Secondo Condono Edilizio: la Cassazione interviene sul frazionamento artificioso

di Redazione tecnica - 29/09/2024

Ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità della sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario che fa capo ad unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, ai sensi della Legge n. 724/1994.

Ne consegue che eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad una unica concessione in sanatoria, per evitare l’elusione del limite di 750 metri cubi attraverso la considerazione di ciascuna parte in luogo dell'intero complesso.

Frazionamento artificioso domande di condono: la Cassazione ribadisce il divieto

Sul divieto di frazionamento artificioso delle domande di condono, finalizzato a eludere il limite volumetrico imposto dalla normativa si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza del 18 settembre 2024, n. 35008, confermando la legittimità della sentenza esecutiva di un ordine di demolizione.

Secondo il ricorrente, sarebbe stata fatta un’erronea applicazione dell’art. 39 della legge n. 724/1994 (c.d. Secondo Condono Edilizio) in quanto:

  • gli abusi edilizi non facevano capo ad un unico centro di interessi, bensì ad una pluralità di centri, dato che erano stati realizzati in tempi diversi e consistevano in distinti e autonomi ampliamenti del piano terra e del primo piano;
  • ne derivava l’autonoma legittimazione a proporre distinte domande di condono senza che esso possa essere considerato un artificioso frazionamento della domanda;
  • il Giudice dell'esecuzione avrebbe sommato la volumetria complessiva lorda dell'immobile, senza distinguere tra volumi tecnici/ accessori e volumi per i quali è necessaria la concessione in sanatoria.

Sulla questione, la Corte ha evidenziato come gli abusi avessero comprotato il completamento nel 1996, in violazione dei sigilli precedentemente apposti, di un immobile suddiviso in 4 appartamenti tra primo piano e piano rialzato per una volumetria complessiva superiore a 750 mc.

Sulle singole porzioni erano state presentate sei domande di condono ex lege n. 724 del 1994 positivamente esitate a favore delle proprietarie delle singole porzioni (figlie del ricorrente, ormai proprietario solo del deposito all’interno dell’edificio), giuste donazioni e compravendite effettuate in epoca successiva persino alla instaurazione dell'incidente di esecuzione.

Secondo Condono Edilizio: i presupposti per il rilascio della sanatoria

Al riguardo si ribadisce che ai fini della sanatoria prevista dall'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 - secondo cui, tra l'altro, le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, si applicano alle opere abusive che:

  • risultino ultimate entro il 31 dicembre 1993;
  • non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria;
  •  ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale, un ampliamento superiore a 750 metri cubi.

La realizzazione di un piano interrato rientra tra gli interventi computabili ai fini della determinazione della cubatura dell'edificio, dovendo detto calcolo essere riferito, salvo che non viga una disposizione contraria, ad ogni elemento dell'opera idoneo ad incidere sull'assetto del territorio ed a aumentare il carico urbanistico.

Il Giudice dell'esecuzione ha ritenuto correttamente artificioso il frazionamento delle domande. Sul punto, è stato ricordato che l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, previsto dall'art. 31, comma nono, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo Unico Edilizia) riguarda l'edificio nel suo complesso, comprensivo di eventuali aggiunte o modifiche successive all'esercizio dell'azione penale e/o alla condanna, atteso che l'obbligo di demolizione si configura come un dovere di "restitutio in integrum" dello stato dei luoghi e, come tale, non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo dell'originaria costruzione.

L'edificio va inteso come complesso unitario

Non solo: il Giudice ha fatto buon governo dell'insegnamento costante della Corte di cassazione secondo il quale, ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità della sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario che faccia capo ad unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad una unica concessione in sanatoria, onde evitare l’elusione del limite di settecentocinquanta metri cubi attraverso la considerazione di ciascuna parte in luogo dell'intero complesso.

