Condono edilizio: cosa succede se si ripresenta l'istanza?

di Redazione tecnica - 15/11/2024

La presentazione di una nuova domanda di condono non annulla eventuali istanze originarie, a cui continua ad applicarsi il regime normativo a cui fanno riferimento. La ripresentazione di un’istanza rappresenta infatti l'esigenza di certezza sulla definizione dello stato legittimo dell’immobile oggetto di condono, senza che invece si possa identificare la volontà di riavviare ex novo la pratica rispetto all’epoca in cui questa era stata presentata all’amministrazione.

Condono edilizio: il Consiglio di Stato sulla ripresentazione dell'istanza

Sono questi i presupposti sui quali il Consiglio di Stato ha accolto, con la sentenza del 13 novembre 2024, n. 9097, l’appello di una società che aveva impugnato il parere negativo di compatibilità paesaggistica  in relazione a due istanze di condono edilizio presentate nel 1986 e nel 1995, ai sensi dell’art. 32 della legge n. 47/1985.

Successivamente, nel 2010, la società aveva riproposto l’istanza a cui era seguito, nel 2012, il diniego di compatibilità paesaggistica.

Da qui l'impugnazione del provvedimento: secondo il ricorrente si era ormai formato il silenzio-assenso, tenendo conto del regime normativo del condono vigente al momento della presentazione della domanda e della sua trasmissione all’amministrazione provinciale delegata per il nulla osta paesaggistico, ai sensi dell'art. 32 della legge sul primo condono; più precisamente si sosteneva che fosse applicabile la disposizione nella versione antecedente alle modifiche ad essa introdotte con il terzo condono, e che appunto prevedeva un meccanismo di silenzio-assenso.

Una tesi non condivisa dal TAR, che aveva respinto il ricorso escludendo la formazione del silenzio-assenso: le istanze di condono erano state superate dalla nuova domanda presentata dalla società ricorrente nel 2010, con accorpamento delle due domande originarie, sulla cui base queste ultime dovevano ritenersi rinunciate «per facta concludentia».

Di contro, il regime di tutela paesaggistica ex art. 142 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, è stato ritenuto vigente e il presupposto parere della Soprintendenza era poi considerato «insuperabile» nelle valutazioni di carattere tecnico-discrezionale in esso espresse e sorretto da motivazione adeguata.

Primo condono edilizio: il silenzio assenso sul parere di compatibilità paesaggistica

In appello sono state riproposte le stesse censure, sostenendo che, ai sensi dell’art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, si sarebbe formato il silenzio-assenso secondo la disciplina vigente all’epoca dei fatti.

Le due domande a suo tempo presentate sarebbero rimaste soggette alle rispettive normative del primo e del secondo condono, in ragione della disposizione di cui all’art. 32, comma 43-bis, del D.L. n. 269/2003 (c.d. Terzo Condono Edilizio),  motivo per cui sarebbe applicabile l’art. 32 della citata legge n. 47/1985 nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dapprima dalla legge sul secondo condono, n. 724/1994 e poi dalla legge n. 662/1993, così formulata:

«(l)e modifiche apportate con il presente articolo concernenti l’applicazione delle leggi 28 febbraio 1985, n. 47, e 23 dicembre 1994, n. 724, non si applicano alle domande già presentate ai sensi delle predette leggi».

Ne deriva che il parere dell’autorità preposta al vincolo sarebbe soggetto al meccanismo del silenzio-assenso nel termine di 120 giorni, successivamente aumentato a 180 giorni.

La formazione dell’assenso per silentium - si aggiunge - non sarebbe stata impedita dall’unificazione delle pratiche, voluta dalla stessa amministrazione provinciale, né dalla presentazione di una nuova domanda unitaria, posto che una volontà della società ricorrente in questo senso non sarebbe in alcun modo ricavabile. In ogni caso, anche il nuovo termine di 180 giorni non sarebbe stato rispettato anche in sede di esame della seconda istanza di parere.

Una nuova istanza non costituisce rinuncia tacita alle precedenti

Il Consiglio di Stato ha dato ragione all’appellante: il TAR ha errato innanzitutto nel ritenere che con la presentazione di una nuova istanza di parere riferito ad entrambe le precedenti domande, la società ricorrente abbia tacitamente rinunciato in via tacita a queste ultime e che debba essere posto nel nulla il procedimento a suo tempo avviato, con l’accorpamento delle due domande comunicato dalla Provincia.

Spiegano i giudici di Palazzo Spada che perché possa inferirsi una simile volontà, occorre che il comportamento sia inequivocamente diretto a questo scopo. In assenza di plausibili ragioni per rinunciare ad un effetto “prenotativo” già perfezionatosi, nella ripresentazione dell’istanza sono invece individuabili esigenze di certezza, inerenti alla definizione dello stato legittimo dell’immobile oggetto di condono, senza che invece possa per ciò solo predicarsi la volontà di questa riavviare ex novo la pratica rispetto all’epoca in cui questa era stata presentata all’amministrazione.

Esclusa quindi la rinuncia, è corretto che il procedimento sia stato avviato ex art. 32 della legge sul primo condono, a cui ha fatto seguito la volontà della stessa amministrazione, di accorpare le due istanze affinché fossero esaminate in un unico contesto. Il riscontro comunale si colloca a distanza di quasi un decennio, con l’espressione del parere favorevole della commissione edilizia integrata su entrambe le domande di sanatoria.

Terzo Condono Edilizio: le deroghe per le domande di sanatoria precedenti

Oltretutto nella comunicazione di apertura del nuovo procedimento per il rilascio del parere, l’amministrazione provinciale ha espressamente dichiarato applicabile la disposizione transitoria contenuta nell’art. 32, comma 43-bis, della legge sul terzo condono edilizio , la quale esclude dall’ambito di applicazione di quest’ultimo le domande di sanatoria presentate nel vigore di quelli precedenti.

Conclude il Consiglio che, nel caso in esame, è applicabile l’art. 32 della legge n. 47/1985 nella formulazione antecedente all’intervento ora menzionato, il quale statuiva che qualora il parere delle amministrazioni preposte al vincolo non venisse reso nel termine di 180 giorni previsto, lo stesso «si intende reso in senso favorevole».

Considerato che esso era stato superato, il silenzio assenso si era formato, con conseguente annullamento del parere negativo

 



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