Crediti fiscali: il punto della situazione dopo il Decreto Cessioni
di Stefano Sylos Labini - 21/02/2023
Il blitz del governo, che con un decreto del 16 febbraio è intervenuto per bloccare la cessione dei crediti fiscali futuri lanciando un allarme sulla tenuta dei conti pubblici, ha provocato una tempesta mediatica sollevando un’infinità di polemiche e le proteste delle imprese del settore edilizio.
Tutto questo è avvenuto dopo la presentazione della nuova classificazione dei crediti fiscali nel manuale Eurostat aggiornato, pubblicato il 1° febbraio.
L’impatto dei crediti fiscali sui conti pubblici
E’ stato detto che l’emissione di 110 miliardi di euro di crediti fiscali ha creato un buco enorme nei conti pubblici.
Guardare solo ai 110 miliardi di crediti fiscali emessi negli anni 2021 e 2022 è fuorviante. Per prima cosa questi crediti possono essere esercitati in più anni per pagare meno tasse per cui l’impatto sul bilancio pubblico in termini di minori entrate sarà posticipato e diluito nel tempo. Inoltre i crediti fiscali hanno un impatto sulla crescita dell’economia e quindi generano un gettito fiscale aggiuntivo che può compensare le minori entrate future.
Dunque bisogna considerare i 110 miliardi di euro di crediti fiscali, la crescita del Pil e il gettito fiscale aggiuntivo. Il rapporto debito/Pil è l’indicatore che può fornire le informazioni migliori su questi tre fattori poiché li contiene tutti.
Se guardiamo a ciò che è successo fino ad oggi vediamo che il rapporto debito/Pil è sempre diminuito:
- 2020 = 155%
- 2021 = 151%
- 2022 = 147%
Ci sono altre precisazioni da fare. L’esplosione dei crediti fiscali è avvenuta col governo Draghi nel 2021/22 e non con il governo Conte che aveva varato la cessione dei crediti fiscali sei mesi prima che fosse caduto. Mario Draghi avrebbe potuto mettere un tetto alle emissioni per evitare che crescessero in modo esponenziale e sarebbe potuto intervenire più tempestivamente per mettere controlli più stringenti sulle assegnazioni dei crediti fiscali prevenendo le truffe. Invece ha cercato di bloccare le cessioni creando un danno enorme alle imprese che avevano ottenuto i crediti fiscali e non potevano più monetizzarli. Il M5S non ha avuto nulla da ridire sul blocco: per loro il punto era difendere il 110% senza capire che la potenza di questo meccanismo non sta nell’ammontare dell’incentivo ma nella possibilità di cedere i crediti fiscali. Anche l’incentivo del 110% doveva essere abbassato per scendere sotto al 100% in modo da spingere i committenti a negoziare sui preventivi per ridurre i costi. Ma il governo Draghi non è intervenuto neppure per abbassare il 110% e magari per differenziarlo in funzione delle aree residenziali e quindi delle fasce di reddito.
Ora che i crediti fiscali sono stati emessi devono circolare il più possibile per avere il massimo dell’impatto sull’economia e quindi per produrre il massimo beneficio per le casse dello Stato. Non farlo significa andare contro gli interessi nazionali poiché le imprese falliranno, la disoccupazione aumenterà e le entrate fiscali crolleranno. Questo scenario farebbe aumentare il rapporto debito / Pil in modo preoccupante.
La nuova classificazione Eurostat
Nella versione aggiornata del manuale Eurostat sono spuntati fuori i “crediti fiscali borderline” che comprendono i crediti trasferibili a terzi, utilizzabili senza limiti temporali e che permettono di compensare un debito fiscale totale piuttosto che una tassa specifica. Questi crediti sono considerati come pagabili perché, secondo Eurostat, se un credito fiscale non pagabile circola e può essere usato senza limiti temporali per compensare qualsiasi debito fiscale, allora perde la caratteristica di non pagabile e si trasforma in un credito pagabile. La circolazione fa aumentare la probabilità che il credito fiscale non sia perso potendo essere sfruttato integralmente da più soggetti in un intervallo temporale più lungo o illimitato.
