Equo compenso, i sindacati rivendicano il potere di rappresentanza
di Redazione tecnica - 21/07/2021
È all'esame della Camera dei deputati la proposta di legge contenente disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali. Un provvedimento che prova a fare chiarezza a livello nazionale sul una questione già trattata da alcune Regioni.
Equo compenso: la proposta di legge
La proposta di legge (la C. 3179-A) contiene alcune disposizioni che possono essere definite "tiepide" perché non riguardano tutti i rapporti contrattuali stipulati dai liberi professionisti ma solo "ai rapporti professionali regolati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività professionali svolte in favore di imprese bancarie e assicurative nonché delle imprese che nel triennio precedente al conferimento dell’incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di sessanta lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro". Disposizione già criticata da ProfessioniItaliane, associazione che racchiude al proprio interno le rappresentanze professionali di CUP e RPT.
Il potere di rappresentanza
Altre disposizioni, invece, potrebbero avere una portata decisamente maggiore in riferimento al potere di rappresentanza degli Ordini professionali e dei Consigli Nazionali. Stiamo parlando di un argomento molto delicato su cui si discute più o meno a periodi da parecchi anni. Almeno da quando sono stati aboliti i minimi tariffati, è cominciata l'involuzione del mondo delle costruzioni e si è cominciato a svilire il valore delle professioni intellettuali. Da qui è cominciato a cambiare la percezione del ruolo degli ordini professionali e dei consigli nazionali sempre più presenti a livello politico.
Stiamo parlando degli articoli 7 (Azione di classe) e 8 (Osservatorio nazionale sull’equo compenso) che, di fatto, mettono per la prima volta nero su bianco la possibilità per i Consigli nazionali di incidere sulla rappresentanza dei loro iscritti.
Possibilità che, chiaramente, non piace ai Sindacati che proprio recentemente hanno rivendicato il loro ruolo di rappresentanti dei professionisti.
La Lettera delle Associazioni aderenti a Confprofessioni
Le Associazioni Sindacali aderenti a CONFPROFESSIONI (Ala Assoarchitetti, Antec, Asso Ingegneri ed Architetti, Fidaf e Inarsind) hanno pubblicato una nota congiunta in cui hanno evidenziato quelle che definiscono "una serie di disposizioni legislative che portano involontariamente ad una cascata di effetti negativi".
Disposizioni che riguardano proprio i due articoli citati che secondo i Sindacati "disconoscono il vero principio della rappresentanza sociale delle Associazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro".
Da qui la richiesta che siano ripristinati i canoni di rappresentanza affidando agli Ordini il controllo dei Professionisti, a difesa della società civile, e alle Associazioni Sindacali la giusta rappresentatività dei Professionisti.
"In Italia - rilevano le associazioni aderenti a Confprofessioni - lo svolgimento di alcune professioni è subordinato all’iscrizione ad uno specifico Ordine professionale, al fine di garantire il possesso ed il mantenimento di determinati requisiti essenziali. Gli Ordini professionali ricoprono un ruolo di controllo e di gestione della professione sotto la vigilanza del Ministero della Giustizia del quale sono emanazione e sono quindi Enti Pubblici ai quali tutti i professionisti che vogliono esercitare la professione sono, ripetiamo, obbligati ad iscriversi: è evidente che l’obbligatorietà dell’iscrizione è la negazione del fondamento democratico sul quale si fonda la rappresentanza, che presuppone assolutamente la volontarietà di adesione: nessun Ordine pertanto, ai quali sono iscritti anche i professori universitari, i dipendenti pubblici o privati, e persino i colleghi che non esercitano la libera professione, può svolgere rappresentanza dei liberi professionisti".
