Equo compenso: il Consiglio di Stato sulla non ribassabilità dei corrispettivi professionali

di Redazione tecnica - 12/02/2025

Nell’ambito di appalti di servizi di ingegneria e architettura, se il Codice dei contratti pubblici si preoccupa di determinare la “base d’asta”, naturalmente soggetta a ribassi, esposta a criteri valutativi incentrati sul meccanismo del miglior rapporto “qualità/prezzo”, la legge sull’equo compenso mira a stabilire un importo minimo non derogabile.

In tale contesto, è dunque condivisibile l’assunto, confermato nella relazione allo Schema del correttivo al Codice dei contratti secondo cui “nella materia dei contratti pubblici non si applica la disciplina in materia di ‘equo compenso delle prestazioni professionali’ di cui alla legge 21 aprile 2023, n. 49, vigendo la suesposta disciplina speciale”.

Attenzione però: sebbene la legge n. 49 del 2023 non trovi diretta applicazione nell’ambito delle procedure di affidamento dei contratti pubblici, nulla vieta che la stazione appaltante possa, nell’esercizio della propria discrezionalità ed entro termini ragionevoli, prevedere clausole di non ribassabilità del corrispettivo a fini di tutela dell’equo compenso professionale.

Equo compenso: il Consiglio di Stato sulla non ribassabilità dei corrispettivi professionali

Ad affermarlo è il Consiglio di Stato, nell’ormai dibattuta questione dei rapporti tra disciplina sull’equo compenso e codice dei contratti poubblici, questa volta respingendo, con la sentenza del 3 febbraio 2025, n. 844, l’appello proposto da una società di ingegneria, prima aggiudicataria e poi invece esclusa da una procedura per l’affidamento di servizi tecnici per anomalia dell’offerta.

Nel caso in esame, per la Stazione Appaltante, l’OE aveva operato, di fatto, un ribasso anche sui compensi determinati sulla base del D.M. 17 giugno 2016, in violazione della lex specialis di gara che li aveva qualificati come ‘inderogabili e non ribassabili’, ai sensi delle disposizioni in tema di equo compenso di cui al citato art. 41, comma 15 e dell’all. I.13, del D.Lgs. 36/2023, e della l. 49/2023, in linea con la Delibera dell’ANAC n. 343 del 20/07/2023.

Preliminarmente il Consiglio ha evidenziato come il disciplinare di gara prevedeva espressamente che:

  • l’importo a base di gara è stato calcolato ai sensi del decreto del Ministro della giustizia 17 giugno 2016, ai sensi dell’art. 41, comma 15 del D.Lgs. 36/2023 e dell’allegato I.13;
  • i compensi stabiliti per le prestazioni d’opera intellettuale attinenti ai servizi di ingegneria e architettura sono stati considerati inderogabili e non ribassabili, riportati nella voce ‘compensi non soggetti a ribasso;
  • nell’offerta economica andava indicato il “ribasso percentuale unico, riferito all’importo a base di gara, al netto dell’IVA, della parte di corrispettivo relativa ai compensi da ritenere non ribassabili ai sensi delle disposizioni di cui all’art. 41, comma 15, del D.Lgs. 36/2023 e dell’all. I.13, e della l. 49/2023, e degli oneri della sicurezza non soggetti a ribasso”.

Su quest'ultima voce, il ricorrente aveva proposto un ribasso del 99,90%, ma nei giustificativi di spesa emergeva un costo pari all’importo ribassato, finendo così per intaccare di fatto la quota di compensi professionali non ribassabili. Una volta stabilita infatti dal disciplinare la non ribassabilità dei compensi professionali determinati a norma del d.m. 17 giugno 2016, ma emergente al contempo un costo tale da erodere in misura consistente la corrispondente voce, di fatto lo scrutinio sostanziale di sostenibilità dell’offerta non poteva che restituire un esito negativo, come coerentemente ritenuto dalla stazione appaltante.

Decreto Parametri: le tabelle per individuare importo a base di gara

In tale quadro, spiega il Consiglio, le tabelle ministeriali per la determinazione dei corrispettivi fungono dunque da strumento per la «individuazione dell’importo da porre a base di gara dell’affidamento», a carattere vincolante per le stazioni appaltanti, a differenza peraltro da quanto accadeva nella vigenza del precedente art. 24, comma 8, d.lgs. n. 50 del 2016, che considerava le tabelle ministeriali quale mero «criterio o base di riferimento ai fini dell’individuazione dell’importo da porre a base di gara dell’affidamento».