Si tratta di argomentazioni molto deboli e arbitrarie perché si potrebbe sostenere proprio il contrario e cioè che se un credito fiscale non può circolare sarà richiesto solo da soggetti con elevata capienza fiscale che hanno un’elevata probabilità di sfruttarlo integralmente per coprire i propri debiti fiscali.
Questa nuova classificazione di Eurostat, che ora sarà applicata da Istat senza battere ciglio, è inaccettabile perché nel momento in cui lo Stato emette uno sconto fiscale che non è rimborsabile in euro alla scadenza, tale credito è non pagabile sia se circola sia se non circola, perché lo Stato non assume alcun impegno di pagamento. Ora Eurostat e quindi Istat lo considereranno pagabile poiché può circolare anche se lo Stato non pagherà neppure un euro.
Il credito fiscale pagabile fa aumentare il deficit all'emissione perché va contabilizzato tutto insieme e subito e quindi era meglio evitarlo. Ma sotto il profilo finanziario non cambia nulla perché non aumenta il debito pubblico di Maastricht: la crescita del deficit è un fatto contabile e non ha implicazioni finanziarie. Ciò perché quando lo Stato emette gli sconti fiscali non chiede soldi in prestito a nessuno e quindi non contrae alcun debito finanziario. Quindi la nuova classificazione di Eurostat in realtà non pregiudica affatto la possibilità di far circolare gli sconti fiscali.
Il problema delle truffe
Era ovvio che la responsabilità dovesse essere confinata al committente, all’impresa che ha eseguito i lavori e al tecnico che li ha convalidati. Chi entra in gioco dopo acquistando i crediti fiscali precedentemente ottenuti non ha nessuna responsabilità nei fenomeni di frode. In questo quadro lo scudo penale invocato dalle banche e da altri acquirenti è una misura fondamentale perché eviterà i sequestri dei crediti fiscali da parte della magistratura. La responsabilità degli acquirenti era stata una misura che aveva paralizzato il mercato insieme al limite delle cessioni che ora è arrivato a cinque.
Conclusioni
La Moneta Fiscale, che nasce nel momento in cui gli sconti sono trasferibili a terzi e quindi possono circolare liberamente, si è dimostrata uno strumento potentissimo in grado di risollevare la nostra economia dopo anni di crescita asfittica. Lo sconto in fattura ha fatto impennare la domanda di ristrutturazioni che da anni era depressa e la possibilità di cedere i crediti fiscali in banca e agli intermediari finanziari ha permesso alle imprese di poter concedere lo sconto in fattura poiché potevano ottenere subito la liquidità necessaria.
Per il futuro va messo un tetto sulle emissioni di crediti fiscali, che non devono superare una certa quantità anno per anno, lasciando in vigore la libera circolazione dei crediti fiscali. Eliminare questo meccanismo è una mossa incomprensibile di fronte alle intenzioni dell’Europa che sta puntando sull’efficientamento energetico del patrimonio edilizio. Per le “case green” c’è stato un primo via libera dalla commissione per l’industria, la ricerca e l’energia del Parlamento europeo il 9 febbraio 2023. La proposta prevede che gli edifici residenziali raggiungano una classe di prestazione energetica minima di tipo E entro il 2030 e D entro il 2033. In Italia le abitazioni in classe inferiore alla D sono circa il 74%. Secondo le ultime stime, il nostro Paese dovrebbe realizzare investimenti per circa 40 miliardi di euro all’anno arrivando ad un totale di 400 miliardi di euro al 2033.
Se questa rivoluzione verde non sarà sostenuta in larga misura dallo Stato, andrà a colpire le fasce sociali che non hanno i soldi per ristrutturare la casa: il rischio è quello di impoverire una quota rilevante della popolazione poiché gli immobili perderanno di valore.
A cura di Stefano Sylos
Labini
Gruppo Moneta Fiscale
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