Installazione piscina prefabbricata: ci vuole il permesso di costruire?
di Redazione tecnica - 27/04/2023
Non sempre l’installazione di una piscina prefabbricata è liberamente consentita, soprattutto se sull’area insitono vincoli di natura paesaggistica.
Piscina prefabbricata in area vincolata: la sentenza del TAR
Lo ricorda il TAR Toscana con la sentenza n. 408/2023, con la quale i giudici amministrativi hanno dato ragione a un Comune che aveva negato un permesso di costruire in sanatoria, anche per incompatibilità con il paesaggio circostante, relativo a una piscina con guaina appoggiata su un piano livellato in cemento. L’intervento aveva anche comportato la sistemazione dell’area esterna e la realizzazione di un vano tecnico, tutti lavori che andavano considerati in maniera unitaria con l’inistallazione della piscina.
Secondo i ricorrenti le opere non avrebbero determinato la permanente trasformazione del suolo, da intendersi quale definitiva compromissione della vocazione impressa all’area dagli strumenti urbanistici, nè avrebbero in alcun modo alterato il paesaggio circostante o inciso sul vincolo idrogeologico. Non sarebbe stato quindi presente alcun contrasto con la normativa in materia paesaggistica, idrogeologica e edilizia, contrariamente a quanto evidenziato dal Comune.
In particolare, la piscina corrispondeva a una vasca di limitate dimensioni, semplicemente appoggiata sul terreno, costituita da una struttura prefabbricata che poteva essere agevolmente smontata e perciò priva di carattere permanente; la sua realizzazione, inoltre, non avrebbe comportato né scavi, né movimenti di terra, né la rimozione degli ulivi presenti sul terreno; la vasca, in ogni caso, era installata all’interno di un declivio determinato da una naturale depressione del terreno e non sarebbe stata quindi visibile dall’esterno della proprietà.
L’amministrazione, in conclusione, avrebbe provveduto senza verificare l’effettivo stato dei luoghi e le caratteristiche delle opere e senza indicare le reali ragioni di contrasto dei manufatti rispetto alla disciplina edilizia e paesaggistica vigente.
Il carattere temporaneo o permanente delle opere
Sulla questione, il TAR ha ricordato il consolidato orientamento giurisprudenziale, per cui la valutazione del reale impatto che un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere produce sul territorio e sul paesaggio va considerato in modo unitario: i singoli interventi eseguiti, quando risultino collegati funzionalmente, non possono essere considerati in maniera frazionata e che in questo caso il Comune ha qualificato come “trasformazione edilizia soggetta a permesso di costruire”.
Secondo il giudice, le caratteristiche costruttive e i materiali utilizzati per l’intervento non potevanoqualificarlo come precario e temporaneo, giacché ha comportato una trasformazione permanente di suolo inedificato; la piscina, infatti, è collocata su un piano in cemento appositamente realizzato, che di certo non può essere considerato di agevole rimozione e che non può ritenersi irrilevante sotto il profilo paesaggistico e del rischio idrogeologico.
Non conta inoltre che la piscina non fosse stabilmente infissa sul piano in cemento, poiché sotto il profilo funzionale - che come noto assume rilievo preminente nella determinazione della natura temporanea o permanente delle opere - l’intervento rimane appunto intrinsecamente destinato a soddisfare esigenze continuative e permanenti.
Di conseguenza, il ricorso è stato respinto, confermando la legittimità dell'ordine di demolizione disposto dal Comune.
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