Fatturazione in acconto per lavori Superbonus non eseguiti: per la Cassazione è reato
di Redazione tecnica - 04/11/2024
Il meccanismo che contraddistingue la maggior parte delle azioni fraudolente connesse all'abuso delle agevolazioni fiscali previste dal Decreto Rilancio (c.d. Superbonus) è caratterizzato dalla presentazione di fatture per operazioni di fatto inesistenti, ma idonee a generare un credito fiscale illegittimo, cedibile e monetizzabile.
Fatture inesistenti e crediti illegittimi: la Cassazione sulle truffe Superbonus
Lo spiega la Corte di Cassazione con la sentenza del 17 ottobre 2024, n. 38161, con la quale ha respinto il ricorso contro un'ordinanza di vincolo cautelare apposta su alcune società, i cui legali rappresentanti erano stati accusati per i reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti, indebita compensazione, falso, ed illecito reimpiego; reati consumati attraverso l'abuso delle agevolazioni Superbonus.
Gli ermellini hanno spiegato che le frodi correlate all'abuso delle agevolazioni "superbonus" possono - in astratto - essere dirette sia nei confronti degli Istituti di credito, che dello Stato, con condotte concorrenti, generando un profitto identificabile sia nel denaro derivante dalla monetizzazione del credito, che nella proiezione cartolare di tale credito, ceduto alle banche.
Integra infatti il fumus del delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti la condotta di chi, avendo monetizzato il credito derivante dalla realizzazione di opere suscettibili di fruire dell'agevolazione fiscale del cd. "superbonus 110%" mediante la sua cessione o lo "sconto in fattura" ex art. 121 di. 19 maggio 2020, n. 34, effettui la fatturazione "in acconto" di spese relative a opere non ultimate o non certificate, posto che l'emissione di tali fatture mira a simulare l'esistenza di spese in concreto non ancora sopportate e a creare fittiziamente il presupposto costitutivo del diritto alla detrazione.
Non solo: i crediti di imposta ceduti ai sensi dell'art. 121 d.l. 19 maggio 2020, n. 34 possono dar luogo, in quanto derivanti direttamente dal diritto originario in capo al committente alla detrazione d'imposta di "costi in realtà non sostenuti", al delitto previsto dall'art. 10-quater, comma 2, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, se utilizzati in compensazione dal cessionario, avendo natura di crediti non spettanti o inesistenti.
Per quanto riguarda l’emissione di fatture inesistenti, la Corte specifica che:
- le spese, per poter essere detratte con i vari bonus, devono essere fatturate e pagate durante il periodo di vigenza dei bonus stessi;
- il fatto che il beneficio fiscale sia condizionato all'effettiva esecuzione e completamento dei lavori dei lavori - da effettuare nel rispetto della normativa - non elide la rilevanza penale della falsa fatturazione funzionale alla creazione del credito inesistente
Sì al vincolo cautelare sull'impresa che ha fatturato le spese
Anche se in questo caso mancano le querele degli istituti di credito che hanno monetizzato i crediti inesistenti e che, pertanto, i reati di truffa ai danni delle banche sono improcedibili, è comunque altrettanto vero che è stato dimostrato, il fumus dei reati di falsa fatturazione, indebita compensazione, riciclaggio ed autoriciclaggio, il che legittima l'applicazione del vincolo cautelare contestato.
Questo perché, ai fini dell'adozione della misura cautelare del sequestro preventivo delle cose pertinenti al reato, finalizzato ad evitare la protrazione del reato, non è necessario accertare, a differenza di quanto richiesto per il sequestro ai fini di confisca, l'esistenza di un "collegamento strutturale" fra il bene da sequestrare e il reato commesso, in quanto la "pertinenza" richiesta dal primo comma dell'art. 321 cod. proc. pen. comprende non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato fu commesso o che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche quelle legate solo indirettamente alla fattispecie criminosa.
Diversamente, la libera disponibilità dei beni rischia di aggravare le conseguenze dei reati in contestazione e di favorire la consumazione di reati di analoga natura. Ipotesi in questo caso confermata dal fatto che i cantieri edili gestiti dalle società erano, ancora aperti ed attivi e che soltanto l'azione dell'amministratore giudiziario nominato dal tribunale per le misure di prevenzione era riuscita ad arginare la situazione di allarmante illegalità, motivo per cui l'ordinanza di vincolo cautelare è stata ritenuta pienamente legittima.
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