Condono edilizio: il presupposto per ottenere la sanatoria
di Redazione tecnica - 16/06/2023
Nel 2023 le uniche possibilità di sanare una irregolarità edilizia sono contenute all'interno del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) che limita la sanatoria di eventuali opere realizzate in assenza o in difformità dal permesso di costruire o dalla segnalazione certificata di inizio attività alternativa (o pesante) al possesso della cosiddetta doppia conformità.
Sanatoria edilizia: l'accertamento di conformità
In attesa che il legislatore intervenga con una riforma del T.U. Edilizia che prenda in seria considerazione lo stato di fatto del patrimonio immobiliare italiano e considerate le poche speranze che possa arrivare una nuova legge straordinaria sul condono edilizio, ad oggi possono essere sanati solamente gli abusi di tipo formale. Stiamo parlando di difformità edilizie di tipo "documentale", ovvero quegli interventi che pur essendo stati eseguiti senza titolo sono in possesso della doppia conformità.
L'art. 36 del T.U. Edilizia consente l'ottenimento del permesso di costruire in sanatoria, a seguito di istanza presentata dal responsabile dell’abuso o dall’attuale proprietario dell’immobile, solo se l'intervento da sanare risulti essere conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente:
- al momento della realizzazione dell'abuso;
- al momento della presentazione della domanda.
Condizioni che devono sussistere contemporaneamente.
Condono edilizio: le tre leggi speciali
Diversamente dall'accertamento di conformità, nel nostro Paese sono state pubblicate 3 leggi speciali:
- la Legge 28 febbraio 1985, n. 47;
- la Legge 23 dicembre 1994, n. 724;
- la Legge 24 novembre 2003, n. 326;
che in momenti diversi e con requisiti, adempimenti e finestre temporali precise, hanno consentito la sanatoria di opere realizzate:
- senza licenza o concessione edilizia o autorizzazione a costruire prescritte da norme di legge o di regolamento, ovvero in difformità dalle stesse;
- in base a licenza o concessione edilizia o autorizzazione annullata, decaduta o comunque divenuta inefficace, ovvero nei cui confronti sia in corso procedimento di annullamento o di declaratoria di decadenza in sede giudiziaria o amministrativa.
Molte di queste istanze sono ancora pendenti all'interno delle pubbliche amministrazioni. Molte altre sono ancora in corso di definizione a seguito dell'intervento dei tribunali. È il caso della sentenza del Consiglio di Stato 14 giugno 2023, n. 5871 che ci consente di approfondire il tema legato al condono edilizio ed, in particolare, quello relativo alla prova della data di realizzazione dell'intervento.
La sentenza del Consiglio di Stato
Nel caso di specie viene appellata una sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso presentato e confermato l'operato della pubblica amministrazione che aveva rigettato la domanda di condono edilizio ed ordinato la demolizione delle opere edili abusive realizzate, nonché la rimessa in pristino dello stato dei luoghi.
In secondo grado il ricorrente ha denunciato i seguenti errori che sarebbero stati commessi dai giudici del TAR:
- la data di realizzazione dell'opera;
- la mancata notifica del preavviso di diniego;
- la mancata valutazione paesaggistica.
La data di realizzazione dell'opera
Come evidenziato dal TAR e confermato dal Consiglio di Stato, il presupposto del diniego di condono edilizio si incentra sul rilievo che l’accertamento per stabilire l’epoca di realizzazione delle opere deve basarsi su dati oggettivamente riscontrabili.
In tema di condono edilizio esiste un consolidato orientamento giurisprudenziale a mente del quale nel procedimento istruttorio propedeutico al rilascio del permesso di costruire in sanatoria, la parte istante è onerata della prova della data di realizzazione in epoca del manufatto da sanare.
L'onere della prova dell'ultimazione dei lavori grava sul richiedente la sanatoria, in quanto, mentre l'amministrazione comunale non è normalmente in grado di accertare la situazione edilizia di tutto il proprio territorio alla data indicata dalla normativa sul condono, colui che lo richiede può, di regola, procurarsi la documentazione da cui si possa desumere che l'abuso sia stato effettivamente realizzato entro la data prevista.
Nel caso di specie, tale onere non è stato correttamente assolto dai ricorrenti, posto che l’esito della verificazione, disposta dai giudici di prime cure, smentisce le allegazioni documentali prodotte dagli appellanti.
La notifica del preavviso di diniego
Per quanto riguarda la mancata partecipazione del ricorrente, anche in questo caso esistono dei principi consolidati che fanno capo all'art. 21-octies della Legge n. 241/1990 che al comma 2 dispone:
Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. La disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell’articolo 10-bis.
L'ordine demolitorio che segue all'attività di controllo e di vigilanza della pubblica amministrazione è un atto vincolato che, considerato il diniego all'istanza di condono, non avrebbe potuto essere diverso.
La valutazione paesaggistica e il frazionamento dell'abuso
Viene, inoltre, contestato che il provvedimento impugnato sarebbe stato illegittimo perché non preceduto dalla valutazione paesaggistica e che non sarebbe stata valutata la possibilità di conseguimento della sanatoria ordinaria. Anche in questo caso viene ripreso un principio consolidato per il quale non è ammissibile la sanatoria di una costruzione quando la richiesta d’accertamento di conformità sia presentata frazionando l'unità immobiliare in plurimi interventi edilizi.
È, infatti, illecito l'espediente di denunciare fittiziamente la realizzazione di plurime opere non collegate tra loro, quando, invece, le stesse risultano finalizzate alla realizzazione di un unico manufatto e sono a esso funzionali, così da costituire una costruzione unica.
La conformità urbanistica e paesaggistica dell’immobile, oggetto di plurimi interventi abusivi, va valutata nella sua interezza, non già parcellizzando le singole opere fino al punto d’esaminarle singolarmente una per una, come avulse dall’impatto complessivo che esse effettivamente determinano sul fabbricato, e, di conseguenza, sull’assetto urbanistico e paesaggistico preesistente.
Nel caso di specie le opere realizzate mutando la conformazione estetica fruibile dall’esterno, violano le prescrizioni contenute nel PRG e nel PUT. Detti interventi, contrariamente a quanto dedotto dagli appellanti, sarebbero assoggettati a permesso di costruire(art. 10, lett. c), d.P.R. 380 del 2001).
Dunque, una volta verificato il radicale contrasto delle opere con la disciplina urbanistica della zona, sarebbe stato contrario ai principi di non aggravamento del procedimento amministrativo, d’efficienza ed economicità dell’azione amministrativa domandare e ricevere il parere sugli aspetti paesaggistici.
La valutazione dell’amministrazione preposta alla cura del vincolo, quand’anche favorevole, non avrebbe prodotto alcun risultato utile per l’istante.
Conclusioni
Concludendo, il Consiglio di Stato ha confermato che la sanzione ripristinatoria è un atto vincolato che non richiede:
- specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico;
- comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati;
- alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può legittimare.
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