Interventi su edifici abusivi: senza condono, nessun permesso

di Redazione tecnica - 17/05/2022

Risanare una struttura abusiva in zona vincolata, senza che essa sia stata condonata, è praticamente impossibile. A confermarlo è il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3791/2022, con la quale la VI Sezione di Palazzo Spada ha confermato quanto deciso in primo grado dal TAR Sardegna.

Interventi di risanamento su struttura abusiva: la sentenza del Consiglio di Stato

La questione riguarda un manufatto abusivo, situato in zona sottoposta a vincolo paesaggistico. La struttura era stata realizzata in assenza di permesso di costruire nel 1974; successivamente era stata presentata un’istanza di sanatoria ai sensi della legge n. 47/1985 (cd. “Primo Condono Edilizio”) e, in pendenza di questa, anche una richiesta per effettuare un intervento di restauro conservativo.

Quest’ultimo intervento era subordinato alla verifica di compatibilità paesaggistica dell’immobile, dato che la struttura si trovava in area vincolata, ai sensi dell'art. 32 l. 47/1985. E il Servizio regionale competente ha respinto l'istanza di condono, specificando che le opere abusive “arrecano danno ai beni paesaggistici tutelati in quanto proponendosi con materiali precari, si inseriscono nel contesto paesistico interessato quale elemento antiestetico di contrasto in un'area che riveste notevole importanza sotto il profilo paesistico naturale”. Dato questo parere negativo, il Comune ha respinto la domanda per il risanamento.

Secondo la ricorrente, i due procedimenti sarebbero stati confusi e le Amministrazioni avrebbero dovuto solo considerare la domanda relativa all’intervento di risanamento, in pendenza dell'altra.

Istanza di condono e interventi di risanamento

Il Consiglio ha respinto il ricorso: le amministrazioni, in particolare il Servizio regionale competente ad esprimersi sulla compatibilità paesaggistica dell’opera, non avrebbero mai potuto scrutinare la domanda per il rilascio del titolo edilizio a realizzare il progetto di risanamento del manufatto in legno prima di avere completato le verifiche in merito alla condonabilità dell’immobile e quindi prima di aver definito il procedimento di condono avviato nel 1986; e questo per evidenti ragioni logico-giuridiche che escludono ogni valutazione sulla compatibilità, anche sotto il profilo paesaggistico, di interventi di risanamento edilizio di un immobile prima di definire l’abusività o meno della sua realizzazione.

Per altro, non ha rilievo il ritardo con il quale è stata scrutinata e definita la domanda di condono edilizio, (circostanza) che secondo la ricorrente avrebbe determinato una fuorviata valutazione dell’assentibilità del progetto di risanamento costruttivo dell’immobile, ormai strutturalmente “diverso” rispetto a quello oggetto della domanda di condono.

Sul punto, i giudici di Palazzo Spada hanno richiamato quanto stabilito dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, la quale ha affermato che, anche quando sia decorso un considerevole lasso di tempo dalla commissione dell'abuso, non occorre alcuna particolare motivazione in ordine alla sussistenza di uno specifico interesse pubblico al ripristino della legittimità violata e all'affidamento ingenerato nel privato.

L'ordinamento infatti tutela “l'affidamento di chi versa in una situazione antigiuridica soltanto laddove esso presenti un carattere incolpevole, mentre la realizzazione di un'opera abusiva si concretizza in una volontaria attività del costruttore realizzata contra legem”.

Da qui derivano due importanti conseguenze:

  • la verifica dell’abusività di un’opera edilizia costituisce un prius rispetto ad ogni altra indagine circa la compatibilità e assentibilità di successivi progetti presentati dal proprietario al fine di intervenire su detto immobile, posto che l’eventuale abusività originaria dello stesso, in uno con la sua eventuale non condonabilità, costituiscono fasi di indagine propedeutiche all’esame della legittimità di qualsiasi successivo intervento sul ridetto immobile;
  • il trascorrere di un considerevole lasso di tempo intercorrente dalla presentazione della domanda di condono alla conclusione del relativo procedimento non costituisce valida (e legittima) giustificazione rispetto all’abusiva realizzazione dell’immobile, perché il proprietario è tenuto a rimuovere le opere illegalmente realizzate per tutto il tempo di durata del procedimento di condono, al fine di ricondurre a legalità il suo intervento sul territorio ove insiste la proprietà che è illegittimamente alterato dalla presenza delle opere realizzate contra legem: “L’ordinamento non accetta l’esistenza di una posizione di legittimo affidamento - al mantenimento comunque delle opere abusive - in favore dell’interessato alimentata dalla inerzia dell’amministrazione ovvero dalle lungaggini collegate alla conclusione dell’esame della domanda di condono, restando perdurante – e prevalente - l’illegalità a suo tempo realizzata dal proprietario”.

Ne deriva quindi che la domanda volta ad ottenere il titolo per l’intervento di risanamento dell’immobile non può essere prioritaria rispetto alla definizione della domanda di condono, alla sopravvenienza della imposizione del vincolo paesaggistico nell’area in questione, ragion per cui il ricorso è statio respinto, confermando l’impossibilità di procedere con il rilascio dell’autorizzazione all’intervento di risanamento su una struttura di fatto abusiva.

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