Permesso di costruire annullato: il Comune è obbligato a motivare

di Redazione tecnica - 26/09/2024

Affinché sia possibile annullare d’ufficio un provvedimento approvato anche con silenzio-assenso, è necessario che l’Amministrazione motivi anche sulle ragioni di interesse pubblico, tenendo conto degli interessi dei destinatari e controinteressati in virtù del legittimo affidamento maturato.

La generale necessità di contrastare il fenomeno dell’abusivismo edilizio, infatti, non esime il Comune dall’obbligo di giustificare la decisione di esercitare l’autotutela, non essendo possibile procedere all’annullamento di un titolo edilizio sul solo presupposto dell’esistenza di un interesse pubblico che però non viene adeguatamente argomentato.

Autotutela per titoli edilizi: come funziona, doveri del Comune

A chiarirlo è il Consiglio di Stato con la sentenza del 3 settembre 2024, n. 7370che ha rigettato un ricorso con cui il Comune chiedeva la riforma della sentenza del TAR, che ha reputato illegittimo l’annullamento in autotutela del Permesso di Costruire rilasciato per lavori di demo-ricostruzione con ampliamento di un fabbricato ad uso abitativo.

Nello specifico, rileva in questo caso come il proprietario dell’immobile abbia dapprima formalizzato una proposta progettuale finalizzata al rilascio del titolo nel 2017, per poi presentare, l’anno seguente, una nuova richiesta di permesso di costruire in sostituzione/modifica del progetto già presentato, a seguito dell’attività istruttoria espletata in contraddittorio, sempre per gli stessi lavori.

Il Comune, ritenendo che il procedimento non fosse stato perfezionato secondo i termini prescritti dall’art. 20 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), ha inizialmente inviato al soggetto una nota recante motivi ostativi all’accoglimento e, in seguito, emesso il provvedimento di diniego al rilascio del permesso.

Sulla richiesta tuttavia si era già formato il silenzio-assenso. Dunque, dopo una prima sentenza che ha decretato l’illegittimità del diniego del Comune, quest’ultimo ha deciso di esercitare il potere dell’autotutela sul titolo, non precisando però quale fosse l’interesse collettivo da tutelare, e ottenendo, quindi, un nuovo annullamento dell’atto amministrativo anche dal TAR.

I giudici di Palazzo Spada hanno confermato come illegittimo e ingiustificato l’operato del Comune.

In particolare, si fa presente che quanto previsto dall’art. 21-nonies della Legge n. 241/1990 (Norme in materia di procedimento amministrativo) si applica anche in materia edilizia, e anche nel caso in cui si tratti di titoli edilizi approvati con il meccanismo del silenzio-assenso di cui al comma 8 dello stesso art. 20 del TUE citato sopra.

I presupposti dell'autotutela

Di conseguenza, se è vero che l’Amministrazione ha il potere, in base a precisi termini, di procedere con l’annullamento in autotutela di un permesso di costruire, è altrettanto vero che tale potere è legato all’obbligo di dimostrare tre presupposti:

  • il primo riguardante l’illegittimità del titolo da annullare, per il quale non esiste potere discrezionale attribuibile al Comune;
  • il secondo e il terzo - relativi, rispettivamente, alla ragionevolezza del termine entro cui si adotta il potere, e al rapporto tra l’interesse della collettività a rimuovere l’abuso e l’interesse del privato a mantenerlo per il legittimo affidamento maturato - per i quali l’Amministrazione invece è tenuta a compiere una valutazione discrezionale.

Nello specifico, per quanto riguarda il rapporto tra l’interesse pubblico e l’interesse del privato, viene chiarito che la valutazione dev’esserevolta alla ricerca del giusto equilibrio tra il ripristino della legalità violata e la conservazione dell’assetto regolativo impresso dal provvedimento viziato”.

Difatti, la generale esigenza di contrasto all’abusivismo non significa che l’Amministrazione sia de-responsabilizzata oppure esentata dall’obbligo di motivare l’annullamento del titolo, non essendo possibile giustificare la scelta sulla base di un interesse pubblico generale e non adeguatamente specificato.

Progetto di opere modeste in c.a.: abilitati anche i geometri

Il fatto che l’area nella quale si sono svolti gli interventi sia soggetta a vincoli di tutela paesaggistica, ai sensi del D.lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) - e, più precisamente, a rischio sismico - risulta del tutto irrilevante per il caso in esame, e non giustifica l’esercizio dell’autotutela da parte del Comune.

Emerge infatti che la richiesta di Permesso presentata dall’interessato avesse come oggetto proprio la realizzazione di interventi in zona sismica; interventi per i quali, inoltre, egli ha ottenuto anche l’Autorizzazione da parte dell’Amministrazione provinciale.

Allo stesso modo, non rileva il fatto che il progettista architettonico coinvolto negli interventi fosse un geometra e che l’opera fosse un fabbricato in cemento armato.

Si fa presente infatti che il R.D. n. 274/1929 (Regolamento per la professione di geometra), all’art. 16, lett. m), limita la competenza dei geometri alla progettazione, direzione e vigilanza di modeste costruzioni civili, con esclusione di quelle che comportino l’adozione - anche parziale - di strutture in cemento armato.

La lettera l) precedente, tuttavia, autorizza i geometri allo svolgimento delle attività di “progetto, direzione, sorveglianza e liquidazione di costruzioni rurali e di edifici per uso d’industrie agricole, di limitata importanza, di struttura ordinaria, comprese piccole costruzioni accessorie in cemento armato, che non richiedano particolari operazioni di calcolo e che per la loro destinazione non possano comunque implicare pericolo per la incolumità delle persone […]”.

Nel caso di specie, si osserva intanto che il fabbricato è risultato essere di modeste dimensioni (82,37 mq di superficie, quasi 8,5 metri d’altezza, volumetria di 695 mc circa) - e, pertanto, idoneo anche in virtù delle competenze attribuibili al geometra - ma, in più, è emerso che nella domanda di Permesso vengono citati tra i soggetti coinvolti sia un geometra che un ingegnere, pertanto la contestazione è da reputare comunque superflua. Il ricorso non può che essere respinto.



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