Condono edilizio: occhio ai termini di ultimazione delle opere

di Redazione tecnica - 13/05/2024

Il rispetto dei termini imposti dalla normativa sul condono edilizio per l’ultimazione delle opere è un fattore imprescindibile per poter usufruire della sanatoria.

In particolare, affinché un nuovo immobile possa dirsi ultimato è necessario che, entro i termini di legge, risultino completati i muri perimetrali nonché tutte le coperture superiori, incluso il solaio. Se invece si tratta di opere interne a edifici già esistenti, il concetto di ultimazione dell’opera è legato alla funzionalità del manufatto.

In ogni caso, per considerare l’opera conclusa ai fini della sanatoria, è fondamentale poterne attestare l’esistenza in termini strutturali, e poterne identificare in modo inequivoco la natura e la tipologia.

Condono edilizio: il concetto di ultimazione delle opere

A ribadire il concetto è il Consiglio di Stato con la sentenza del 12 aprile 2024, n. 3361con cui ha rigettato il ricorso per l’annullamento della revoca di tre istanze di condono edilizio, inizialmente accolte dall’Amministrazione interessata.

Nello specifico, il ricorrente ha presentato tre richieste di condono ai sensi del D.L. n. 269/2003, convertito nella Legge n. 326/2003 (Terzo Condono Edilizio) che, all’art. 32, dispone tra le altre cose le misure di repressione dell’abusivismo e la definizione degli illeciti edilizi ma, per quanto riguarda il concetto di ultimazione dell’opera da rispettare ai fini della sanatoria, richiama quanto già previsto dalla Legge n. 47/1985 (c.d. “Primo Condono”).

Si spiega quindi che, per i manufatti ex novo, si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, dunque quando la struttura edilizia risulta conclusa in modo tale da poterne definire la rilevanza urbanistico-edilizia e la specifica natura.

Se invece si tratta di opere interne agli edifici già esistenti e di opere non destinate alla residenza, il concetto di completamento ai fini del condono è legato alla funzionalità, ovvero alla destinazione d’uso. Anche in tal caso, comunque, affinché sia possibile indentificarne inequivocabilmente la natura, la tipologia, e di conseguenza anche la funzionalità, rimane sempre obbligatorio attestare l’esistenza del manufatto in termini strutturali.

Diniego condono dopo sentenza penale favorevole: il Comune può farlo

Sulla base di quanto detto, qualora l’opera non dovesse presentare le caratteristiche per essere considerata “completata” entro i termini imposti dalla normativa, il condono edilizio non potrebbe in alcun modo essere ammesso. In particolare, per quanto riguarda la legge n. 326/2003, possono essere sanati esclusivamente gli abusi che siano stati ultimati entro la data del 31 marzo 2003.

Nel caso in esame, i giudici di Palazzo Spada, come prima quelli del TAR, condividono l’operato dell’Amministrazione che - dopo avere inizialmente disposto l’avviso di diniego delle istanze - le ha invece accolte per l’assoluzione del reato in sede penale, per poi infine esercitare il potere di autotutela e annullarle definitivamente.

È emerso infatti che l’intervento di cambio di destinazione d’uso dell’opera, da artigianale a residenziale, non fosse stato completato entro il rigoroso termine imposto per il rilascio del terzo condono, come confermato anche da sopralluogo disposto nel mese di settembre del 2003. 

Peraltro, concludono i giudici, l’assoluzione del reato in sede penale  risulta irrilevante in relazione al successivo operato del Comune, perché il giudicato penale non determina un vincolo assoluto per l’accertamento dei fatti rilevanti nell’attività di vigilanza edilizia, alla quale l’Amministrazione è sempre tenuta ad adempiere, né può condizionare in modo inderogabile il processo amministrativo. Al contrario, si spiega: “il fatto materiale accertato in sede penale può e deve essere autonomamente valutato nell'ambito del giudizio amministrativo senza che operi al riguardo alcun vincolo di pregiudizialità”.



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