Compenso equo ma non per tutti
di Gianluca Oreto - 09/05/2023
Da qualche anno in Italia, sparite le tariffe professionali, si è cominciato a parlare di equo compenso che, come prevede la Legge 21 Aprile 2023, n. 49 recentemente pubblicata in Gazzetta Ufficiale, viene definito come "la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale".
L'equo compenso nel nuovo Codice dei contratti
Quello dell'equo compenso è un principio su cui il legislatore ha ritenuto dedicare un articolo del nuovo Decreto Legislativo n. 36 del 2023 (Codice dei contratti pubblici) che prevede il divieto per i professionisti di rendere gratuitamente prestazioni d’opera intellettuale "salvo che in casi eccezionali e previa adeguata motivazione". Fatta esclusione di questi casi eccezionali (su cui sono certo si parlerà e scriverà tanto), l'art. 8 del nuovo Codice dei contratti, che titola "Principio di autonomia contrattuale. Divieto di prestazioni d’opera intellettuale a titolo gratuito", prevede per la pubblica amministrazione l’applicazione del principio dell’equo compenso.
Tralasciando i difetti di forma (com'è possibile che un articolo che dispone il divieto di prestazioni gratuite, lascia poi ampio margine di discrezionalità per affidarli senza compenso?), ciò che lascia più perplessi è la stessa nuova Legge n. 49/2023 che, parafrasando il monologo di un vecchio film (The Big Kahuna), sembrerebbe il classico "chewing-gum per risolvere un'equazione algebrica".
Una gomma da masticare che può servire a concentrarsi nel caso in cui si abbia piena coscienza e conoscenza del problema da risolvere. Oppure che non serve assolutamente a nulla se non a dare uno zuccherino, una banale caramella, a una categoria che, dopo l'abrogazione dei minimi tariffari goffamente messa in pratica con il Decreto-Legge 4 luglio 2006, n. 223 (noto a tutti come Decreto Bersani) e un'interminabile serie di provvedimenti e campagne mediatiche contro, vive costantemente sotto l'attacco di chi vede nei professionisti dei meri "prestatori di firma".
Cosa prevede la Legge n. 49/2023
Leggendo i primi articoli della nuova legge, lo zuccherino diventa immediatamente una caramella amara. La nuova norma, infatti, dispone l'equo compenso:
- per gli avvocati;
- per i professionisti iscritti agli ordini e collegi;
- per le professioni non organizzate in ordini o collegi;
ma solo nei rapporti regolati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività professionali svolte:
- in favore di imprese bancarie e assicurative nonché delle loro società controllate, delle loro mandatarie;
- delle imprese che nell’anno precedente al conferimento dell’incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di cinquanta lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro.
Equo compenso per pochi
Sostanzialmente se equo compenso sarà, si può dire che riguarderà solo una piccolissima parte del numero complessivo di professionisti sul quale il legislatore dovrebbe cominciare a fare dei ragionamenti profondamente diversi e slegati dalla prestazione stessa.
Quando si paga una prestazione intellettuale, in realtà, non viene corrisposto un compenso unicamente per quella determinata attività professionale. Un buon professionista (da cui dipende direttamente la qualità del risultato) deve poter mantenere la sua indipendenza e deve potersi aggiornare sulle nuove normative e sui nuovi materiali/tecnologie messi a disposizione dal mercato. Un buon professionista deve avere tempo per maturare un'idea, sviluppare un progetto, confrontarsi e mentre lo fa deve poter anche pagare tasse, imposte, pensione, affitti, licenze, etc...
Tutte considerazioni che sembra siano andate perdute tra modulistiche e prescrizioni che, necessariamente, non riescono mai a comprendere le tante complessità di cui si compone la realtà e su cui l'apporto professionale dovrebbe essere indispensabile come non mai.
Pagare adeguatamente un professionista dovrebbe rappresentare un investimento verso un futuro che, però, sembra non interessare più a nessuno perché al momento si è disposti a spendere oltre 1.000 euro per uno smartphone di ultima generazione che nel migliore dei casi durerà 2/3 anni, ma non si vuole "investire" il giusto (ad esempio) per un progetto da cui dipende la realizzazione di un'opera che ha un impatto diretto sulla società o, molto più semplicemente, per la corretta valutazione del rischio in un cantiere o in una scuola.
Un presente in cui il legislatore ha deciso di proseguire sulla strada dell'appalto integrato per velocizzare le procedure di gara delle opere pubbliche, senza minimamente prendere in considerazione quella indipendenza che dovrebbe garantire la qualità delle opere.
Ogni tanto mi chiedo quale futuro ci riserva questa società. Poi torno a perdermi dietro i continui aggiornamenti normativi e a non prestarci troppa attenzione, pur consapevole che in questo modo il futuro non sarà dei migliori, per nessuno. Nemmeno per quei pochi che al momento possono sentirsi o si sentono tutelati da una nuova legge che, visti i tempi di formulazione, revisione e approvazione, poteva essere più chiara e più inclusiva.
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