Codice Appalti: l’accesso agli atti al vaglio della Corte di Giustizia
di Elena Serra - 18/10/2024
È stata sottoposta alla Corte di Giustizia la questione del corretto bilanciamento tra il diritto di accesso agli atti di una procedura di gara e la contrapposta esigenza di tutelare i segreti tecnici e commerciali presenti nelle offerte tecniche.
La disciplina interna in materia di accesso ai segreti tecnici e commerciali
Il vecchio codice appalti (d.Lgs. n. 50/2016), così come il nuovo approvato con d.Lgs. n. 36/2023, in via generale escludono il diritto di accesso e ogni forma di divulgazione in relazione alle informazioni fornite nell'ambito dell'offerta, o a giustificazione della medesima, che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali.
Tuttavia, l’accesso a tali informazioni, per espressa previsione normativa, è sempre consentito al concorrente ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi, in relazione alla procedura di affidamento del contratto.
La disciplina interna quindi, nell’ambito delle gare d’appalto, dà prevalenza al diritto di accesso rispetto all’esigenza di riservatezza su segreti tecnici e commerciali, laddove il richiedente l’accesso voglia agire in via giurisdizionale per la tutela dei suoi interessi, ad esempio ritenendo illegittima l’aggiudicazione nei confronti di un altro soggetto.
Peraltro, il nuovo codice appalti, conformandosi alla giurisprudenza maggioritaria, ha chiarito che l’accesso, per essere consentito, deve essere “indispensabile ai fini della difesa in giudizio”.
In altri termini, l'accesso in materia di appalti, ha sempre richiesto, quale presupposto imprescindibile, affinché il partecipante potesse prendere visione di tutti i documenti di gara, comprese le offerte degli altri concorrenti contenenti eventuali segreti tecnici o commerciali, la dimostrazione non già di un generico interesse alla tutela in giudizio dei propri interessi giuridicamente rilevanti, ma la concreta necessità (da riguardarsi, restrittivamente, in termini di stretta indispensabilità) di utilizzo della documentazione in uno specifico giudizio, ovvero la sussistenza del concreto nesso di strumentalità tra la documentazione oggetto dell'istanza di accesso e la difesa in giudizio degli interessi dell'istante, quale partecipante alla procedura di gara pubblica il cui esito è controverso (T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 01/06/2023, n. 9373, Consiglio di Stato, Ad. Plen., n. 4/2021).
I dubbi del Consiglio di Stato sull’uso emulativo del diritto di accesso
La prevalenza del diritto di accesso, nei termini innanzi indicati, è ora messa in dubbio dal Consiglio di Stato.
In un appello proposto dall’Avv. Maura Barberio, assieme al Collega Paolo Moroni, avverso un’ordinanza del TAR Sardegna che consentiva l’accesso agli atti nei confronti di un’offerta tecnica oscurata che esponeva (veri) segreti commerciali, il Consiglio di Stato, nella causa n. 2267/2024, ha rilevato che, se sulla base di un giudizio prognostico dovrebbe affermarsi che sussiste ex ante un nesso di necessaria strumentalità fra accesso e difesa in giudizio del richiedente: ex post l’esibizione dei documenti secretati potrebbe rivelarsi inutile ai fini dell’esercizio del diritto di difesa e al contempo dannosa per la tutela dei segreti commerciali della controparte.
Sicché il giudice ha constatato che:
- l’accesso potrebbe essere esposto a un possibile uso emulativo, per carpire gli altrui segreti commerciali senza un effettivo interesse a contestare gli atti di gara, seppure oggetto di impugnazione;
- la disciplina del processo amministrativo italiano non consente di ovviare a tale pericolo, in quanto il giudice amministrativo deve rispettare il principio del contraddittorio che gli impone di decidere sulla base di atti resi noti alle parti e delle censure prospettate dalle parti.
Perciò il Collegio, ne caso specifico, pur avendo preso conoscenza in camera di consiglio dell’offerta tecnica nella sua integralità, ha ritenuto di non poter valutare d’ufficio la legittimità degli atti di gara, né ritenere, una volta visionata l’offerta tecnica, che essa non rilevi ai fini della difesa della parte, perché questo implicherebbe un’inammissibile sostituzione del giudice alla parte, la quale, secondo la legge processuale italiana, ha l’onere di specificità dei motivi di censura (art. 40 comma 1 lett. d) c.p.a.).
Ha quindi concluso che in una situazione siffatta, il diritto nazionale italiano imporrebbe l’ostensione dell’offerta tecnica nella sua integralità, come si desume dall’art. 53 d.Lgs. n. 50/2016 e che anche nel nuovo codice è evidente un marcato favor per l’accesso difensivo a scapito della tutela del segreto commerciale.
Del resto, come correttamente indicato nella sentenza, la regola contenuta nell’art. 53 comma 6 d.Lgs. n. 50/2016 risulta conforme alla Costituzione italiana, la quale prevede una gerarchia tra i molteplici diritti da essa tutelati, a favore della prevalenza dei diritti inviolabili dell’uomo (Corte cost., 7 giugno 2019 n. 141). Pertanto, secondo la Costituzione italiana, la libertà di iniziativa economica ha una tutela condizionata alla non compromissione di altri valori (art. 42 Cost.), fra i quali i diritti inviolabili dell'uomo di cui all’art. 2 Cost. nel cui novero rientra il diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.).
