Criteri aggiudicazione gara: i margini di discrezionalità
di Redazione tecnica - 27/10/2021
Una stazione appaltante può aggiudicare una gara dopo avere attribuito più punti ad un’offerta tecnica in cui si configura anche il perseguimento di un interesse sociale, come la tutela dei lavoratori? Un quesito interessante su cui ha risposto la Quinta Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 7053/2021.
Valutazione offerta tecnica: esiste discrezionalità per appaltatori? La sentenza del Consiglio di Stato
Nel caso in esame, un consorzio ha presentato appello contro la sentenza del TAR Lazio (sez. Seconda-Bis) n. 12068/2020 che confermava l’aggiudicazione ad un altro concorrente di una gara di appalto indetta per l’affidamento di alcuni servizi da svolgersi in favore di una Stazione Appaltante.
In particolare, l’appello riguardava il criterio di valutazione dell’esecuzione del servizio considerando come sub-criteri:
- “Stabilità del personale e percentuale di lavoratori adibiti all’appalto con contatto pluriennale a copertura della vigenza dell’appalto”
- “Disciplina rapporto di lavoro» con l'assegnazione di diversi punti sulla base del CCNL prescelto.
Secondo l’appellante sarebbero stati criteri illegittimi in quanto non riconducibili alla qualità della prestazione, in violazione dell’art. 95 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 50/2016) per illegittima ingerenza nella autonomia contrattuale dell’imprenditore nel rapporto con il lavoratore nella scelta del CCNL applicabile, e dell’art. 30, comma 4, dello stesso Codice dei contratti pubblici che permette che il CCNL sia scelto dall’appaltatore, con l’unico limite della adeguatezza del contratto collettivo di lavoro in rapporto all’oggetto dalla commessa.
Il contratto pubblico può perseguire anche interessi sociali?
Il Consiglio ha sottolineato come l’amministrazione appaltante abbia inteso inserire, accanto o sullo stesso piano degli interessi pubblici specifici connessi alla necessità di acquisire i beni e servizi oggetto dell’appalto, ulteriori interessi sociali, in particolare il conseguimento di un più elevato livello di tutela dei lavoratori impiegati nell’esecuzione del contratto.
Da questo punto di vista, la scelta dell’amministrazione solleva il problema dei limiti normativi entro i quali lo strumento dei contratti pubblici può essere utilizzato in una più ampia prospettiva funzionale, per il perseguimento di interessi e obiettivi di natura sociale, ambientale o più in generale di sostenibilità, sia dal lato del prodotto acquisito dal mercato, sia dal lato del processo specifico di produzione dei beni e servizi idonei a soddisfare i bisogni sottesi alla decisione dell’amministrazione di rivolgersi al mercato.
Il primo riferimento è appunto costituito dall’art. 30, comma 4, del Codice dei contratti pubblici secondo cui al «personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli il cui ambito di applicazione sia astrattamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente»: esso impone di verificare la coerenza tra l’attività oggetto dell’appalto e l’ambito di applicazione del C.C.N.L. indicato dall’impresa appaltatrice, ma non attribuisce all’amministrazione appaltante il potere di indicare nel bando di gara il contratto collettivo applicabile ai lavoratori impiegati nell’appalto.
Viene quindi in soccorso l’art. 95, comma 6, d.lgs. n. 50 del 2016, inerente i criteri di aggiudicazione che stabilisce che l’amministrazione appaltante può inserire, accanto o sullo stesso piano degli interessi pubblici specifici connessi alla necessità di acquisire i beni e servizi oggetto dell’appalto, ulteriori interessi sociali, in particolare il conseguimento di un più elevato livello di tutela dei lavoratori impiegati nell’esecuzione del contratto.
Criteri di valutazione: discrezionalità di scelta
Da questo punto di vista, non è previsto un elenco tassativo di parametri sui quali basare i criteri di valutazione delle offerte tecniche ma un catalogo aperto e quindi integrabile con ulteriori criteri tra i quali, appunto gli aspetti ambientali e sociali. Tra questi, anche quelli relativi all’applicazione di un determinato contratto collettivo di lavoro o di una determinata tipologia di contratto di lavoro individuale, utili a conseguire specifici obiettivi di stabilità occupazionale e di trattamento economico e normativo dei lavoratori impiegati nell’appalto; fermo restando che il requisito non abbandoni il legame con l’oggetto del contratto.
Sussistenza legame tra criteri di valutazione e oggetto dell'appalto
Per cui secondo Palazzo Spada, la condizione necessaria per il legittimo esercizio del potere discrezionale è costituita dalla verifica della sussistenza di una connessione tra i criteri e l’oggetto dell’appalto (art. 95, comma 6), nei termini della definizione di cui all’art. 95, comma 11, che recepisce l’art. 67, paragrafo 3, della direttiva 2014/24/UE e considera connessi all’oggetto dell’appalto i "criteri di aggiudicazione che riguardino lavori, forniture o servizi da fornire nell'ambito di tale appalto sotto qualsiasi aspetto e in qualsiasi fase del loro ciclo di vita, compresi fattori coinvolti nel processo specifico di produzione, fornitura o scambio di questi lavori, forniture o servizi o in un processo specifico per una fase successiva del loro ciclo di vita, anche se questi fattori non sono parte del loro contenuto sostanziale”.
La stazione appaltante può quindi discrezionalmente inserire tra i criteri di aggiudicazione anche particolari condizioni di esecuzione dell’appalto volte a conseguire obiettivi di natura sociale: il Consiglio ha dunque respinto l’appello e confermato la sentenza di primo grado.
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