Secondo condono edilizio e demolizione: nuovo intervento della Cassazione
di Redazione tecnica - 12/04/2022
Un ordine di demolizione, un'istanza di condono edilizio, un successivo permesso di costruire in sanatoria e una successiva revoca. Tutti ingredienti contenuti nell'ultimo intervento della Corte di Cassazione che riguarda presupposti e requisiti richiesti per ottenere il condono edilizio.
Condono edilizio e ordine di demolizione: la nuova sentenza della Cassazione
Con la sentenza n. 13235 del 7 aprile 2022 la Suprema Corte interviene sul riesame di un'istanza di condono edilizio, sulla revoca di un'ordinanza di demolizione e il conseguente rilascio di un permesso di costruire in sanatoria.
Nel caso di specie con due Ordinanze, a seguito di ricorso presentato dal Procuratore della Repubblica, aveva annullato con rinvio l'ordinanza emessa dal Tribunale con la quale era stato revocato l'ordine di demolizione di un manufatto abusivo e rinviato al giudice la verifica della legittimità del condono rilasciato nonché i relativi effetti in sede penale.
In sede di rinvio il Tribunale, quale giudice dell'esecuzione, rigettava l'originario incidente di esecuzione proposto, rilevando che il condono edilizio non poteva essere rilasciato e, conseguentemente, il permesso a costruire risultava del tutto illegittimo. Da qui il ricorso in Cassazione basato su diverse motivazioni tra le quali la richiesta di verificare la sussistenza dei presupposti affinché la normativa sul condono edilizio possa essere applicata.
L'illegittimità del permesso di costruire in sanatoria
Gli ermellini hanno rilevato che il giudice, titolato ad esercitare il proprio sindacato sulla legittimità del provvedimento abilitativo in sanatoria, con motivazione congrua, logica ed adeguata, ha ampiamente illustrato le ragioni per le quali il permesso di costruire doveva essere considerato illegittimo, avuto riguardo:
- all'epoca di ultimazione delle opere;
- alla prosecuzione dei lavori abusivi oltre il termine ultimo per il perfezionamento della procedura entro il 31/12/1993;
- alla presentazione dell'istanza di condono e all'inidoneità del titolo a sanare le opere edificate nel 1994 e nel 1999.
Il giudice dell'esecuzione, quindi, ha puntualmente verificato la sussistenza delle seguenti condizioni:
- la tempestività e proponibilità della domanda;
- la effettiva ultimazione dei lavori entro il termine previsto per l'accesso al condono;
- il tipo di intervento e le dimensioni volumetriche;
- la insussistenza di cause di non condonabilità assoluta.
La data di ultimazione delle opere e la prosecuzione dei lavori
Come risulta dalla documentazione, vi era stata una prosecuzione dei lavori edili abusivi e più precisamente, in data 31/5/1994 vi era stato:
- un completamento delle opere al piano terra, già seminterrato, consistente nella realizzazione dell'intonaco esterno ed interno;
- la realizzazione di vani porta e finestra e di un piccolo locale di circa 6 mq tra la scala ed il fabbricato già denunciati;
- la realizzazione, senza alcuna autorizzazione di un manufatto di circa mq. 50, alto circa mt. 3,00, costituito da pilastri e copertura in c.a. misto a laterizi (le opere erano allo stato grezzo ed ancora in casseforme e puntellato);
- la realizzazione di muri di contenimento ad un terrapieno del tipo a sacco, per una lunghezza di circa 25 mq ed aventi altezza di circa mt.2,30;
- la realizzazione di un pergolato su una superficie di circa 22 mq ed altezza mt. 2,50, con pali in legno infissi in suolo, senza alcuna copertura;
- la sistemazione del viale di accesso all'abitazione, mediante la posa in opera di un massetto in conglomerato cementizio, impianti per illuminazione e scarico acque;
- la realizzazione di 2 pilastri in c.a. per la sistemazione del cancello di ingresso.
