Condono edilizio e ordine di demolizione: occhio alle verifiche del giudice dell'esecuzione
di Redazione tecnica - 08/06/2024
Chi intenda avvalersi di una facoltà o un beneficio previsti dalla legge, in linea generale, è tenuto a fornire delle prove che dimostrino la sussistenza dei presupposti per l’accesso, non potendo tali prove essere poste a carico del giudice competente.
In materia di esecuzione penale, però, il discorso è differente. Difatti, in tal caso, il soggetto che invoca un provvedimento giurisdizionale favorevole, come la revoca dell’ordine di demolizione, non è tenuto all’onere probatorio, ma solo un onere di allegazione, cioè un dovere di prospettare e indicare specificatamente i fatti sui quali si basa la richiesta, che devono poi essere accertati e verificati dall’autorità giudiziaria.
Tale procedura si applica appunto anche in ambito di reati edilizi, in relazione ai quali l’onere probatorio incombe sul giudice; pertanto, se questo non provvede ai dovuti accertamenti, il provvedimento disposto in assenza di adeguate prove dev’essere annullato.
Revoca ordine di demolizione: rigetto invalido in assenza di prove
Lo ha spiegato la Corte di Cassazione con la sentenza del 15 aprile 2024 n. 15413, che ha accolto il ricorso proposto per l’annullamento dell’ordine di demolizione relativo ad opere che sono state oggetto di condono ai sensi della L. 326/2003 (Terzo Condono Edilizio), poi annullato e successivamente ripristinato.
Spiegano gli ermellini che nei casi nei quali un soggetto dovesse invocare, in sede esecutiva, la sospensione o la revoca dell’ordine di demolizione, egli è tenuto appunto a specificare e indicare le ragioni e i fatti sui quali si basa la richiesta; motivazioni che devono poi essere oggetto di verifiche e accertamenti da parte dell’autorità competente.
Nel caso in esame sono emerse in merito ai controlli diverse inadempienze imputabili sia al primo Giudice dell’esecuzione, sia al G.I.P. in sede di giudizio di rinvio.
In particolare, nel 2004 la ricorrente aveva presentato domanda di condono edilizio - per la realizzazione di un manufatto già oggetto di sanzione demolitoria - poi accolta dal Comune mediante provvedimento dirigenziale 10 anni dopo. Successivamente, a distanza di qualche anno, l’autorità comunale emetteva provvedimento di diniego definitivo del condono precedentemente rilasciato per mancanza dei presupposti di accoglimento, con conseguente emissione di nuovo ordine di demolizione.
La ricorrente proponeva a quel punto ricorso dinanzi al TAR, che provvedeva ad annullare sia il provvedimento di diniego che l’ordinanza di ripristino, con conseguente reviviscenza del titolo edilizio in sanatoria.
In sede di rinvio poi, Il G.I.P. ha ritenuto che:
- la decisione del TAR fosse basata su esclusive ragioni formali, avendo omesso qualsiasi valutazione in merito alla sussistenza dei presupposti di rilascio del condono
- lo stesso provvedimento avente valore di condono non fosse stato emesso validamente dal Comune, in quanto le opere, in ogni caso, non sarebbero state sanabili.
Verifica presupposti di sanabilità: quali elementi obbligatori
In entrambi i casi i Giudici non hanno provveduto ad attuare le dovute perizie per verificare realmente la sussistenza o meno dei presupposti di sanabilità.
Si fa presente infatti che il giudice dell’esecuzione, ai fini della revoca dell’ordine di demolizione di un immobile oggetto di condono, è sempre tenuto a verificare la legittimità del sopravvenuto atto concessorio, con particolare riguardo a:
- la normativa applicabile;
- la legittimazione di colui che abbia ottenuto la sanatoria;
- la tempestività della domanda;
- il rispetto dei requisiti strutturali e temporali per la sanabilità;
- il tipo di vincolo esistente, in caso di immobili ubicati in area sottoposta a vincoli;
- la sussistenza dei requisiti volumetrici o di destinazione d’uso.
Nel caso in questione tali valutazioni obbligatorie non sono state effettuate. Il Giudice infatti avrebbe dovuto disporre una perizia per verificare la sussistenza o meno delle circostanze segnalate, invece si è limitato a ritenere fondati i rilievi mossi, senza fornire alcuna indicazione in ordine alle fonti probatorie atte a giustificare l’efficacia dell’ordine di demolizione, e non dando peraltro alcuna risposta in merito alle motivazioni mosse dalla difesa, che dimostrano la validità del condono, in quanto:
- la domanda di condono ex art. 32 dl. n. 269 del 2003 convertito in I. n. 376 del 2003, deve verosimilmente ritenersi legittima, in considerazione del principio del favor rei e in assenza di prova contraria, che il completamento della tompagnatura sia avvenuto in epoca pienamente compatibile con il termine del 31 marzo 2003;
- la ritenuta insussistenza del requisito volumetrico (limite dei 30% della parte condonata rispetto all'esistente assentito) da parte del P.M. non è stata basata su dati concreti né concretamente verificata dal Giudice dell'Esecuzione;
- non era esistente un vincolo di inedificabilità assoluta, contrariamente a quanto prospettato nel provvedimento impugnato.
Non si può quindi ritenere assolto l’onere di valutazione e accertamento, così come non si può considerare logica ed esauriente la motivazione su cui si basa il diniego di revoca o sospensione dell’ordine di demolizione, non essendo stata condotta l’istruttoria obbligatoria finalizzata alla verifica della sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto.
I giudici della Corte hanno quindi disposto all’accoglimento del ricorso con rinvio al Tribunale per nuovo esame.
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