"Tantomeno - continuano - possono svolgere attività di rappresentanza dei liberi professionisti i Consigli Nazionali o la Rete delle Professioni Tecniche perché si tratta di organismi di secondo e terzo livello, che non hanno alcun rapporto diretto con coloro che svolgono la libera professione. Ugualmente le Casse di Previdenza privatizzate, (che non ci risulta rivendichino alcun ruolo di questa natura), che si devono occupare, per legge, di Previdenza, non hanno statutariamente alcuna rappresentanza sociale e così ovviamente, le loro emanazioni. Del resto, analogamente, la Camera di Commercio alla quale devono essere obbligatoriamente iscritte le imprese, non ha, né può avere la rappresentanza sociale dei commercianti, degli industriali, degli artigiani o degli agricoltori, rappresentanza che compete alle sole associazioni di categoria".
Per cui "gli unici organismi cui compete la rappresentanza dei professionisti sono i loro sindacati e le libere associazioni cui essi hanno aderito liberamente".
La richiesta dei Sindacati
Chiediamo quindi che siano ripristinati i giusti ruoli di
rappresentanza: agli Ordini la rappresentanza della professione e
il controllo deontologico dei professionisti, quindi la tutela dei
nostri clienti, alle Associazioni Sindacali la rappresentanza
sociale ed economica dei Liberi Professionisti.
Ciò premesso, l’equo compenso è il corretto riconoscimento di
un lavoro svolto, ma soprattutto il diritto del professionista di
essere adeguatamente pagato, indipendentemente dalla qualifica e
dalla natura del suo committente.
Ma è soprattutto laddove la proposta prevede la tutela dei diritti attraverso la Class Action che esprime la più grande delle contraddizioni, allorquando ne riserva la facoltà dell’iniziativa all’Ordine Professionale Nazionale, ovvero ad una diretta emanazione dello Stato, invece che a Enti e Sindacati che rappresentano liberamente i loro iscritti professionisti.
Perché creare questo pericoloso precedente?
Perché normare confusamente ciò che è già correttamente normato nella legge della Class Action? (vedi disciplina dall’art. 140-bis del Codice del Consumo (Decreto legislativo n. 206/2005), come modificato dall’art. 49 della Legge n. 99 del 23 luglio 2009 e dall’articolo 6 del decreto-legge n. 1/2012, convertito nella legge n. 27/2012)
L'istituzione di un Osservatorio sull'Equo Compenso, che la proposta di legge prevede sia demandato al Ministero della Giustizia e costituito solo con la partecipazione dei Consigli Nazionali degli Ordini, di fatto rappresenterebbe un organo di controllo a presenza unica, quella dello Stato, dal momento che gli unici altri organismi che ne farebbero parte sarebbero quelli dallo Stato stesso emanati e/o controllati.
Inoltre riconoscere la rappresentanza degli iscritti al sistema ordinistico, creerebbe un palese conflitto del ruolo istituzionale proprio degli Ordini, i quali hanno, il compito di dare il parere di congruità della prestazione professionale, come correttamente previsto all’art. 5 della proposta di legge, proprio in forza della propria terzietà istituzionale. Terzietà che verrebbe a mancare se gli stessi al tempo stesso dovessero certificare la congruità del compenso e contestualmente procedere con l’attivazione delle class actions in rappresentanza degli iscritti.
Gli unici organismi cui compete la rappresentanza dei professionisti sono i loro sindacati costituiti in libere associazioni cui essi hanno aderito liberamente.
Né ci si può nascondere dietro il paravento che i Consigli degli Ordini sarebbero determinati da libere elezioni tra gli iscritti dal momento che le funzioni degli Ordini previste dalla legge e quindi delle loro espressioni di secondo e di terzo grado (Consigli nazionali e Rete delle Professioni), non comprendono la rappresentanza sociale dei professionisti ad essi obbligatoriamente iscritti".
La lettera è stata firmata dai presidenti nazionali delle associazioni:
- Ala Assoarchitetti, Arch. Bruno Gabbiani
- Antec, Per. Ind. Amos Giardino
- Asso Ingegneri ed Architetti, Arch. Alberto Molinari
- Fidaf, Dott. Andrea Sonnino;
- Inarsind, Ing Carmelo Russo
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