Requisiti minimi offerta tecnica: il Consiglio di Stato su clausole escludenti e principio di equivalenza

di Redazione tecnica - 24/05/2024

Il sindacato del giudice sulla valutazione dell’offerta tecnica operata dalla stazione appaltante è compreso in limiti ben definiti e riguarda eventuali profili di macroscopica illogicità o irragionevolezza della lex specialis.

Ne consegue che non sono impugnabili, né illegittime, le clausole del disciplinare che prevedono, a pena di esclusione, dei requisiti minimi sull’offerta tecnica, senza che si debba applicare il principio di equivalenza.

Requisiti minimi dell'offerta tecnica: l'applicazione del principio di equivalenza

A spiegarlo è la sentenza del Consiglio di Stato del 9 maggio 2024, n. 4155, con cui Palazzo Spada ha respinto il ricorso contro la revoca di aggiudicazione di un  fornitura tramite accordo quadro ex art. 54, comma 4, lettera a), del d.Lgs. n. 50/2016, Codice dei Contratti Pubblici vigente ratione temporis.

L’aggiudicazione era stata annullata con sentenza del TAR, in considerazione della mancata rispondenza dell’offerta della ditta aggiudicataria ai criteri minimi previsti a pena di esclusione.

Una scelta avallata anche dai giudici d’appello, che hanno sottolineato come le operazioni che la stazione appaltante svolge per verificare che l’offerta sia congrua e rispettosa della lex specialis sono caratterizzate da ampi margini di discrezionalità tecnica, secondo una valutazione globale e sintetica, sindacabile in sede giurisdizionale solo di fronte a macroscopici profili di illegittimità, restando in ogni caso precluso al giudice di sostituirsi all’Amministrazione nell’esecuzione di tali attività.

L’Amministrazione - pur essendo vincolata all’applicazione del principio di favor partecipationis, che tutela la libera concorrenza alle procedure di evidenza pubblica e impedisce alle stazioni appaltanti l’introduzione di regole che restringono la possibilità per gli operatori economici di presentare offerta idonea, ben può adottare regole di gara che, nell’esercizio dell’ampia discrezionalità in materia, possano garantire il perseguimento dell’obiettivo di fornire, come nel caso in esame, dispositivi che, nel rispetto dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e non estraneità rispetto all’oggetto di gara, siano meglio rispondenti alle esigenze della stazione appaltante.

Valutazione dell'offerta tecnica: l'ambito del sindacato del giudice amministrativo 

L’ambito del sindacato del giudice, pur essendo pieno, trova precisi limiti, in base a costante giurisprudenza, secondo cui:

  • a) la valutazione delle offerte tecniche, effettuata dalla commissione attraverso l’espressione di giudizi e l’attribuzione di punteggi, a fronte dei criteri valutativi previsti dal bando di gara, costituisce apprezzamento connotato da chiara discrezionalità tecnica sì da rendere detta valutazione insindacabile salvo che essa sia affetta da manifesta illogicità (manifesta illogicità che, nella vicenda qui all’esame, non si ravvisa in alcun modo);
  • b) il controllo del giudice è pieno, ossia tale da garantire piena tutela alle situazioni giuridiche private coinvolte; è vero che egli non può agire al posto dell’amministrazione ma può sicuramente censurare la scelta chiaramente inattendibile, frutto di un procedimento di applicazione della norma tecnica viziato, e annullare il provvedimento basato su di essa;
  • c) lo schema del ragionamento che il giudice è chiamato a svolgere sulle valutazioni tecniche può essere così descritto:
    • il giudice può limitarsi al controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito nell’attività amministrativa se ciò appare sufficiente per valutare la legittimità del provvedimento impugnato e non emergano spie tali da giustificare una ripetizione, secondo la tecnica del sindacato intrinseco, delle indagini specialistiche;
    • il sindacato può anche consistere, ove ciò sia necessario ai fini della verifica della legittimità della statuizione gravata, nella verifica dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto al criterio tecnico e al procedimento applicativo;
  • d) se è assodato che il giudice ha pieno accesso al fatto, occorre aggiungere che l’accesso al fatto non può consentire la sostituzione del giudice alla pubblica amministrazione nelle valutazioni ad essa riservate;
  • e) scontata l’opinabilità della valutazione, il giudice non può sostituirsi all’amministrazione, essendogli consentita la sola verifica di ragionevolezza, coerenza e attendibilità delle scelte compiute dalla stessa; se è stata riscontrata una corretta applicazione della regola tecnica al caso di specie, il giudice deve fermarsi, quando il risultato a cui è giunta l’amministrazione è uno di quelli resi possibili dall’opinabilità della scienza, anche se esso non è quello che l’organo giudicante avrebbe privilegiato;
  • f) in conclusione sul punto, il sindacato del giudice nel valutare la legittimità di valutazioni frutto di discrezionalità tecnica, è pieno, penetrante, effettivo, ma non sostitutivo; dinanzi a una valutazione tecnica complessa il giudice può pertanto ripercorrere il ragionamento seguito dall’amministrazione al fine di verificare in modo puntuale, anche in riferimento alla regola tecnica adottata, la ragionevolezza, la logicità, la coerenza dell’iter logico seguito dall’autorità, senza però potervi sostituire un sistema valutativo differente da lui stesso individuato.

