Condono edilizio e vincolo di inedificabilità relativa: i limiti imposti dalla legge
di Redazione tecnica - 27/10/2023
Nello spazio tra vincolo di inedificabilità assoluta e vincolo di inedificabilità relativa si trovano delle zone grigie entro le quali molto spesso i privati agiscono, nella speranza di ottenere il condono edilizio. E ce l’avevano quasi fatta i proprietari di una veranda abusiva, se non fosse che il Consiglio di Stato si è opposto, confermando la natura non pertinenziale, ma di “nuova costruzione” del manufatto.
Condono edilizio e veranda abusiva: il no del Consiglio di Stato
Ma andiamo con ordine: la questione, affrontata da Palazzo Spada con la sentenza del 12 ottobre 2023, n. 8901, riguarda una veranda abusiva realizzata in area soggetta a vincolo paesistico, sulla quale era stata presentata istanza di condono ex art. 32, D.L. n. 269/2003 (c.d. “Terzo Condono Edilizio”). Il Comune aveva respinto la richiesta, qualificando l’abuso quale “nuova costruzione” e come tale rientrante nella “tipologia 1” dell’allegato n. 1 al citato decreto legge, per cui “il comma 26 lett. a), in combinato con il comma 27, lett. d) del sopraccitato art. 32 esclude dalla sanatoria le tipologie di illecito di cui all’allegato 1) – tipologia 1, nelle zone vincolate”.
Da qui il ricorso dei proprietari al TAR, che lo aveva accolto. Secondo il giudice amministrativo, la presenza di un vincolo paesistico non rappresenta un ostacolo insuperabile alla concessione del condono, atteso che l’art. 32 comma 27, del D.L. n. 269/2003 consente la sanatoria in caso di vincoli di inedificabilità relativa, qual è il vincolo paesistico imposto nel caso di specie.
Ricordiamo che il condono in area vincolata si può ottenere al ricorrere di tutte le seguenti condizioni:
- opere realizzate prima dell’imposizione del vincolo;
- opere che pur realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, siano conformi alle prescrizioni urbanistiche;
- opere di minore rilevanza, corrispondenti alle tipologie di illeciti di cui ai nn. 4, 5, e 6 dell’allegato 1 al decreto legge 30 settembre 2003, n. 269 (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria);
- ci sia il parere favorevole dell’autorità preposta al vincolo.
Tornando al caso in esame, il TAR aveva considerato la veranda alla stregua di pertinenza minore, inquadrandola all’interno della tipologia 2 - allegato n. 1 al decreto legge n. 269/2003, evidenziando che l’art. 2 comma 1, LR n. 31/2004 – che integra e specifica l’art. 32, DL n. 269/2003 – ammette il condono per le “pertinenze minori” ex art. 3, d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia).
Una veranda non è un'opera minore o pertinenziale
Ne è derivata l’impugnazione da parte dell’Amministrazione Comunale, secondo cui la ricostruzione del quadro normativo di riferimento operata dal TAR sarebbe erronea: la legge statale non prevede alcuna eccezione per il condono edilizio per il caso delle pertinenze, come dimostrano alcune sentenze del Consiglio di Stato specificando che nel campo di applicazione dell’art. 32, comma 27, lett. d), rientrino unicamente le opere minori senza aumento di superficie, e segnatamente le opere di restauro, risanamento conservativo o di manutenzione straordinaria.
Pertanto la normativa regionale richiamata nella sentenza di primo grado non sarebbe idonea a derogare ai limiti fissati dalla legge dello Stato, laddove consente il condono delle pertinenze in aree soggette a vincolo paesistico.
L’intervento in questione avrebbe invece comportato la realizzazione di un nuovo volume e di una nuova superficie e, dunque, non sarebbe qualificabile né in termini di restauro, né in termini di risanamento conservativo o di ristrutturazione.
La veranda non può essere qualificata come “pertinenza minore” ma la sua realizzazione va considerata alla stregua di una “nuova costruzione”, come tale esclusa dall’alveo applicativo della sanatoria, anche perché non costituirebbe il risultato di alcun tamponamento di portico preesistente.
Il Consiglio ha dato ragione al Comune: la veranda è stata costruita ex novo su area pertinenziale scoperta, in appoggio al fabbricato esistente. L’intervento rappresenta un ampliamento della superficie dell’abitazione, senza soluzione di continuità con il resto dell’edificio, suscettibile quindi di utilizzo residenziale e di identica funzione. Anche nell’ipotesi in cui la veranda sia realizzata mediante chiusura su tre lati di una preesistente tettoia, “la realizzazione di una veranda con chiusura di un balcone comporta la costituzione di un nuovo volume, che va a modificare la sagoma di ingombro dell'edificio e richiede il rilascio del permesso di costruire”.
Per giurisprudenza costante, non può ritenersi meramente pertinenziale un abuso che occupa un'area diversa e ulteriore rispetto a quella già occupata dal preesistente edificio principale. Pertanto, in materia edilizia la natura pertinenziale è riferibile soltanto ad opere di modesta entità ed accessorie rispetto a quella principale, quali i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici e simili ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto a quella considerata principale e non siano coessenziali alla stessa.
No al condono per nuove costruzioni in area vincolata
La non qualificabilità dell’abuso come “piccola pertinenza” rende quindi inapplicabile il condono edilizio in area sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa.
A ciò deve aggiungersi che, diversamente da quanto ritenuto dal TAR, l’intervento non rappresenta «il risultato del tamponamento di un porticato preesistente», in quanto la veranda era stata costruita oltre ad esso, rappresentando la realizzazione di un nuovo volume e di nuova superficie coperta. In altre parole, di una nuova costruzione.
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