Condono edilizio e realizzazione nuove opere: le conseguenze
di Redazione tecnica - 18/10/2024
La prosecuzione indebita di ulteriori opere su un immobile già oggetto di istanza di condono pendente - ad eccezione dei soli lavori di completamento - costituisce un illecito al pari di quello già realizzato, in quanto la presentazione della domanda di condono non autorizza in alcun modo l’interessato a completare, né tantomeno a trasformare o ampliare, i manufatti su cui pende l’istanza di sanatoria, che comunque rimangono abusivi fino alla definizione dell’istanza.
Per questo motivo, le opere edilizie realizzate successivamente al manufatto abusivo seguono la stessa sorte dell’immobile oggetto del condono, con conseguente applicazione dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia).
Prosecuzione lavori con condono pendente: obbligo di demolizione
Sulla base di questi presupposti, il Consiglio di Stato, con la sentenza del 13 settembre 2024, n. 7568, ha respinto l’appello proposto contro l’atto di acquisizione al patrimonio comunale di un immobile abusivo su cui pendeva istanza di condono edilizio, in seguito all’avvenuto accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione di ulteriori opere abusive realizzate prima che la sanatoria venisse esitata.
Le opere in questione, si spiega, non potevano considerate come lavori di completamento, bensì erano qualificabili a tutti gli effetti come interventi di trasformazione edilizia, in quanto avevano determinato incrementi, seppur contenuti, di volume e superficie utile.
Secondo giurisprudenza consolidata, in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (pur se riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, della ristrutturazione o della costruzione di opere costituenti pertinenze urbanistiche), ripetono le caratteristiche d'illiceità dell'opera abusiva cui ineriscono strutturalmente, giacché la presentazione della domanda di condono non autorizza l'interessato a completare ad libitum e men che mai a trasformare o ampliare i manufatti oggetto di siffatta richiesta, stante la permanenza dell'illecito fino alla sanatoria.
Per altro, come accertato con sopralluogo, le opere realizzate non costituivano opere di completamento consentite dall’art. 35 della legge n. 47/1985, ma erano qualificabili come interventi di trasformazione edilizia, in quanto hanno determinato, da un lato, un incremento di volumetria e superficie utile attraverso la realizzazione di un servizio igienico ottenuto occupando una parte del volume relativo al vano scale adiacente, dall’altro, la realizzazione di un soppalco nell’ambiente a giorno di significative dimensioni ed altezza.
Acquisizione al patrimonio comunale: atto dovuto se non si demolisce
Una volta accertata l’inottemperanza all’ordine di demolizione disposto per le nuove opere di ampliamento, il Comune ha regolarmente provveduto all’emissione dell’atto di acquisizione dei beni e dell’area di sedime al patrimonio comunale.
Solo allora il ricorrente ha presentato istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del TUE ritenuta quindi correttamente irricevibile.
Si fa presente in particolare che l’art. 31, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) prevede l’obbligo per il Comune di disporre l’acquisizione gratuita del bene e dell’area di sedime al patrimonio comunale qualora il soggetto responsabile dell’esecuzione di interventi realizzati in assenza, in totale difformità o con variazioni essenziali al permesso di costruire non dovesse provvedere alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi entro un termine massimo di 90 giorni dall’emissione dell’ingiunzione.
L’applicazione di tale disposizione è doverosa e obbligatoria per il Comune, ad eccezione dei casi per i quali sia stata dedotta e comprovata la non imputabilità dell’inottemperanza oppure il soggetto abbia ottenuto, prima dell’irrogazione delle sanzioni amministrative, l’accoglimento dell’istanza di accertamento di conformità di cui all’art. 36 del TUE, e quindi l’abuso - pur essendo stato realizzato senza titoli o in difformità dagli stessi - risulti conforme alla disciplina urbanistico-edilizia vigente sia al momento della realizzazione degli abusi che al momento della presentazione della domanda di sanatoria.
Si rileva peraltro che il ricorrente non ha compiutamente comprovato la non imputabilità dell’inottemperanza, e quindi l’atto di acquisizione del bene al patrimonio comunale costituiva, senza alcun dubbio, un atto dovuto.
Sul punto i giudici ribadiscono infatti i principi di diritto già sanciti dall’Adunanza Plenaria del Consiglio, secondo cui:
- “la mancata ottemperanza all’ordine di demolizione entro il termine da esso fissato comporta la perduranza di una situazione contra ius e costituisce un illecito amministrativo omissivo propter rem, distinto dal precedente illecito - avente anche rilevanza penale - commesso con la realizzazione delle opere abusive”;
- “l’atto di acquisizione del bene al patrimonio comunale, emesso ai sensi dell’art. 31, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, ha natura dichiarativa e comporta - in base alle regole dell’obbligo propter rem - l’acquisto ipso iure del bene identificato nell’ordinanza di demolizione alla scadenza del termine di 90 giorni fissato con l’ordinanza di demolizione.”
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