Questo principio è stato confermato anche in tema di condono edilizio previsto dal d.l. 30 novembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326 (c.d. Terzo Condono Edilizio), per cui la presentazione di plurime istanze di sanatoria relative a distinte unità immobiliari, ciascuna di volumetria non eccedente i 750 mc., costituisce artificioso frazionamento della domanda, in caso di nuova costruzione di volumetria inferiore a 3.000 mc., la cui realizzazione sia ascrivibile ad un unico soggetto.

L'unitarietà del complesso immobiliare va riferita al centro di imputazione di interessi cui esso fa riferimento, dovendosi intendere per tale non l'unicità della persona fisica titolare di tali interessi bensì la unicità della situazione giuridica soggettiva attiva della quale il bene è oggetto, anche se facente capo a più persone; nel caso di comproprietà, quello che rileva è il rapporto tra il bene e il diritto del quale è oggetto non tra il bene e la pluralità di persone che possono disporne.

Nel caso di specie, l'immobile è unico e all'epoca degli abusi era oggetto del diritto di comproprietà del ricorrente e della moglie; solo successivamente è stato frazionato in tante parti quanti erano gli appartamenti e i locali che ne sono stati ricavati molti dei quali peraltro ceduti a terze persone.

Quanto al diverso limite volumetrico di 3000 mc. previsto dall'art. 32, comma 25, d.l. n. 269 del 2003, cit., premesso che nel caso di specie le concessioni in sanatoria sono state chieste e ottenute ai sensi della legge n. 724 del 1994, tale limite postula la legittimità delle singole istanze, legittimità che nel caso di specie deve essere esclusa a causa dell'artificioso frazionamento delle singole istanze.

Ordine di demolizione: non perde efficacia con trasferimento di proprietà

Sulla natura dell'ordine di demolizione la Cassazione inoltre ricorda che:

  • a) la sua operatività non può essere esclusa dalla alienazione a terzi della proprietà dell'immobile, con la sola conseguenza che l'acquirente potrà rivalersi nei confronti del venditore a seguito dell'avvenuta demolizione;
  • b) l'ordine di demolizione del manufatto abusivo è legittimamente adottato nei confronti del proprietario dell'immobile indipendentemente dall'essere egli stato anche l'autore dell'abuso, salva la facoltà del medesimo di far valere, sul piano civile, la responsabilità, contrattuale o extracontrattuale, del proprio dante causa;
  • c) l'esecuzione dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo impartito dal giudice a seguito dell'accertata violazione di norme urbanistiche non è esclusa dall'alienazione del manufatto a terzi, anche se intervenuta anteriormente all'ordine medesimo, atteso che l'esistenza del manufatto abusivo continua ad arrecare pregiudizio all'ambiente.

Per queste ragioni, l'ordine demolitorio, diversamente dalla pena, ma si trasmette agli eredi del responsabile e dei suoi aventi causa che a lui subentrino nella disponibilità del bene.

E ancora:

  •  l'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna ha natura di sanzione amministrativa;
  • assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso;
  • non ha finalità punitive ed ha carattere reale, con effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non è l'autore dell'abuso, con la conseguenza che non può ricondursi alla nozione convenzionale di "pena", nel senso elaborato dalla giurisprudenza della Corte EDU, e non è soggetto a prescrizione
  • la demolizione, a differenza della confisca, non può considerarsi una «pena» nemmeno ai sensi dell'art. 7 della CEDU, perché «essa tende alla riparazione effettiva di 'un danno e non è rivolta nella sua essenza a punire per impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge».
  • non rileva l’affidamento che il titolare del bene da demolire possa fare sull'inerzia della AG: il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell'interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell'intervento.

Non va nemmeno dimenticato che la demolizione ordinata dal giudice penale costituisce atto dovuto, esplicazione di un potere autonomo e non alternativo a quello dell'autorità amministrativa, con il quale può essere coordinato nella fase di esecuzione, un potere che si pone a chiusura del sistema sanzionatorio amministrativo. Ne consegue che il ricorso è stato respinto, confermando la demolizione del manufatto abusivo.



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