Rapporto Confprofessioni: lo stato delle professioni ai tempi della in pandemia

di Redazione tecnica - 18/12/2021

Presentato a Roma il "VI Rapporto sulle libere professioni in Italia", curato dall’Osservatorio delle libere professioni di Confprofessioni. Il documento fotografa l’attuale situazione dei professionisti, evidenziando tanti chiaroscuri, dovuti anche gli effetti della pandemia sul lavoro autonomo e professionale e non solo.

Rapporto Osservatorio Confprofessioni: un’analisi sui diversi settori professionali

Tra gli effetti più importanti in tutti i settori quelli dovuti alla pandemia da Covid-19. Nel 2020 hanno chiuso i battenti oltre 38mila professionisti, con un calo del 2,9% rispetto all’anno precedente. I più colpiti sono stati gli studi professionali con dipendenti (-7%), ma più in generale è tutta l’area del lavoro indipendente a soffrire, lasciando sul campo ben 154mila posti di lavoro (-2,9%).

I numeri più alti si registrano al Nord, mentre la flessione nel Centro-Sud è più contenuta e anzi in alcune regioni (Sardegna, Basilicata e Sicilia) sono invece presenti segnali di ripresa. Il crollo non riguarda solo il numero, ma anche il reddito dei professionisti, senza distinzioni tra ordinistici e non, dove persiste ancora un forte divario reddituale tra uomini e donne.

Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni, ha evidenziato che nel 2020 l’impatto del Covid sull’economia italiana è stato drammatico, ma che nel corso del 2021 si sta verificando un’ottima risalita del Pil, con la previsione di un recupero pari a oltre 6 punti percentuali a fine anno. "Il dato è sicuramente frutto dell’anticipazione degli investimenti e dalle attese sulle ricadute future del Pnrr sul sistema economico nazionale". Tuttavia, è ravvisabile una riconfigurazione strutturale dell’occupazione in Italia che penalizza autonomi e professionisti rispetto ai lavoratori dipendenti.

Crescita dell’occupazione femminile

Nel 2020 sono circa 1 milione e 430 mila i professionisti in Italia, che nonostante la frenata causata dalla pandemia, registrano un aumento di quasi 250mila unità in più rispetto al 2009. Gli uomini rappresentano il 64,4% della popolazione professionale, ma nonostante questo sono le donne a sostenere la crescita occupazionale degli ultimi 10 anni, con un aumento di circa 165 mila unità rispetto al 2010, mentre la popolazione maschile sale di circa 47 mila unità. Il balzo delle professioniste si riscontra un po’ in tutti i settori di attività, ma in particolare nell’area sanitaria (52,8%) e legale (49%); più indietro le professioni tecniche. Il gender balance è più equilibrato soprattutto nella popolazione più giovane: ciò significa che si va verso un sostanziale equilibrio di genere.

Analisi dei settori

L’area sanitaria è quella che cresce maggiormente in termini quantitativi, rappresentando il 19% del totale dei professionisti nel 2020. Seguono i servizi alle imprese (17%) e l’area tecnica (17%) che, però, perde terreno rispetto a dieci anni fa. Nell’ultimo anno, l’impatto della pandemia è più consistente nelle professioni a maggior specializzazione e in quelle dell’area tecnica, dove si registrano le maggiori perdite occupazionali che investono anche il lavoro autonomo.

Il settore “Commercio, finanza e immobiliare” crolla dell’11,7% a causa del blocco delle attività imposto dal lockdown; più contenute le perdite nel settore “Attività professionali, scientifiche e tecniche” (-1,5%) e in quello “Sanità e assistenza sociale” (-1,5%). La tendenza si registra in quasi tutte le regioni ma con intensità diverse: le più colpite sono quelle del Nord (in media un calo del 6,6%) quelle del Centro scendono dell’1,3%, mentre il Mezzogiorno si muove in controtendenza, segnando un incremento del 3,5%, sospinto dai “servizi alle imprese” e dalla “sanità”.

Sud Italia: segnali positivi

Sono le regioni del Mezzogiorno a sostenere le professioni durante la pandemia: numeri in positivo per Sardegna, Basilicata e Abruzzo. Freccia in basso invece per le regioni del Nord, che però, al di là dell'emergenza sanitaria, raccolgono quasi la metà di tutti i liberi professionisti italiani: oltre 706 mila unità, pari al 48,5% del totale. In generale, il Paese vanta un tasso di presenza della libera professione più che doppio rispetto a Germania e Spagna e nettamente superiore a quello della Francia.

Redditi in calo

Secondo i dati dell’Osservatorio di Confprofessioni, la pandemia ha generato i suoi effetti anche sulla redditività. Il reddito annuo medio dei professionisti iscritti alla Gestione separata dell’Inps è passato da 25.600 euro del 2019 a 24.100 euro del 2020, con un decremento del -5,7%. Non va meglio per gli iscritti alle Casse previdenziali: i redditi dei professionisti ordinisti si stabilizzano a quota 35.500 euro, in flessione di 2000 euro rispetto al 2010.

Negli ultimi 5 anni si registrano numeri positivi per i redditi di consulenti del lavoro (+33,4%), ingegneri e architetti (+10,4%), geometri (+9,4%) e avvocati (+3,4%), mentre scendono quelli di agrotecnici (-37,2%), periti agrari (-30,8%) e infermieri (-15,3%). Grande divario tra uomini e donne: nella fascia d’età tra i 50 e i 60 anni, gli uomini guadagnano in media più di 23 mila euro rispetto alle colleghe donne, fenomeno molto marcato tra i notai, i commercialisti e gli avvocati; tra i più giovani il divario di genere è meno marcato, pari a soli 5.600 euro.

Aumento dei laureati occupati

Secondo i dati Istat elaborati dall’Osservatorio delle libere professioni, negli ultimi anni in Italia si è passati dai 172mila laureati del 2001 ai 345mila del 2020, con una variazione del +101%. Questo significa naturalmente una crescita del numero di lavoratori in possesso della laurea. Le discipline più richieste sono Scienze motorie, Informatica e Tecnologie Ict e ingegneria industriale; scendono invece architettura, ingegneria civile e giurisprudenza.

All’aumento di laureati non corrisponde però un aumento di liberi professionisti. Secondo l’Osservatorio, il numero di abilitati, dal 2010 al 2019 è sceso del 16%, in particolare nel settore delle professioni tecniche, ma anche tra commercialisti, notai e avvocati.

Professionisti e smart working

Come ben sappiamo, la pandemia ha costretto tutti i settori a ripensare le forme di organizzazione del lavoro: proprio alle nuove modalità di lavoro agile è dedicato l’approfondimento del Rapporto. Dall’indagine svolta dall’Osservatorio di Confprofessioni emerge che l’utilizzo dello smart working nella fase della pandemia ha interessato il 58% degli studi professionali; circa un terzo dei liberi professionisti ha fatto ricorso allo smart working limitatamente al periodo di lockdown, mentre il 25% degli intervistati dichiara di continuare a utilizzare ancora il lavoro da remoto.

A riguardo delle prospettive future, una quota significativa di liberi professionisti (40% circa) dichiara di intendere mantenere o introdurre a breve lo smart working indipendentemente dalle esigenze di distanziamento sociale.



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