Sono queste le coordinate entro cui va inquadrato il margine di valutazione della legittimità degli atti impugnati da parte del giudice.

In questo quadro di riferimento, per concludere che l’offerta dell’appellante fosse difforme rispetto alle specifiche tecniche poste dal Capitolato di gara, il percorso argomentativo del Tar è stato corretto, muovendo in prima battuta dall’analisi della lex specialis secondo cui “Non saranno prese in considerazione le offerte che non rispettino le caratteristiche minime riportate nell’Allegato 1”, requisiti minimi indispensabili che devono essere posseduti dal prodotto offerto”.

In base a questo primo rilievo, risulta, dunque, acclarato che l’offerta dell’aggiudicataria non fosse conforme alle regole capitolari con riguardo ad uno specifico requisito dei prodotti offerti stabilito a pena di esclusione dalla lex specialis. Di conseguenza, la stazione appaltante non avrebbe potuto ammettere l’operatore economico alle successive fasi della procedura.

In applicazione del principio dell’autovincolo, non sarebbe stato consentito alla stazione appaltante di non rispettare la disciplina che essa stessa si era data, non potendo in questa sede il favor partecipationis, fare premio sulla par condicio.

Principio di equivalenza dei prodotti: quando si applica?

La giurisprudenza ha individuato il punto di caduta della conciliazione della dialettica tra i due principi anche con la possibilità di chiedere chiarimenti all’offerente, stabilendo che sussiste sempre l’eventuale possibilità, “di richiedere al concorrente di fornire chiarimenti volti a consentire l’interpretazione della sua offerta e a ricercare l’effettiva volontà dell’offerente superando le eventuali ambiguità dell’offerta, ciò fermo il divieto di integrazione dell’offerta, senza attingere a fonti di conoscenza estranee alla stessa e a condizione di giungere a esiti certi circa la portata dell’impegno negoziale con essa assunta.

Spiega il Consiglio che, se è vero che la difformità dell’offerta rispetto alle caratteristiche tecniche previste nel capitolato di gara per i beni da fornire può risolversi in un aliud pro alio idoneo a giustificare, di per sé, l’esclusione dalla selezione anche in assenza di una espressa comminatoria in tal senso (fattispecie che non si registra nel presente caso, avendo la regola capitolare previsto l’espulsione), tuttavia questo rigido automatismo opera nel solo caso in cui le specifiche tecniche previste nella legge di gara consentano di ricostruire con esattezza il prodotto richiesto dall’Amministrazione e di fissare in maniera analitica ed inequivoca determinate caratteristiche tecniche come obbligatorie, e quindi laddove la disciplina di gara preveda qualità del prodotto che con assoluta certezza si qualifichino come caratteristiche minime.

Viceversa, soltanto laddove residui un margine di ambiguità circa l’effettiva portata delle clausole (escludenti) del bando, riprende vigore il principio residuale che impone di preferire l’interpretazione della lex specialis maggiormente rispettosa del principio del favor partecipationis e dell’interesse al più ampio confronto concorrenziale, oltre che della tassatività - intesa anche nel senso di tipicità ed inequivocabilità - delle cause di esclusione.

In questo caso, attesa la chiara natura espulsiva della clausola che imponeva, a pena di esclusione, l’offerta di un prodotto, l’Amministrazione avrebbe dovuto procedere all’esclusione dell’originaria aggiudicataria non avendo la stazione appaltante esplicato le ragioni di tale richiesta.

