Equo compenso: necessarie modifiche per renderlo operativo
di Natalia Guidi - 19/05/2022
In questi giorni è ripresa al Senato la disamina della proposta di legge sull’equo compenso, testo già approvato dalla Camera. Una proposta che necessita di alcune sostanziali modifiche se non si vuole che l’equo compenso rimanga un principio definito esclusivamente sulla carta, ma non effettivamente praticato né praticabile per noi professionisti.
Equo compenso: no alle sanzioni per i professionisti
Per tali ragioni sono rimasta assai stupita dalle dichiarazioni del Presidente della Fondazione Inarcassa, il collega Franco Fietta, che nei giorni scorsi ha chiesto l’approvazione senza modifiche del provvedimento, facendo intendere che l’articolato di legge, così come è, potrebbe finalmente garantire a noi professionisti compensi equi.
Purtroppo le cose non stanno così: se l’applicazione della legge è limitata ai soli rapporti di natura convenzionale instaurati con pubbliche amministrazioni e grandi committenti, la concreta esigibilità dell’equo compenso viene esclusa dalle stesse norme. La legge, infatti, prima prevede che il professionista che intende richiedere l’equo compenso debba impugnare il contratto o la convenzione davanti al Tribunale, poi dispone che lo stesso professionista debba essere sottoposto a sanzione disciplinare, da parte dell’ordine, per aver accettato un compenso sotto soglia. Di fatto, quindi, l’automatismo della sanzione disciplinare agisce da deterrente proprio nei confronti del professionista sottopagato, che per agire contro il committente inadempiente dovrà “autodenunciarsi”, beccandosi un provvedimento disciplinare.
Equo compenso: le domande
Ora mi chiedo:
- non è paradossale che una legge che dovrebbe tutelare i professionisti, finisce per penalizzarli più degli stessi committenti (a carico dei quali viene previsto un indennizzo soltanto eventuale)?
- quale professionista, di fronte alla certezza di una sanzione disciplinare, farà valere il proprio diritto all’equo compenso?
A ben vedere, quindi, la legge dispone esattamente il contrario di ciò che avrebbe dovuto prescrivere per garantire l’equo compenso: invece di aiutare il professionista a rivendicare una corretta remunerazione della prestazione resa lo disincentiva attraverso un sistema sanzionatorio inaccettabile.
Senza contare, poi, che la stessa legge prima prevede, correttamente, che l’entità dell’equo compenso venga definita da parametri ministeriali, poi, inspiegabilmente, che tali parametri possano essere derogati («si presumono equi fino a prova contraria») da accordi stipulati tra singole imprese e ordini professionali. Ora, se si applicano i parametri che senso ha prevedere questo tipo di accordi? A meno di non voler attribuire agli ordini, e quindi allo Stato, la funzione di contrattare per conto dei professionisti, con buona pace della libertà di contrattazione che da sempre caratterizza la figura del professionista, evidentemente sempre meno “libero” nella concezione dei fautori di questa legge.
Equo compenso: il vulnus
Il vulnus di un siffatto meccanismo è talmente evidente che si fa fatica a comprendere le ragioni che spingono una parte dei rappresentanti istituzionali del mondo ordinistico a chiedere l’approvazione della legge così come è: un provvedimento che non solo non garantisce l’equo compenso (semmai il contrario), ma che si ritorce contro gli stessi professionisti. Per rendersene conto invito tutti a leggersi il comma 5 dell’articolo 5 del testo di legge, una norma che, purtroppo, recita una sentenza inequivocabile sulla pelle di noi professionisti.
Il presidente di Inarsind Latina
Arch. Natalia Guidi
© Riproduzione riservata
- Tag: