Condono edilizio e opere successive: il Consiglio di Stato sul silenzio-assenso

di Redazione tecnica - 27/10/2024

In presenza di ampliamenti volumetrici significativi e di interventi non autorizzati, successivi alla presentazione di un’istanza di condono, il silenzio-assenso non si applica e l’amministrazione può legittimamente procedere con la demolizione delle opere abusive.

Opere successive a istanza di condono: il Consiglio di Stato sul silenzio assenso

A confermarlo è l’interessante sentenza del Consiglio di Stato del 12 luglio 2024, n. 6257, con cui Palazzo Spada ha respinto l’appello contro il diniego di condono e l’ordine di demolizione di opere abusive eseguite su un fabbricato di due piani, suddiviso in 5 unità immobiliari in comproprietà, sul quale era stata presentata istanza di condono edilizio ai sensi della Legge n. 724/1994.

L’immobile era stato oggetto di significativi interventi di incremento della s.u. e di ampliamento volumetrico comprendenti, tra gli altri, l’ampliamento del deposito a piano terra, una sopraelevazione al primo piano e la realizzazione di una mansarda.

Alla pratica di condono erano stati allegati gli elaborati progettuali e tecnici e il preventivo nulla osta paesaggistico, nonché le ricevute di quanto dovuto a titolo di oblazione, oneri concessori, indennizzo paesaggistico e diritti di segreteria; mentre inizialmente era stato proposto l’accoglimento della domanda, il Comune aveva rifiutato la richiesta di condono sulla base delle seguenti motivazioni:

  • operatività del regime vincolistico di cui alla L. R. Campania n. 21/2003;
  • mancata ultimazione delle opere;
  • incremento della superficie residenziale e del conseguente carico urbanistico;
  • realizzazione di ulteriori opere abusive;

Dopo il diniego di condono, aveva anche ingiunto la demolizione delle opere.

Da qui il ricorso, sul presupposto che sulla pratica si sarebbe già perfezionata con la formazione del silenzio assenso, atteso che l’autorizzazione paesaggistica era già stata rilasciata, la pratica era stata completamente istruita ed era decorso il termine di cui all’art. 35 della L. n. 47/1985. Inoltre la L.R. non era applicabile perché relativa a edificazioni successive alla sua entrata in vigore, le volumetrie aggiuntive non avevano reso “illeggibili” gli interventi oggetto della domanda di condono e, infine, l’immobile doveva, comunque, ritenersi ultimato alla data del 31.12.1993.

Infine, secondo i ricorrenti, gli interventi, consistenti in una ristrutturazione edilizia, erano sanzionabili ai sensi degli artt. 33 e 34 del D.P.R. n. 380/2001 non potendosi qualificare l’intervento realizzato come in totale difformità o con variazioni essenziali rispetto al titolo. Al massimo quindi poteva essere erogata la sanzione pecuniaria ma non quella demolitoria.

Condono edilizio e silenzio assenso: il limite alla realizzazione di nuove opere

Dopo che il TAR aveva respinto il ricorso, il Consiglio di Stato ha fatto altrettanto, muovendo proprio dagli interventi successivi alla presentazione della domanda di condono.

Spiega Palazzo Spada che trova applicazione il disposto di cui all’art. 35, comma 28, della L. n. 47/1985, richiamato dalla regola di cui all’art. 39, comma 1, della L. n. 724/1994, secondo cui “decorsi centoventi giorni dalla presentazione della domanda e, comunque, dopo il versamento della seconda rata dell’oblazione, il presentatore dell’istanza di concessione o autorizzazione in sanatoria può completare sotto la propria responsabilità” le opere oggetto della domanda; a tal fine, “l’interessato notifica al Comune il proprio intendimento, allegando perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi, ed inizia i lavori non prima di trenta giorni dalla data della notificazione”.

