Correttivo al Codice dei contratti: un’opera incompiuta?

di Daniele Ricciardi - 27/11/2024

Alla fine del mese di novembre la spesa affidata con contratti pubblici ha superato i 405 miliardi di euro nel 2024. Si tratta di un dato assai rilevante che poi dovrà diventare il valore degli appalti e delle concessioni concretamente eseguite nei prossimi anni. Com’è noto, nel mese di dicembre il Governo si appresta ad adottare il decreto correttivo del Codice dei contratti che, per quanto rilevante, non stravolge l’impostazione del decreto legislativo n. 36 del 2023, come invece avvenne per il precedente Codice del 2016. Tutto ciò rassicura gli operatori che vedranno modificati gli articoli sui quali si è concentrato il dibattito di dottrina e giurisprudenza in questi primo anno di piena entrata in vigore della normativa generale sui contratti. Eppure alcuni nodi non vengono sciolti dal decreto correttivo. Proviamo ad esaminarne un paio.

L’intelligenza artificiale nel ciclo di vita del contratto pubblico

L’articolo 30 del codice prevede che per migliorare l’efficienza, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti provvedano, ove possibile, ad automatizzare le proprie attività ricorrendo a soluzioni tecnologiche, ivi incluse l’intelligenza artificiale e le tecnologie di registri distribuiti, nel rispetto delle specifiche disposizioni in materia. Fermo restando una questione attuale di cybersicurezza delle piattaforme di approvvigionamento digitale, la sfida più importante è la gestione del ciclo del contratto mediante sistemi di intelligenza artificiale che abbiano lo scopo di ridurre l’errore umano, garantendo l’esercizio della discrezionalità tecnico-amministrativa delle stazioni appaltanti. Per fare questo, una delle opzioni da valutare è certamente rivoluzionare l’approccio al ricorso al mercato dei servizi digitali. Siamo davvero convinti della necessità di avere 89 piattaforme di approvvigionamento digitale attualmente registrate e certificate da ANAC? Nel 2024 circa 26 mila stazioni appaltanti e 770 mila operatori economici hanno dovuto gestire contratti mediante queste piattaforme il cui utilizzo rappresenta un costo di acquisto del software e di apprendimento del personale.

È davvero indispensabile che ogni stazione appaltante scelga la sua piattaforma certificata o si può immaginare un sistema unico nazionale? Non ci riferiamo a quello realizzato dalla Consip che non è stato mai realmente rinnovato per renderlo semplice ed accessibile. Si potrebbe studiare un sistema telematico nuovo, basato sull’intelligenza artificiale gestito dall’ANAC che, avendo a disposizione i dati sulle procedure e sul precontenzioso, potrebbe garantire maggiore correttezza delle procedure di scelta del contraente. Un tempo l’informatica nella PA era centralizzata. D’altronde anche la pubblicità legale è stata centralizzata sulla Piattaforma dei contratti pubblici dell’Autorità superando l’esistenza di un segmento di mercato che ha dovuto necessariamente rinnovarsi. Siamo certi che il mercato delle piattaforme di e-procurement non sia soggetto allo stesso mutamento? Una sola piattaforma di approvvigionamento digitale per tutti certamente troverebbe i favori delle imprese, che non devono iscriversi e caricare decine di anagrafiche, e dei RUP riducendo lo studio ad un solo manuale utente. Riflettendoci l’interoperabilità degli e-services di ANAC (CIG, FVOE, etc.) con le singole piattaforme già traccia questo sentiero.