Il diverso approccio del diritto unionale
Ma il Collegio non si è fermato alla norma interna e ha rilevato come la Corte di Giustizia, al contrario, sembra dare generale prevalenza alla regola del divieto di divulgazione dei segreti commerciali, sebbene intesa come regola non assoluta, prevedendone modalità di contemperamento, affidate a incisivi obblighi motivazionali e all’esibizione delle informazioni oggetto di segreti commerciali al giudice, oltre che alle modalità processuali individuate dallo Stato membro.
Quanto al profilo processuale, la Corte di giustizia ha ritenuto che il principio del contraddittorio, seppure costituisca misura dell’equità del processo, “non implica che le parti abbiano un diritto di accesso illimitato e assoluto”, sicché esso può essere “bilanciato con altri diritti e interessi” (Grande Sezione, §§ 131 e 129). La conseguenza è che il giudice deve poter decidere che talune informazioni “non debbano essere trasmesse alle parti e ai loro avvocati”.
Il Consiglio di Stato giunge infine a dubitare che l’art. 39 della direttiva 2014/25/UE, consenta al legislatore nazionale di prevedere che l’accesso difensivo prevalga sempre sui segreti commerciali, senza che alle amministrazioni aggiudicatrici e ai giudici sia consentito di attuare meccanismi di bilanciamento che preservino le finalità concorrenziali alle quali sono preordinate le gare pubbliche.
L’art. 39 cit. prevede infatti che: “Salvo che non sia altrimenti previsto nella presente direttiva o nella legislazione nazionale cui è soggetto l’ente aggiudicatore, in particolare la legislazione riguardante l’accesso alle informazioni, (…) l’ente aggiudicatore non rivela informazioni comunicate dagli operatori economici e da essi considerate riservate, compresi anche, ma non esclusivamente, segreti tecnici o commerciali, nonché gli aspetti riservati delle offerte”.
Il dubbio deriva dalla formulazione letterale dell’art. 39 direttiva 2014/25/UE, che non contiene espresse limitazioni, ma che pare deporre nel senso che non sia consentito, in assenza di adeguato bilanciamento, far prevalere l’accesso difensivo a discapito della tutela dei segreti commerciali.
Viene peraltro evidenziato che un’eventuale diffusione dei segreti tecnici e commerciali è idonea a produrre effetti distorsivi sulla concorrenza, in quanto penalizza l’impresa che ha investito nell’innovazione (non assicurandole un adeguato ritorno dell’investimento realizzato) e avvantaggia le imprese che non investono e che possono approfittare dell’investimento altrui, con conseguenti effetti sull’intero mercato di riferimento.
Sicché la divulgazione di segreti commerciali rischia di compromettere il raggiungimento dell’obiettivo di apertura alla concorrenza delle direttive appalti e l’effetto utile delle stesse.
La questione rimessa alla Corte di giustizia
Il Collegio ha quindi ravvisato i presupposti dell’obbligo di rinvio alla Corte di Giustizia, in quanto non si è in presenza di un atto chiaro in assenza di pronunce sul punto.
Il Collegio, infatti, ritiene coerente con gli obiettivi della direttiva 2014/25/UE il riconoscimento di un margine di apprezzamento alle amministrazioni aggiudicatrici e ai giudici nazionali, evitando di “ingessare” il sistema con la previsione di una regola assoluta e inderogabile, sia essa la prevalenza assoluta del diritto di difesa o piuttosto il divieto assoluto di ostensione dei segreti commerciali.
In considerazione di tutto quanto sopra esposto, il Collegio, con ordinanza n. 8278/2024 ha chiesto alla Corte di giustizia dell’UE di pronunciarsi, ai sensi dell’art. 267 TFUE, sulla seguente questione pregiudiziale: “se l’art. 39, direttiva 2014/25/UE - da cui si desume, così come dall’art. 28 direttiva 2014/23/UE e dall’art. 21 direttiva 2014/24/UE, che il conflitto tra il diritto alla tutela giurisdizionale e il diritto alla tutela dei segreti commerciali è risolto mediante un bilanciamento che non attribuisce necessaria prevalenza al primo - osti alla disciplina nazionale contenuta nell’art. 53 comma 6, d.lgs. n. 50/2016, che dispone di esibire la documentazione contenente segreti tecnici o commerciali nel caso di accesso preordinato alla tutela giurisdizionale, senza prevedere modalità di bilanciamento che tengano conto delle esigenze di tutela dei segreti tecnici o commerciali”.
Certamente sarà interessante la decisione della Corte di Giustizia, che potrebbe stravolgere una prassi oramai consolidata, di netta prevalenza per l’ostensione, a tutto vantaggio di un mercato concorrenziale dove, anche a fronte del veloce progresso tecnologico, l’investimento nel capitale intellettuale e la capacità innovativa delle imprese risultano importanti fattori da preservare.
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