Nella disciplina delineata dal Codice non è invece assegnata autonoma rilevanza alla voce del compenso professionale: lo stesso, a fronte del rimando dell’art. 41, comma 15, all’all. I.13, e da quest’ultimo al d.m. 17 giugno 2016, configura una componente del corrispettivo per le prestazioni di progettazione; a norma dell’art. 1, comma 2, d.m. 17 giugno 2016, infatti, «Il corrispettivo è costituito dal compenso e dalle spese ed oneri accessori di cui ai successivi articoli».

Emerge come il Codice dei contratti pubblici presenti una disciplina in sé compiuta e autosufficiente in materia di corrispettivi, ivi inclusa la componente del compenso professionale:

  • l’art. 41, comma 15, d.lgs. n. 36 del 2023 considera le tabelle ministeriali (ai sensi dell’all. I.13, che rimanda al d.m. 17 giugno 2016) quale strumento per determinare la base d’asta (come tale ribassabile), non già per fissare minimi inderogabili di compenso;
  • al contempo, il Codice prevede dei minimi inderogabili (art. 110, comma 4, lett. a) e comma 5, lett. d)) o delle voci non ribassabili (art. 41, comma 14 e 13) solo per gli elementi del salario o costo della manodopera.

Equo compenso e Codice Appalti: due discipline differenti

In termini generali, le regole sull’equo compenso di cui alla legge n. 49 del 2023 non trovano diretta applicazione nell’ambito di procedure di affidamenti pubblici di servizi, e ciò anche a fronte dei diversi parametri a tal fine presi in considerazione dai due corpi normativi:

  • il Codice dei contratti pubblici si preoccupa di determinare la “base d’asta”, naturalmente soggetta a ribassi, esposta a criteri valutativi incentrati sul meccanismo del miglior rapporto “qualità/prezzo”, al di fuori di logiche intese alla limitazione verso il basso;
  • la legge sull’equo compenso mira a stabilire un importo minimo non derogabile, la cui contraria pattuizione negoziale è colpita addirittura con sanzione di nullità, pur se relativa.

Anche i parametri di riferimento ai fini della determinazione dei valori presi in considerazione sono diversi nei due sistemi normativi:

  • da una parte l’all. I.13, richiamato dall’art. 41, comma 15, d.lgs. n. 36 del 2023, rimanda al d.m. 17 giugno 2016 prevedendo l’attualizzazione del relativo quadro tariffario;
  • dall’altra parte, l’art. 1, comma 1, l. n. 49 del 2023 definisce in generale «equo compenso» quello «conforme ai compensi previsti rispettivamente: […] b) per i professionisti iscritti agli ordini e collegi, dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27», e successivamente commina all’art. 3, comma 1, la nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata, come tali definendo le pattuizioni di un compenso «inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale […]», e cioè dal d.m. Giustizia n. 140 del 2012.

A tale riguardo, va osservato peraltro che, il d.m. n. 140 del 2012 stabilisce espressamente per le professioni dell’area tecnica, ai fini della liquidazione dei compensi, un range di flessibilità in ragione della complessità della prestazione (espressa dal parametro sub G)) che tenga conto della natura dell’opera, pregio della prestazione, dei risultati e dei vantaggi, anche non economici, conseguiti dal cliente, dell’eventuale urgenza della prestazione, di talché l’organo giurisdizionale può aumentare o diminuire il compenso di regola fino al 60 per cento rispetto a quello altrimenti liquidabile.

Tale meccanismo rientra a pieno titolo nei «parametri per la liquidazione dei compensi» richiamati dall’art. 3 della legge n. 49 del 2023 e definisce una soglia minima (e massima) del compenso del professionista, al di sotto della quale si ha la qualificazione normativa di “compenso non equo” passibile di nullità. Di contro, il d.m. 17 giugno 2016 non contempla alcun meccanismo di flessibilità, limitandosi a recepire la formula moltiplicatoria generale del d.m. n. 140 del 2012.

