Sanatoria edilizia: il Consiglio di Stato spiega la doppia conformità

di Giorgio Vaiana - 11/06/2021

Tra gli articoli più discussi del DPR n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) è possibile annoverare il 34, che prevede la cosiddetta sanatoria giurisprudenziale, e il 36 che disciplina nel nostro ordinamento l'accertamento di conformità, ovvero l'istituto che consente la sanatoria edilizia di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, in difformità da esso o in assenza di segnalazione certificata di inizio attività.

L'accertamento di conformità

Quest'ultima disposizione prevede che è possibile ottenere il permesso di costruire in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda. La cosiddetta doppia conformità, su cui tanto si sta discutendo per la redazione della Disciplina delle Costruzioni che dovrà sostituire il DPR n. 380/2001, e su cui è intervenuta una copiosa giurisprudenza per chiare alcuni delicati punti.

Sanatoria edilizia e doppia conformità: nuovo intervento del Consiglio di Stato

Come nella sentenza n. 4049 del 25 maggio 2021 con la quale il Consiglio di Stato ha chiarito alcuni concetti relativi alla doppia conformità e alla sanatoria giurisprudenziale. Nel caso di specie, il ricorrente ha proposto ricorso per la riforma di una decisione di primo grado che aveva dato ragione all'amministrazione per il diniego della richiesta di sanatoria edilizia e per non aver scelto l'amministrazione di comminare una sanzione pecuniaria al posto della demolizione che avrebbe causato pregiudizio per le opere conformi.

Ma, andiamo con ordine.

La doppia conformità urbanistica

Partendo dal fatto, e questa cosa il ricorrente non l'ha mai smentita, che l'opera presentava varie difformità alla normativa vigente (dalla superficie alla volumetria, passando per la distanza dai confini e dalla strada d'uso, oltre che la destinazione d'uso), la richiesta di sanatoria non possedeva il requisito della doppia conformità richiesto dall'art. 36 del Testo Unico Edilizia. Questo perché, per ammettere la sanatoria occorre comunque "la conformità dell’opera abusiva alla disciplina urbanistica vigente al momento in cui l’amministrazione provvede".

L'art. 36 prevede, infatti, che "In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all'articolo 23, comma 1, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda".

Nel caso analizzato, come è facile comprendere, la condizione della doppia conformità viene a mancare. Ma non solo, perché i giudici rilevano che non è neanche possibile rilasciare un permesso di costruire in sanatoria condizionato alla esecuzione di opere finalizzate a riportare il fabbricato alla legalità. "Questo - dicono i giudici - contrasterebbe con gli elementi essenziali dell'accertamento di conformità, i quali presuppongono la già avvenuta esecuzione delle opere e la loro integrale conformità alla disciplina urbanistica". In ogni caso "il requisito della doppia conformità, deve considerarsi principio fondamentale nella materia del governo del territorio, in quanto adempimento finalizzato a garantire l'assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l'arco temporale compreso tra la realizzazione dell'opera e la presentazione dell'istanza volta ad ottenere l'accertamento di conformità".

Demolizione e sanzione amministrativa

Secondo il ricorrente, però, la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità. E per questo ha richiesto la sanzione alternativa alla demolizione prevista dall'art. 34, comma 2 per il quale "Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale".

La possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria (la c.d. fiscalizzazione dell'abuso o sanatoria giurisprudenziale) "deve essere valutata dall'amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva e autonoma rispetto a quella di adozione dell'ordine di demolizione". E quindi, aggiungono i giudici, questo esclude che "l’eventuale inerzia serbata dal Comune dopo l’emanazione dell’ordine di demolizione possa ridondare sulla legittimità di quest’ultimo".

Il tempo dell'abuso

Il fatto che un comune perda molto tempo a esercitare i poteri di vigilanza urbanistico-edilizia, non fa sorgere al privato un legittimo affidamento del bene abusivo. Lo spiega bene la sentenza: "Il lungo tempo trascorso dalla realizzazione dell’opera abusiva non è idoneo a radicare in capo al privato interessato alcun legittimo affidamento in ordine alla conservazione di una situazione di fatto illecita, per cui anche in tal caso l’ordine di demolizione assume carattere doveroso e vincolato e la sua emanazione non richiede alcuna motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse che impongono la rimozione dell’abuso". E sottolineano ormai una cosa ben nota: l'ordinanza di demolizione non necessita di previa comunicazione di avvio del procedimento. L'appello è stato totalmente respinto.



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