In definitiva, la pendenza dell’istanza di condono non preclude in assoluto la possibilità di intervenire sugli immobili rispetto ai quali pende l’istanza stessa, ma impone, a pena di assoggettamento della medesima sanzione prevista per l’immobile abusivo cui ineriscono, che ciò debba avvenire nei limiti e nel rispetto delle procedure di legge.

Nel caso di specie, risultano realizzate numerose opere prive di titolo, incidenti anche in modo significativo sulla superficie e sulla volumetria del complessivo immobile, motivo per cui si applica il principio “quando l’immobile abusivo non è meramente integrato, ma è radicalmente sostituito da un altro edificio, l’istanza di condono già proposta va dichiarata improcedibile stante la radicale trasformazione dell’oggetto originario”.

Per altro, spiega il Consiglio, era sostanzialmente impossibile scorporare le precedenti opere di cui alla domanda di condono rispetto alla struttura nella sua attuale consistenza, avendo inciso sulle complessive caratteristiche planivolumetriche e di sagoma dell’intero immobile, con la realizzazione di un organismo edilizio nettamente diverso rispetto a quello originario, e interessando, tra l’altro, i piani ove erano già stati realizzate le opere senza titolo oggetto della domanda di condono.

Silenzio assenso su domanda di condono: i presupposti

Ad ogni modo, non è comunque, predicabile l’intervenuta formazione del silenzio-assenso sull’istanza di condono. Infatti, secondo la costante giurisprudenza amministrativa, perché possa formarsi il silenzio-assenso su un'istanza di condono edilizio, il termine di ventiquattro mesi decorre dalla presentazione della medesima domanda, a condizione che la stessa risulti completa in ogni sua parte.

Inoltre, il titolo abilitativo tacito può formarsi per effetto del silenzio assenso soltanto se la domanda di sanatoria presentata possegga i requisiti soggettivi e oggettivi per essere accolta, in quanto la mancanza di taluno di questi impedisce in radice che possa avviarsi il procedimento di sanatoria, in cui il decorso del tempo è mero co-elemento costitutivo della fattispecie autorizzativa.

Di fatto, la radicale trasformazione dell’immobile operata mediante l’esecuzione di ulteriori opere prive di titolo edilizio rende insussistenti i requisiti oggettivi richiesti per l’accoglimento dell’istanza, precludendo la formazione del silenzio-assenso.

Ordine di demolizione: atto dovuto e vincolato

Inoltre, ricorda Palazzo Spada, l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, con la conseguenza che è dotata di un’adeguata e sufficiente motivazione se contiene la descrizione delle opere abusive e le ragioni della loro abusività.

Ne consegue che non è necessario che l’amministrazione individui un interesse pubblico – diverso dalle mere esigenze di rispristino della legalità violata – idonee a giustificare l’ordine di demolizione.

Tali principi valgono anche nel caso in cui l’ordine di demolizione venga adottato a notevole distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, atteso che a fronte della realizzazione di un immobile abusivo non è configurabile alcun affidamento del privato meritevole di tutela; l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato ha infatti chiarito che “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso neanche nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino”.

Sanzione pecuniaria: quando si applica

Infine, la sanzione pecuniaria rappresenta una misura prevista per l’eventuale inottemperanza all’ordinanza e, quindi, applicabile solo all’esito dell’apposito procedimento di accertamento del mancato adempimento e di verifica della colpevolezza del destinatario dell’ordine.

Tenendo conto che gli interventi hanno determinato notevoli incrementi di superficie e volume della struttura originariamente assentita, conducendo, quindi, ad un manufatto in totale difformità rispetto a quello che era consentito realizzare, è stata correttamente applicata la sanzione demolitoria di cui all’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001.

Né tale conclusione è revocabile in dubbio evocando la disciplina di cui all’art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004 (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio), che attiene alla concorrente sanzione per violazione della normativa paesaggistica, la quale non esclude l’applicazione delle disposizioni relative alla repressione dell’attività edilizia senza titolo.



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