Il coraggio di formare, certificare e riconoscere il ruolo del RUP

Il decreto correttivo non ha avuto il coraggio di superare l’ipocrisia di un settore in cui si sono spesi milioni di euro per la strategia professionalizzante dei RUP, con un fondo gestito dal 2020 dal MIT che ha finalmente preso coscienza del ruolo dei Responsabili Unici del Progetto negli appalti, senza però giungere a riconoscerne la centralità. Senza RUP onesti, competenti e responsabili le stazioni appaltanti non saranno mai qualificate né sarà dato valore pubblico al denaro dei cittadini. L’ipocrisia normativa risulta evidente nel testo del codice che rimane immutato anche dopo il correttivo. Com’è noto l’art. 15 comma 2 prevede che “le stazioni appaltanti e gli enti concedenti nominano il RUP tra i dipendenti assunti anche a tempo determinato della stazione appaltante o dell’ente concedente, preferibilmente in servizio presso l’unità organizzativa titolare del potere di spesa, in possesso dei requisiti di cui all’allegato I.2 e di competenze professionali adeguate in relazione ai compiti al medesimo affidati, nel rispetto dell’inquadramento contrattuale e delle relative mansioni”. Apparentemente il RUP va scelto tra dipendenti “selezionati” in base all’inquadramento (quale?) ed ai requisiti minimi descritti dagli articoli 4 e 5 dell’allegato. Peccato che laddove non ci siano competenze professionali adeguate, in base all’art. 3 “la stazione appaltante può individuare quale RUP un dipendente anche non in possesso dei requisiti richiesti”. Si tratta di quell’eccezione alla regola, che diventa regola mentre la regola diventa eccezione. È sufficiente entrare in qualche ufficio per rendersi conto che i requisiti non sono rispettati.

Con un po' di coraggio, ascoltando la voce dei RUP già echeggiata nell’audizione alla Camera di ASSORUP del 5 agosto 2024, il Governo ed il Parlamento dovrebbero fare una scelta di campo: eliminare i requisiti fake del RUP sdoganando la nomina a qualsiasi dipendente, oppure introdurre un sistema di certificazione che, va registrato, pian piano inizia ad essere accolto come un’opportunità negli interventi pubblici di autorevoli protagonisti del settore. Ci riferiamo all’intervento del Presidente di ANAC prof. Giuseppe Busia al Congresso Nazionale di ASSORUP dell’11 ottobre 2024 dove ha sostenuto: “La sfida che i RUP devono cogliere è misurare in modo oggettivo le performance: noi come ANAC abbiamo gli strumenti per raccogliere questi dati per valorizzare le figure professionali, carpendone il valore e per richiedere sulla base di questo, una giusta remunerazione. Questo stiamo cercando di metterlo insieme nel sistema della qualificazione delle Stazioni appaltanti”. Anche il Presidente della IV sezione del Consiglio di Stato dott. Luigi Carbone, coordinatore della commissione istitutiva per la redazione del codice, nella recente conferenza regionale del Friuli Venezia Giulia di ASSORUP ha dichiarato: “Gli appalti sono una cosa complessa, sono una cosa seria, ci vuole professionalità, non si può pensare che per guidare un aeroplano basti la patente di guida che ci vuole per condurre un taxi, non si può fare, ci vuole qualcuno che sappia guidare l’aeroplano, ci vuole una patente”. Se il RUP è un pilota delle procedure deve essere formato. Affidereste un aereo di linea ad una persona senza brevetto? La patente del RUP è una necessità. Un sistema di certificazione basato su formazione ed esperienza, davvero semplice da introdurre grazie alla banca dati in possesso di ANAC sull’attività contrattuale di ciascun RUP ed al contributo della SNA nella formazione del personale delle stazioni appaltanti.

Si tratta di due spunti di riflessione che si aggiungono alle oltre 60 proposte raccolte in una consultazione pubblicata da ASSORUP con il consueto spirito di collaborazione con le istituzioni. Il correttivo al codice appare così come una delle tante opere incompiute, ferme lì nel programma triennale ma che prima o poi qualcuno troverà il coraggio di realizzare.

di Daniele Ricciardi, Avvocato esperto del settore
Presidente dell’Associazione Nazionale dei Responsabili Unici del Progetto



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