’allegato I.1);
- la traslazione in capo al concessionario del c.d. “rischio operativo” (art. 177 d.lgs. 36/2023).
L’art. 177, in linea con quanto previsto dalla c.d. direttiva europea concessioni (direttiva 2014/23/UE), specifica che un elemento imprescindibile della concessione è, appunto, il trasferimento al concessionario di un rischio operativo, legato alla realizzazione dei lavori o alla gestione dei servizi e comprende:
- un rischio dal lato della domanda, ovvero il rischio associato alla effettiva presenza di una domanda dei lavori o dei servizi che sono oggetto del contratto;
- oppure un rischio dal lato dell’offerta, ad esempio il rischio che la fornitura dei servizi non corrisponda, per fatti non imputabili all’operatore, al livello qualitativo e quantitativo dedotto in contratto (in tal caso l’operatore vedrà ridotto il suo corrispettivo in denaro);
- oppure un rischio da entrambi i lati innanzi indicati.
Il nuovo Codice, quindi, prevede la traslazione del rischio operativo anche soltanto dal lato dell’offerta, prescindendo dalla struttura «trilaterale» del rapporto, che sussiste quando i servizi sono resi a degli utenti, nel mercato.
Il D.Lgs. n. 50/2016, invece, laddove stabiliva “la maggior parte dei ricavi di gestione del concessionario proviene dalla vendita dei servizi resi al mercato” (art. 165 comma 1), sembrava circoscrivere la figura della concessione ai soli servizi in grado di finanziarsi prevalentemente con i corrispettivi pagati dagli utenti.
Le 3 categorie di concessione
Conseguentemente all’art. 177 comma 4 le opere oggetto di concessione si distinguono in:
- opere calde: “quelle dotate di una intrinseca capacità di generare reddito attraverso ricavi di utenza, in misura tale da ripagare i costi di investimento e di remunerare adeguatamente il capitale coinvolto nell’arco della vita della concessione”;
- opere tiepide: “quelle che, pur avendo la capacità di generare reddito, non producono, tuttavia, ricavi di utenza in misura tale da ripagare interamente le risorse impiegate per la loro realizzazione, rendendo così necessario un contributo”;
- opere fredde: “quelle per le quali il privato che le realizza e gestisce fornisce direttamente servizi alla Pubblica Amministrazione e trae la propria remunerazione da pagamenti effettuati dalla stessa (ospedali, carceri, scuole et similia)”.
In ogni caso, l’assetto di interessi dedotto nel contratto di concessione deve garantire la conservazione di un equilibrio economico-finanziario, ovvero la contemporanea presenza di:
- convenienza economica
- sostenibilità finanziaria.
In relazione alle opere tiepide, il comma 6 dell’art. 177 dispone che, se l’operazione economica non può da sola conseguire l’equilibrio economico-finanziario (come definito dal comma 5: v. infra), allora è ammesso un intervento pubblico di sostegno. L’intervento pubblico può consistere in un contributo finanziario, nella prestazione di garanzie o nella cessione in proprietà di beni immobili o di altri diritti.
È stato poi eliminato il limite del 49% per il contributo pubblico, indicato agli articoli 165, comma 2, e 180, comma 6, del decreto legislativo n. 50 del 2016 a norma dei quali «[…] in sede di gara l'amministrazione aggiudicatrice può stabilire anche un prezzo consistente in un contributo pubblico ovvero nella cessione di beni immobili. (…) In ogni caso, l'eventuale riconoscimento del prezzo, sommato al valore di eventuali garanzie pubbliche o di ulteriori meccanismi di finanziamento a carico della pubblica amministrazione, non può essere superiore al quarantanove per cento del costo dell'investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari». Il superamento di determinate percentuali (stabilite a livello europeo dalle decisioni Eurostat), dunque, non incide più sulla qualificazione dell’operazione come concessione o appalto, ma può rilevare unicamente sulla contabilità pubblica, come sancito dall’art. 177 comma 7.
Tra le novità del nuovo Codice, vi è anche quella di aver meglio precisato i rapporti tra concessione e finanza di progetto. Non si tratta di due tipologie contrattuali differenti, come appariva nel codice previgente; anche il “project financing” è una concessione, ma ciò che cambia è la modalità del finanziamento dell’opera: nella finanza di progetto la società di scopo isola il progetto e consente di schermarlo dai rischi operativi.
L’art. 178 prevede poi che la durata dei contratti di concessione è di regola non prorogabile, in attuazione di quanto stabilito dalla legge delega n. 78/2022, che sancisce il “divieto di proroga dei contratti di concessione, fatti salvi i princìpi europei in materia di affidamento in house”.
L’affidamento delle concessioni
Con riguardo alle modalità di affidamento delle concessioni, l’art. 187 prevede che i contratti di concessione di valore inferiore alla soglia di rilevanza europea, possano essere assegnati mediante procedura negoziata, senza pubblicazione di un bando di gara, previa consultazione, ove esistenti, di almeno 10 operatori economici, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti, individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici.
Resta ferma la facoltà per l’ente concedente di affidare i contratti di concessione di importo inferiore alla soglia europea mediante le procedure di gara ordinarie disciplinate dagli artt. 182 e ss.
L’art. 183 dispone che la lex specialis e i relativi allegati, ivi compresi lo schema di contratto e il piano economico finanziario, siano definiti in modo da assicurare adeguati livelli di bancabilità, intendendosi per tali la reperibilità sul mercato finanziario di risorse proporzionate ai fabbisogni, la sostenibilità di tali fonti e la congrua redditività del capitale investito.
