Ristrutturazioni edilizie: quando ci vuole il permesso di costruire?

di Redazione tecnica - 11/10/2024

Un intervento che implica l’occupazione di nuovo volume e superficie utile, realizzato mediante opere di rimodellamento della morfologia del terreno, che presenti un carattere di stabilità fisica e permanenza temporale in quanto fisicamente ancorato al suolo, non può che considerarsi ricompreso nella categoria della nuova costruzione, e deve pertanto essere soggetto alla sanzione demolitoria e al ripristino dello stato dei luoghi.

Nuove costruzioni in area vincolata: sì alla demolizione se manca il permesso di costruire

A chiarirlo è il TAR Campania con la sentenza del 26 agosto 2024, n. 4663, rigettando il ricorso per l’annullamento dell’ordinanza di demolizione relativo a diverse opere conseguite, senza titoli o in difformità dagli stessi, all’interno di un’area sottoposta a vincoli di tutela paesaggistica ai sensi del D.lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).

Viene specificato innanzitutto che, in presenza di una pluralità di opere abusive realizzate sullo stesso manufatto, dev’essere sempre condotta una valutazione globale - e non atomistica - degli interventi realizzati, perché solo in questo modo si può realmente comprendere l’impatto prodotto sull’assetto territoriale.

Categorie interventi edilizi: descrizioni e differenze

In tal senso, è fondamentale saper distinguere le varie categorie di interventi edilizi di cui all’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), tenendo a mente che:

  1. le opere fisicamente ancorate al suolo, che comportino una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, attuate attraverso opere di rimodellamento della morfologia del terreno, sono da considerarsi come interventi di nuova costruzione, a prescindere dai materiali utilizzati e dal potenziale grado di amovibilità del manufatto; ciò sia che si tratti di un nuovo fabbricato fuori terra o interrato, oppure di un ampliamento di un’opera già esistente al di fuori della sagoma stabilita;
  2. rientrano nella nozione di ristrutturazione edilizia, invece, le opere di modifica di un immobile già esistente laddove siano rispettate le caratteristiche fondamentali dello stesso, non potendo qualificarsi come ristrutturazione la totale trasformazione di un manufatto che comprenda la creazione di nuovo volume e di un disegno sagomale differente rispetto alla struttura originaria, con conseguente realizzazione di un’opera che, nel complesso, sia oggettivamente diversa da quella preesistente.

In sostanza, si spiega, possono rientrare nel concetto di nuova costruzione anche le opere di ristrutturazione, qualora le modifiche volumetriche e di sagoma non risultino di portata limitata o, comunque, non siano riconducibili all’organismo strutturale esistente prima dei lavori.

In tema di differenti categorie di interventi, infine, viene chiarito che:

  • possono essere ricomprese nel restauro e risanamento conservativo solo le opere volte a conservare l’organismo edilizio al fine di assicurarne la funzionalità, che siano condotte senza alterare gli elementi tipologici, formali e strutturali sussistenti nella condizione ante operam;
  • nella categoria della manutenzione straordinaria, invece, rientrano le opere di modifica, rinnovo e sostituzione di parti anche strutturali degli edifici, che non comportino alterazioni alla volumetria complessiva, incrementi del carico urbanistico o mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d’uso.

Di conseguenza, si spiega, gli interventi che, anche sotto il profilo della distribuzione interna, alterino l’originaria consistenza fisica di un immobile e comportino la modifica e ridistribuzione dei volumi, non possono essere ricondotte nella manutenzione straordinaria né nel restauro o risanamento conservativo, ma devono essere considerate come ristrutturazione edilizia.

Ampliamenti senza titoli né autorizzazione: ripristino obbligatorio

Nel caso in esame sono stati conseguiti, senza titoli edilizi o in difformità dagli stessi, molteplici interventi che hanno comportato incrementi di volume e superficie utile, quali:

  • trasformazione del porticato preesistente in ambiente pertinenziale adibito a ingresso/soggiorno, con chiusura dello stesso mediante apposizione di un muretto;
  • realizzazione di una tettoia coperta, chiusa con veranda in alluminio e adibita a cucina;
  • realizzazione di una scala in ferro per accedere al lastrico solare;
  • ridistribuzione degli spazi interni in difformità rispetto a quanto assentito.

Per i giudici del TAR appare evidente che le opere conseguite, valutate nel loro complesso, siano riconducibili al concetto di nuova costruzione, non potendo essere ricomprese - visto quanto spiegato - in alcuna delle altre categorie di interventi disposte dal Testo Unico Edilizia, né tantomeno risultano considerabili come pertinenze o assentibili mediante semplice SCIA.

Viene chiarito, infatti, che la nozione di pertinenza urbanistico-edilizia è limitata alle sole opere accessorie di modesta entità che siano prive di autonomia funzionale, e non può in alcun modo essere estesa anche ad interventi che comportino - come in questo caso - rilevanti incrementi di superficie coperta, a prescindere dall’effettivo utilizzo che il soggetto faccia dell’ambiente realizzato.

Le opere rientrano pertanto nel concetto di nuova costruzione di cui all’art. 3, lett. e) del TUE, che comprende i lavori di “trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti”, e che peraltro - al punto e.6) - include anche “gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale”.

Difatti, nel caso in questione, gli abusi sono stati realizzati in area sottoposta a vincolo paesaggistico, oltre che senza titoli, anche senza autorizzazione paesaggistica, e risulta pertanto applicabile il regime sanzionatorio di cui all’art. 31 del TUE, che impone l’adozione dell’ordine ripristinatorio.

Si fa presente, peraltro, che anche volendo ricomprendere le opere conseguite nel regime della SCIA, troverebbe comunque applicazione l’art. 167 del Codice dei beni culturali, che prevede l’obbligo di demolizione per tutti i casi di opere conseguite in assenza o in difformità dall’autorizzazione paesaggistica che abbiano comportato incrementi di volumi o superfici utili, senza distinzioni tra volume tecnico o altro tipo di volume. Per tutti i motivi detti, il ricorso è stato respinto.



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