Il momento della presentazione dell'istanza
Ma, ancora più dirimente è il fatto che l'istanza di condono era stata presentata dopo la ricezione dell'ordine di demolizione emessa dal Comune che non solo non era stata ottemperata ma neanche era stata impugnata dinanzi al TAR o al Capo dello Stato.
Di conseguenza, il bene era da considerarsi acquisito, ipso iure, al patrimonio comunale.
La Cassazione ricorda che l'ingiustificata inottemperanza, nel termine di legge, all'ordine di demolizione di una costruzione abusiva emesso dall'autorità comunale comporta l'automatica acquisizione gratuita dell'immobile al patrimonio disponibile del Comune alla scadenza di detto termine, indipendentemente dalla notifica all'interessato dell'accertamento formale dell'inottemperanza che ha solo funzione certificativa dell'avvenuto trasferimento del diritto di proprietà, poiché la notifica all'interessato dell'accertamento formale dell'inottemperanza è unicamente il titolo necessario per l'immissione in possesso dell'ente e per la trascrizione nei registri immobiliari dell'atto di acquisizione.
L'immissione al patrimonio del Comune
La sanzione amministrativa del trasferimento coattivo del bene è volta a consentire all'ente pubblico di provvedere d'ufficio alla demolizione dell'immobile a spese del responsabile dell'abuso, salvo che si accerti in concreto un prevalente interesse pubblico alla conservazione dell'immobile stesso.
In caso di inottemperanza all'ingiunzione di demolizione, il manufatto abusivo non deve essere restituito al privato responsabile dell'abuso, quand'anche in possesso del bene, ma al Comune, divenutone proprietario a seguito dell'inutile decorso del termine di legge previsto dall'art. 31 del D.Lgs. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo Unico Edilizia).
Reati edilizi: l'ordine di demolizione
In tema di reati edilizi, l'ordine di demolizione impartito dal giudice con la sentenza di condanna è suscettibile di revoca quando risulti assolutamente incompatibile con atti amministrativi della competente autorità, che abbiano conferito all'immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l'abusività, fermo restando il potere-dovere del giudice dell'esecuzione di verificare la legittimità dell'atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio.
La Cassazione ha riaffermato il principio di diritto per cui l'esecutività del provvedimento giudiziale applicativo della sanzione amministrativa della demolizione adottato dal giudice con la condanna per gli illeciti edilizi, e la vincolatività del relativo comando per il soggetto destinatario, vengono meno, una volta definita la procedura di sanatoria con il rilascio della relativa concessione, sempre tuttavia che il giudice riscontri la legittimità dell'atto concessorio sotto il profilo della sussistenza dei presupposti per la sua "emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio. Solo in tale ipotesi, infatti, si determina una situazione giuridica nuova che rende incompatibile la sopravvivenza dell'ordine demolitorio e ne legittima la revoca o la modifica in fase esecutiva.
L'annullamento del permesso di costruire in sanatoria
Nel caso di specie, il giudice ha fatto corretta applicazione di tale principio, avendo chiarito nella argomentata motivazione di non condividere il giudizio di legittimità della concessione in sanatoria, ritenendo che l'opera in questione resti abusiva e non condonabile. Il permesso a costruire rilasciato risultava illegittimo perché fondato sul presupposto della realizzazione delle opere nel 1992, in epoca antecedente alla richiesta di sanatoria presentata, senza tenere conto dei successivi interventi abusivi realizzati nel 1994 e nel 1999.
Il titolo non solo non conteneva una valutazione dell'opera nella sua globalità ma era anche in contrasto con la disciplina del condono di cui alla Legge n. 724/1994 che si applica alle sole opere abusive che risultino ultimate entro il 31 dicembre 1993 e, inoltre, è inidoneo a coprire gli abusi edilizi realizzati negli anni successivi alla presentazione della domanda di condono.
Con tali motivazioni il ricorso è stato rigettato.
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