I criteri di aggiudicazione vengono stabiliti dall’ente concedente che deve indicare le condizioni e le caratteristiche, in particolare tecniche, fisiche, funzionali e giuridiche che ogni offerta deve soddisfare o possedere e deve fornire, nel bando di concessione, una descrizione della concessione e delle condizioni di partecipazione e, nell'invito a presentare offerte o negli altri documenti di gara, una descrizione dei criteri di aggiudicazione e, se del caso, dei requisiti minimi da soddisfare.
I criteri di aggiudicazione:
- sono connessi all'oggetto della concessione;
- non attribuiscono una incondizionata libertà di scelta all’ente concedente;
- includono, tra l'altro, criteri ambientali, sociali o relativi all'innovazione.
L’ente concedente può condurre liberamente negoziazioni con i candidati e gli offerenti. Ma l'oggetto della concessione, i criteri di aggiudicazione e i requisiti minimi non possono essere modificati nel corso delle negoziazioni. Tali negoziazioni sono condotte di regola attraverso un dialogo competitivo ai sensi dell’articolo 74 d.lgs. 36/2023.
Inoltre, l’ente concedente assicura il ricorso alla digitalizzazione della procedura secondo le norme generali in materia di appalti di cui al Libro I, Parte II.
L’art. 185 si chiude con due previsioni tese a garantire la correttezza della procedura e la selezione di una proposta adeguata:
- la commissione aggiudicatrice, prima di assegnare il punteggio all’offerta economica, deve verificare l’adeguatezza e la sostenibilità del piano economico-finanziario;
- i componenti delle commissioni di valutazione devono essere altamente qualificati e competenti; quindi, dotati di esperienze e qualifiche adeguate all’oggetto dell’esame.
È poi sancita la facoltà per il bando di prevedere l’oscuramento dei nomi degli operatori economici che hanno presentato l’offerta, a tutela della riservatezza.
Il regime applicabile al concessionario
Resta da chiedersi se, in base alla nuova normativa, i concessionari pubblici siano obbligati ad espletare procedure ad evidenza pubblica per affidare, a loro volta, servizi e forniture.
L’art. 186 del D.Lgs. n. 36/2023 stabilisce, in generale, che i concessionari applicano le disposizioni del codice in materia di appalti solamente laddove siano stazioni appaltanti.
Inoltre, l’art. 186 introduce per i titolari di concessioni sopra-soglia, in essere alla data di entrata in vigore del codice (escluse quelle dei settori speciali), non affidate conformemente al diritto dell’UE, un obbligo di esternalizzazione, volto a sostituire quanto era già stabilito dall’art. 177 del d.lgs. 50/2016, dichiarato illegittimo con la sentenza n. 218/2021 della Corte costituzionale.
L’articolo 177 citato era stato infatti ritenuto irragionevole e sproporzionato in quanto obbligava i titolari di concessioni affidate direttamente, ad esternalizzare l’80% dei contratti di lavori, servizi e forniture oggetto di concessione, e ad assegnare il restante 20% a società in house o comunque controllate o collegate.
In particolare, la disciplina è apparsa lesiva della libertà di iniziativa economica, perché, non lasciava all’operatore neppure un minimo di residua attività operativa, tramutandolo da soggetto operativo in soggetto preposto ad attività esclusivamente burocratica di affidamento di commesse. Un ulteriore indice della irragionevolezza della norma riguardava il limite applicativo di 150.000 euro, soglia normalmente superata dalla quasi totalità delle concessioni.
Il nuovo Codice ha introdotto una diversa disciplina, prevedendo l’obbligo, per i suddetti titolari di concessioni sopra-soglia, di esternalizzare una quota tra il 50% e il 60% dei contratti di lavori, servizi e forniture.
L’effettiva quota da esternalizzare viene stabilita convenzionalmente dal concedente e dal concessionario, tenendo conto delle modalità di calcolo delle quote stabilite dall’ANAC con la Delibera n. 265 del 20 giugno 2023, recante “Indicazioni sulle modalità di calcolo delle quote di esternalizzazione dei contratti di lavori, servizi e forniture da parte dei titolari di concessioni di lavori e di servizi pubblici non affidate conformemente al diritto dell'Unione europea”,
Tale provvedimento ha chiarito, tra l’altro, che nella base di calcolo delle percentuali individuate dall’articolo 186:
- rientrano i contratti che riguardano tutte le prestazioni da eseguire nel periodo considerato, oggetto della concessione e sono, quindi, necessarie per l’esecuzione della stessa, anche se svolte direttamente dal concessionario;
- non rientrano invece i contratti stipulati per la gestione dell’attività del concessionario nel suo complesso quali, ad esempio, i contratti per l’acquisto di buoni pasto per i dipendenti, per le utenze, per la manutenzione degli immobili, se utilizzati promiscuamente con altre attività svolte dal concessionario”.
La delibera prevede poi l’incremento in termini percentuali della quota minima di esternalizzazione, sulla base di alcuni indici fissati dall’Autorità in base a:
- il valore complessivo della concessione;
- l’oggetto della concessione (solo lavori oppure lavori e servizi);
- la durata residua;
- l’epoca di assegnazione della concessione;
- le dimensioni economiche dell’operatore.
La quota di esternalizzazione incrementata può poi essere riparametrata mediante l’applicazione di decurtazioni ritenute congrue, al ricorrere delle seguenti circostanze:
- il concessionario ha effettuato investimenti recenti non ancora ammortizzati;
- il concessionario ha esternalizzato, in misura superiore al 50 per cento, le prestazioni oggetto della concessione riferite alla parte di contratto già eseguita.
Il meccanismo delineato in realtà non appare del tutto semplice ed automatico, di conseguenza si ipotizza che la determinazione della quota di esternalizzazione genererà non poco contenzioso!
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