In tale prospettiva, i due meccanismi divisati dal d.m. n. 140 del 2012 e dal d.m. 17 giugno 2016, pur recando un nucleo comune (la formula moltiplicatoria per il compenso) differiscono per:

  • natura della fonte normativa (si tratta di due regolamenti ministeriali ben distinti, l’uno ministeriale, l’altro adottato di concerto da due Ministri);
  • scopi (l’uno mira a disciplinare la liquidazione dei compensi equi, l’altro è volto alla determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara);
  • struttura (l’uno si contraddistingue per un range di flessibilità, mentre l’altro definisce un importo fisso) legittimando una ricostruzione dicotomica nel senso che la prima fonte individua il minimum corrispettivo inderogabile (il compenso equo ribassabile sino al 60%), mentre la seconda individua il corrispettivo equo da porre a base di gara.

In questo contesto, si ricorda quanto affermato dallo stesso Consiglio di Stato in relazione allo Schema del correttivo al Codice dei contratti secondo cui “nella materia dei contratti pubblici non si applica la disciplina in materia di ‘equo compenso delle prestazioni professionali’ di cui alla legge 21 aprile 2023, n. 49, vigendo la suesposta disciplina speciale”.

La legge n. 49 del 2023 non trova dunque diretta e generale applicazione al settore degli appalti pubblici; le sue previsioni inerenti al rapporto con la pubblica amministrazione vanno lette quali specificamente concernenti le fattispecie dei «rapporti professionali aventi ad oggetto la prestazione d’opera intellettuale di cui all’articolo 2230 del codice civile» (art. 2, comma 1), e cioè i contratti d’opera professionale ex art. 2230 Cod. civ. veri e propri.

Corrispettivi non ribassabili: la scelta è legittima

Occorre a questo punto domandarsi se, nel contesto che si è sopra delineato in ordine ai rapporti fra il Codice dei contratti pubblici e la legge n. 49 del 2023 in materia di “equo compenso”, sia possibile ammettere clausole di gara che incidano sulla ribassabilità del corrispettivo, e in specie sulla quota dello stesso rappresentata appunto dal “compenso professionale” riconosciuto in relazione a prestazioni d’opera intellettuale.

Ferma infatti, in termini generali, la non diretta applicabilità della legge n. 49 del 2023 alle procedure per l’affidamento di contratti pubblici, può accadere che sia l’amministrazione, per il tramite della lex specialis, a fissare delle regole al riguardo, limitando in tutto o in parte la ribassabilità del corrispettivo in relazione alla componente del compenso professionale.

Il che è avvenuto proprio nel caso di specie: è stato infatti il disciplinare di gara a statuire positivamente che “i compensi stabiliti per le prestazioni d’opera intellettuale attinenti ai servizi di ingegneria e architettura, determinati in base agli artt. 2 e ss. del suddetto D.M. [i.e., d.m. 17 giugno 2016, cit.], sono stati considerati inderogabili e non ribassabili, riportati nella voce ‘compensi non soggetti a ribasso’.

Una previsione del genere è legittima in quanto, seppure la legge n. 49 del 2023 non trovi diretta applicazione nell’ambito delle procedure di affidamento dei contratti pubblici, nulla vieta che la stazione appaltante possa, nell’esercizio della propria discrezionalità ed entro termini ragionevoli, prevedere clausole di non ribassabilità del corrispettivo a fini di tutela dell’equo compenso professionale.

Le conclusioni del Consiglio di Stato

Nel caso in esame, il disciplinare di gara ha scomposto l’importo a base di gara in quattro distinte frazioni, di cui tre non ribassabili (il compenso professionale, i costi di manodopera e gli oneri di sicurezza), e l’ultima, corrispondente alla quota del corrispettivo prevista dal d.m. 17 giugno 2016 diversa dal “compenso professionale” vero e proprio, suscettibile di ribasso.

Il meccanismo così concepito costituisce nient’altro che una modulazione del rapporto qualità/prezzo declinata in favore della prima, prevedendo parziale non ribassabilità del secondo – sulla scia di quanto ammesso, in misura totale, dall’art. 108, comma 5, d.lgs. n. 36 del 2023 – per il perseguimento di finalità di equo compenso (art. 8, comma 2, d.lgs. n. 36 del 2023).

Il modello così strutturato è pienamente legittimo, previsto anche quale cd. “opzione 2” dal Bando tipo n. 2/2023 posto in consultazione dall’Anac corrisponde sostanzialmente a quello accolto dallo Schema di correttivo al comma 15-bis (oltreché 15-quater) dell’art. 41 d.lgs. n. 36 del 2023, confluito nell’art. 14, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 209 del 2024.

 



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