Il contenimento della spesa nel nuovo Codice dei contratti pubblici
di Daniele Ricciardi - 20/12/2022
Era il lontano dicembre 1999 quando, probabilmente senza una chiara previsione di quanto sarebbe avvenuto, il Governo introduceva in Italia il programma di razionalizzazione della spesa pubblica. Con l'art. 26 della legge 23 dicembre 1999 n. 488 il legislatore ha avviato la centralizzazione degli acquisti di beni e servizi. Un'esperienza successivamente presa ad esempio da diversi Stati europei e consacrata nelle direttive UE del 2014. Il citato articolo della legge finanziaria per l’anno 2000 prevede il sistema di convenzioni quadro che poi, in virtù del decreto ministeriale 4 aprile 2002 n. 101, sarà affiancato dal mercato elettronico della pubblica amministrazione. La gestione operativa del programma è stata affidata dal MEF alla Consip alla quale sono stati affidati poi ulteriori strumenti di negoziazione come accordi quadro (legge 23 dicembre 2009 n. 191) e sistemi dinamici di acquisizione (D.P.R. 5 ottobre 2010 n. 207).
In oltre venti anni di vita del programma, mai consacrato con ufficialità ma coordinato da apposite strutture ministeriali, sono stati ottenuti importanti obiettivi di contenimento della spesa pubblica individuati da decine di ulteriori disposizioni. Ciò ha costretto e costringe il RUP delle stazioni appaltanti a studiare questa normativa che si è sviluppata fuori dal Codice dei contratti. Solo per fare un esempio, le convenzioni quadro, promosse dal 2002 e diventate obbligatorie per le amministrazioni centrali dello Stato dal 2007, non sono neppure menzionate nella normativa generale fino al Codice del 2016. Anche il mercato elettronico della pubblica amministrazione, dopo un iniziale vincolo sempre per le amministrazioni centrali, dal 2012 deve essere utilizzato – salvo qualche possibile deroga – per tutti gli appalti sotto soglia della PA. Solo nel 2021 la Consip ha messo in condizione le stazioni appaltanti di spendere 18,3 miliardi di euro e tutti i suoi strumenti sono, con diverse sfumature, obbligatori per la PA e resi disponibili per tutte le stazioni appaltanti. Tuttavia sino ad oggi la disciplina generale sugli appalti pubblici omette qualsiasi approfondimento.
Tali vincoli sono peraltro posti con previsione di gravi sanzioni. Innanzi tutto l'appalto è affetto da nullità che determina la possibilità di chiunque abbia interesse di contestare l'acquisto facendo venir meno il contratto senza un limite temporale dell’azione giudiziale. Ciò significa che anche a distanza di anni dalla procedura svolta autonomamente fuori dal programma di razionalizzazione, la stazione appaltante si potrebbe trovare senza più l'appaltatore, con evidenti criticità sul completamento dell'esecuzione del contratto. Vi sono poi le sanzioni personali per i RUP ed i dirigenti delle stazioni appaltanti che omettono di usare gli strumenti laddove obbligatori oppure omettono di tenere conto dei parametri prezzo-qualità delle convenzioni. In più occasioni il legislatore ha ribadito la responsabilità disciplinare ed amministrativa nonché quella per danno erariale. Recentemente, la Corte dei Conti della Campania, con la decisione 8 agosto 2022 n. 639. ha sanzionato il responsabile di un comune per aver acquistato energia elettrica da un fornitore diverso da quello della convenzione quadro. Il danno è stato quantificato in 20 mila euro.
Lo schema di codice dei contratti approvato dal Consiglio dei Ministri non menziona il programma che talvolta è indicato, semplificando, come "Sistema Consip" e che nel decreto legge PNRR (n. 77 del 2021) è stato ribattezzato “Sistema nazionale di e-procurement”. Non descrive gli strumenti che le PA hanno l'obbligo di usare. Si deve addirittura registrate un passo indietro giacché il Codice del 2016, quantomeno nelle definizioni, distingueva tra strumenti telematici di acquisto e di negoziazione individuando proprio quelli gestiti da Consip senza tuttavia fornire ulteriori indicazioni ai RUP. Anche l'ANAC nelle sue linee guida non è mai entrata nel merito degli obblighi e delle facoltà di un modello che nel tempo si è esteso con la creazione di una rete di centrali d'acquisto anche a livello regionale (2007) e con il tavolo dei soggetti aggregatori (2014). Il nuovo codice è assai parco di riferimenti. Soltanto negli articoli 48 (principi degli affidamenti sotto soglia) e 62 (centralizzazione) si limitano ad indicare l’esistenza di “obblighi di utilizzo di strumenti di acquisto e di negoziazione previsti dalle vigenti disposizioni in materia di contenimento della spesa”. Un mero cenno è contenuto nell’art. 7 che, definendo il principio di auto-organizzazione amministrativa, precisa che “i vantaggi di economicità possono emergere anche mediante la comparazione con gli standard di riferimento della società Consip S.p.a. e delle altre centrali di committenza”. Si tratta di un sintetico richiamo ai parametri prezzo-qualità delle convenzioni. Troppo poco per le esigenze di funzionari e dirigenti che rischiano in proprio e che sono costretti ad inseguire la legislazione speciale per capire come muoversi in questo complicato mondo degli appalti pubblici.
Le Commissioni di Camera e Senato sono chiamate a correggere il testo integrandolo con una parte dedicata al programma di razionalizzazione, mettendo ordine e chiarendo la portata di un sistema che presidia buona parte della spesa pubblica. Il codice dovrebbe contenere queste disposizioni che, vale la pena ricordare, sono sistematicamente richiamate nelle premesse di ogni determina a contrarre di ciascuna stazione appaltante che è una pubblica amministrazione. Tutto ciò semplificherebbe la vita dei RUP, già resa complessa dai numerosi adempimenti e anche dall'uso dello stesso sistema telematico gestito dalla Consip non sempre accessibile e coerente con la disciplina comune in materia.
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