Imposte non dovute: spetta al contribuente provare l’esenzione dalle tasse

di Redazione tecnica - 11/10/2022

Il mancato pagamento di un’imposta non solo porta ad un accertamento da parte del Fisco ma, nel corso di un eventuale contenzioso, occorre provare in maniera puntuale il perché la somma non era dovuta. Queste le motivazioni alla base dell’ordinanza n. 29220/2022 della Corte di Cassazione, che ha dichiarato inammissibile un ricorso contro una sentenza della Commissione Tributaria.

Contenzioso per mancato pagamento imposte: l'onere della prova 

Il contenzioso ha origine dall’impugnazione di quattro avvisi di accertamento emessi da un’Amministrazione Comunale ai fini ICI per gli anni 2008/2011 per omesso versamento dell'imposta in relazione ad alcuni immobili. La società contribuente contestava di non avere il possesso di alcuni degli immobili accertati e che si trattava di unità immobiliari non ultimate e/o non alienabili, in quanto prive di concessione in sanatoria; di un altro immobile inoltre precisa che si trattava di un immobile inagibile, con conseguente erroneo inquadramento nella cat. A/8.

La CTP aveva rigetto il ricorso, così come la CTR, sul presupposto che le lamentele del ricorrente non fossero adeguatamente supportate da documentazione. E stessa sorte è stata riservata in Cassazione, dove il ricorso è stato ritenuto inammissibile.

Preliminarmente, gli ermellini hanno ricordato che l'art. 11, comma 2-bis, del d.lgs. n. 504/1992, disponendo che gli avvisi di liquidazione e accertamento vanno motivati in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che li hanno determinati, non comportava un obbligo di indicare anche le ragioni giuridiche relative al mancato riconoscimento di ogni possibile esenzione prevista dalla legge ed astrattamente applicabile, per cui ove erano indicati dal Comune i dati catastali identificativi dell'immobile, il soggetto tenuto al pagamento e l'ammontare dell'imposta, spettava al contribuente dedurre e provare eventuali cause di esclusione dell'imposta.

La proprietà può essere provata dall'ente riscossore tramite i dati catastali

Tale norma è stata abrogata, e la fattispecie in esame, relativa agli anni d'imposta dal 2008 al 2010, è disciplinata ora dall'art. 1 comma 162 della I. n. 296/2006, sul quale la stessa Corte ha statuito che: «In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), la proprietà o altro diritto reale sul bene, che rappresentano, ex art. 3 del d.lgs n. 504 del 1992, il presupposto impositivo del tributo, possono essere provati dall'ente impositore anche tramite le annotazioni risultanti dai registri catastali, che, pur non costituendo prova dei predetti diritti, in quanto preordinati a fini squisitamente fiscali, fanno sorgere una presunzione "de facto" di veridicità delle loro risultanze, ponendo a carico del contribuente l'onere di fornire la prova contraria».

Nel caso in esame, la ricorrente si è limitata ad affermare di non essere proprietaria di uno degli immobili incisi dall'atto tributario impugnato e che per l'altro immobile sarebbe stato dimostrato lo stato di inagibilità: ciò in contrasto con quanto accertato dalla CTR.

Il ricorso è risultato quindi inammissibile, sia in quanto tendente ad una rivalutazione degli elementi istruttori congruamente valutati dalla CTR e non riproponibili in sede di legittimità, sia per carenza di autosufficienza, non riportando gli elementi e le prove ritenuti decisivi al fine di supportare le ragioni delle doglianze, sia per mancanza di specificità.

Il ricorrente avrebbe infatti dovuto spiegare le ragioni del proprio dissenso in termini tali da soddisfare esigenze di specificità, di completezza e di riferibilità a quanto pronunciato e quindi portare all'esame dei giudici i motivi concreti a prova dell’esonero dal pagamento delle imposte.

 



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