Condono edilizio: il TAR sul vincolo di inedificabilità

di Redazione tecnica - 13/12/2024

Nel caso di sopravvenienza di un vincolo di protezione, come quello idrogeologico, l'amministrazione competente ad esaminare l'istanza di condono proposta ai sensi della legge n. 47/1985 (Primo Condono Edilizio) deve pronunciarsi tenendo conto del quadro normativo vigente al momento in cui esercita i propri poteri consultivi.

Ne deriva che è pienamente legittimo il diniego di condono ai sensi della Legge n. 326/2003 (Terzo Condono Edilizio) per abusi realizzati su area a vincolo idrogeologico, anche se questo è stato apposto successivamente, tanto più se la normativa regionale in merito è più restrittiva di quella statale.

Terzo condono edilizio: il TAR sul vincolo di inedificabilità

A spiegarlo è il TAR Lazio con la sentenza del 28 novembre 2024, n. 21453, con cui ha confermato la legittimità del diniego di condono opposto da un'Amministrazione comunale su opere abusive consistenti nella chiusura di un vano sottoscala finalizzata alla creazione di un bagno.

Dopo avere comunicato l’avvio del procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica e avere espresso parere favorevole alla sanatoria dell’intervento oggetto di richiesta di condono edilizio, presentata ai sensi della L. n. 47/1985, della L. n. 326/2003 e della L.R. del Lazio n. 12/2004, il Comune ha invece negato il condono in quanto la domanda riguardava un abuso sostanziale in area sottoposta a vincolo idrogeologico, in assenza e mancata richiesta, del nulla osta dell’Autorità idraulica competente.

Da qui il ricorso dei proprietari dell'immobile, i quali hanno specificato che:

  • l’art. 32, comma 27, del D.L. n. 269/2003, convertito in L. n. 326/2003 prevede che “fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora: […] d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”;
  • ai sensi del successivo art. 33, il vincolo di inedificabilità assoluta non potrebbe operare in modo retroattivo,
  • diversa è la disciplina delle ipotesi di inedificabilità relativa, disciplinate dall’art. 32 l. n. 47/1985, per cui, al contrario, l’esistenza del vincolo va valutata alla data di esame della domanda di condono, secondo il principio del tempus regit actum;
  • l’obbligatorietà del parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo idrogeologico sarebbe stata illegittima in quanto prevista dalle NTA ma non dall’art. 33, l. n. 47/1985, che non impone che debbano prevalere sulla sanabilità dell’opera i vincoli d’inedificabilità assoluta sopravvenuti alla commissione dell’abuso.

Non solo: i ricorrenti hanno presentato una memoria nella quale hanno sostenuto che l’abuso oggetto del provvedimento gravato sarebbe soggetto alla disciplina del sopravvenuto art. 34 ter, comma 4, del Testo Unico Edilizia, aggiunto dalla legge n. 105/2024 (c.d. "Salva Casa") sostenendo che la difformità in contestazione rientra nelle nuove tolleranze costruttive e, pertanto, nessuna violazione rilevante alle norme edilizie sarebbe stata posta in essere.

Vincolo di inedificabilità: necessario il parere dell'autorità competente

Nel valutare la questione, il TAR ha specificato che costituisce ius receptum che il vincolo su un'area, ancorché sopravvenuto all'intervento edilizio, non può restare senza conseguenze sul piano giuridico, dovendo ritenersi sussistente l'onere procedimentale di acquisire il parere dell'autorità preposta alla tutela del vincolo in ordine all'assentibilità della domanda di sanatoria in quanto, nel caso di sopravvenienza di un vincolo di protezione, l'amministrazione competente ad esaminare l'istanza di condono proposta ai sensi della l. 47 del 1985 pronunciarsi tenendo conto del quadro normativo vigente al momento in cui esercita i propri poteri consultivi.

In particolare, poi, in considerazione del fatto che la disciplina di maggior rigore introdotta nell'esercizio delle proprie prerogative dal legislatore regionale (art. 3, comma 1, lett. b), l.r. Lazio n. 12/2004) non rende sanabili le opere che determinano un aumento di volume e di superficie realizzate anche prima dell'apposizione del vincolo, il TAR ritiene che, a fronte della realizzazione di un immobile in area plurivincolata che ha comportato un ampliamento dell'abitazione, l'Amministrazione abbia legittimamente respinto la relativa istanza di condono senza attendere il parere dell'Autorità preposta al vincolo, in quanto le sue valutazioni non avrebbero potuto influire sulla decisione dell'Amministrazione procedente.

Sì a norme regionali più restrittive

Proprio sulla L.R. Lazio n. 12/2004, la Corte Costituzionale ha affermato che:

  • il legislatore regionale non può "ampliare i limiti applicativi della sanatoria", né "allargare l'area del condono edilizio rispetto a quanto stabilito dalla legge dello Stato";
  • al legislatore regionale compete "l'articolazione e la specificazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale" e, in questo contesto, gli spetta il compito di farsi garante dei valori paesaggistico-ambientali e archeologici, che rischierebbero di essere ulteriormente compromessi da un ampliamento del regime condonistico;
  • l'intervento regionale può essere diretto solo a introdurre una disciplina più restrittiva di quella statale, nell'esercizio delle competenze in materia di "governo del territorio", e quindi anche "a proteggere meglio gli anzidetti valori".

Inoltre, “il regime più restrittivo introdotto dalla legge regionale ha come obiettivo la tutela di valori che presentano precipuo rilievo costituzionale, quali quelli paesaggistici, ambientali, idrogeologici e archeologici, sicché non è irragionevole che il legislatore regionale, nel bilanciare gli interessi in gioco, abbia scelto di proteggerli maggiormente, restringendo l'ambito applicativo del condono statale, sempre restando nel limite delle sue attribuzioni".

Il ricorso è stato quindi respinto: il Comune ha quindi legittimamente negato il condono, considerata l’impossibilità di ottenere l’autorizzazione paesaggistica.

Infine, conclude il TAR, non sarebbe stato possibile pensare di ottenere la sanatoria anche alla luce delle nuove disposizioni introdotte dal Salva Casa: in assenza di ulteriori determinazioni comunali, non ha rilievo l’attivazione della procedura ex art. 34-bis d.P.R. n. 380/2001 introdotto dalla legge n. 105/2024. La norma peraltro, è successiva rispetto al provvedimento impugnato, per cui non avrebbe potuto incidere sulla legittimità del diniego, secondo il principio tempus regit actum.



© Riproduzione riservata

Documenti Allegati

Sentenza