Il TAR, ha richiamato la giurisprudenza in materia e condivisibilmente ha stabilito che “il principio di equivalenza trova il proprio ambito di applicazione di elezione nell’ambito delle specifiche tecniche, ovvero quelle caratteristiche del prodotto che possono essere rispettate mediante l’offerta di prodotti non identici ma simili, purché soddisfino la finalità specifica richiesta”, ritenendo implausibile la sostituzione se non a rischio di configurare un vero e proprio aliud pro alio, ovvero un prodotto differente che non potrebbe soddisfare le esigenze dichiaratamente ritenute inderogabili dalla stazione appaltante allorchè ha prescelto di individuare dette caratteristiche stringenti preservandone l’osservanza a pena di esclusione”.

Nel caso di specie, nell’ambito proprio del sindacato di legittimità da parte del giudice amministrativo, si deve escludere nella fattispecie sia stato dimostrato in modo ragionevolmente attendibile che i materiali offerti garantissero prestazioni uguali, se non migliorative, di quelle previste dal Capitolato tecnico, proprio in virtù della valutazione fatta a monte dalla stazione appaltante sui requisiti dei prodotti, che vengono richiesti esattamente con quelle caratteristiche, che la lex specialis stabilisce, non a caso, a pena di esclusione.

Principio di equivalenza: differenza tra specifiche tecniche e requisiti minimi

Non deve essere trascurato che il principio di equivalenza è stato introdotto nel sistema dal legislatore europeo (ex articolo 42, par. 6, della direttiva 2014/24/UE) al chiaro fine di evitare che le “specifiche tecniche” fossero utilizzate dalle stazioni appaltanti in modo restrittivo della concorrenza, richiedendo caratteristiche tecniche dei prodotti, se non addirittura riconducibili solo a specifici produttori o processi di produzione, idonee a limitare fortemente la platea degli operatori economici in possesso delle capacità tecniche che consentissero loro di partecipare alla procedura di affidamento.

Ne consegue la distinzione operata dalla giurisprudenza tra:

  •  “specifiche tecniche”, rispetto alle quali il principio di equivalenza è sempre applicabile;
  •  “requisiti minimi obbligatori”, che possono essere richiesti a pena di esclusione in quanto esprimono la definizione a priori dei bisogni dell’Amministrazione, e quindi hanno l’effetto di perimetrare a monte i tipi di prestazioni che sono state considerate idonee a soddisfare tali bisogni.

Va aggiunto che la giurisprudenza della Sezione ha ritenuto il principio di equivalenza estensibile anche ai requisiti minimi qualificati come obbligatori dalla disciplina di gara, ma ciò ha fatto sulla scorta di un approccio “funzionale”, ossia con riferimento a fattispecie in cui dalla stessa lex specialis emergeva che determinate caratteristiche tecniche erano richieste al fine di assicurare all’Amministrazione il perseguimento di determinate finalità, e dunque poteva ammettersi la prova che queste ultime fossero soddisfatte anche attraverso prodotti o prestazioni aventi caratteristiche tecniche differenti da quelle richieste.

In tali ultimi casi, l’estensione in via giurisprudenziale dell’ambito di applicazione del principio di equivalenza, trova fondamento non già nelle esigenze pro-concorrenziali perseguite dal citato articolo 42, par. 6, della direttiva 2014/24/UE, ma nel più generale principio del favor partecipationis.

Conclude quindi il Consiglio che la qualificazione in termini “strutturali” o “funzionali” di un requisito minimo prescritto dalla legge di gara non dipende dalla natura del requisito in sé considerata (per esempio previsione della composizione del prodotto in uno specifico materiale), bensì dall’esistenza o meno nella lex specialis dell’esplicitazione delle finalità e dei bisogni dell’Amministrazione che la previsione di una determinata caratteristica tecnica è destinata a soddisfare.

Nessuna nuova interpretazione al riguardo si trova nel nuovo codice dei contratti pubblici di cui al d.Lgs. n. 36/2023, il quale si limita a riprodurre il testo del previgente articolo 68 decreto legislativo n. 50/2016 nell’allegato II.5, e quindi in un testo destinato ad assumere rango regolamentare, con ciò mostrando di non aver tenuto conto degli approdi giurisprudenziali sopra richiamati e di aver – forse – voluto ribadire la circoscrizione della portata del principio in questione alla sola sfera delle “specifiche tecniche” (in senso stretto).

In conclusione, l’offerta dell’appellante non poteva essere ammessa, atteso che risulta incontestato che nel caso di specie il prodotto offerto dalla società difettasse non di una, ma di due caratteristiche tecniche richieste dalla lex specialis, e che quest’ultima configurava i requisiti in questione in termini meramente “strutturali”, senza quindi lasciare alcuno spazio per un approccio “funzionale”.



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