Secondo condono edilizio: no a interventi postumi per ottenere la sanatoria

di Redazione tecnica - 20/04/2024

In seguito alla scadenza disposta per la conclusione dei lavori ai fini del rilascio del condono non è possibile realizzare ulteriori opere sull’immobile abusivo, ad eccezione di determinati casi previsti dalla legge.

Di conseguenza, non è consentito in alcun modo provvedere con interventi che modifichino e alterino il manufatto in maniera significativa con l’obiettivo di renderlo sanabile successivamente alla scadenza dei termini stabiliti. Si tratterebbe infatti di un indebito tentativo di aggirare la disciplina legale, che avrebbe il solo effetto di aggravare ulteriormente l’illecito già commesso, andando a creare altre opere abusive.

Condono edilizio: quali lavori ammessi dopo il termine di legge?

A spiegarlo è stata la Corte di Cassazione con la sentenza dell’11 marzo 2024, n. 11413 con cui ha respinto il ricorso presentato contro il diniego sulla richiesta di incidente di esecuzione, finalizzato a ottenere la revoca o la sospensione dell’ordine di demolizione divenuto irrevocabile.

Sul punto, gli ermellini hanno ricordato che, in materia di condono edilizio, possono essere sanate esclusivamente le opere che, nel rispetto di determinate caratteristiche, risultano completate entro i termini imposti dalla legge. Non è chiaramente consentito, dunque, intervenire sugli immobili abusivi per renderli conformi alla disciplina in seguito alla scadenza imposta per il condono.

Gli unici interventi che si possono conseguire oltre i termini sono infatti quelli previsti dalla Legge n. 47/1985 (c.d. Primo Condono Edilizio), che:

  • all’art. 35 (“Procedimento per la sanatoria”) ammette - decorsi 120 giorni dalla presentazione e comunque dopo aver versato la seconda rata dell’oblazione - la possibilità di conseguire, sotto la propria responsabilità, modesti lavori di completamento e rifinitura dell’opera abusiva, a meno che questa non sia ubicata all’interno di un’area sottoposta a tutela nella quale sussistano vincoli di inedificabilità;
  • all’art. 43 (“Procedimenti in corso”) consente - unicamente per le opere che non siano state ultimate in tempo per effetto di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali - la realizzazione di soli lavori che siano strettamente necessari a rendere funzionale il manufatto.

È invece vietato in qualsiasi caso il conseguimento di interventi edilizi che comportino notevoli modifiche e vadano ad alterare la struttura dell’immobile, anche qualora fossero stati erroneamente assentiti dall’Amministrazione comunale.

Illecita la modifica della volumetria dopo l’istanza di condono

Nel caso in esame si rileva che, in seguito alla pronuncia di condanna nel 1998 e all’ingiunzione dell’ordine di demolizione nel 2013, la ricorrente aveva presentato istanza di condono lamentando l’incidente di esecuzione in virtù del fatto che l’immobile non superava il limite di 750 metri cubi disposto dalla Legge n. 724/1994 (Secondo Condono Edilizio), come era stato contestato.

Subito dopo la presentazione della domanda, tuttavia, la ricorrente aveva realizzato ulteriori opere che hanno comportato incrementi della volumetria, portando il manufatto a superare il limite suddetto, peraltro dopo la data ultima consentita per la conclusione delle opere condonabili, ovvero il 31 dicembre 1993.

Successivamente veniva presentata una CILA, approvata dal Comune, per provvedere alla demolizione della parte di volumetria eccedente realizzata in data successiva ai limiti di legge. A quel punto la ricorrente provvedeva, nel 2023, all’esecuzione dei lavori di demolizione (che hanno effettivamente interessato solo tramezzi interni e parte delle tompagnature esterne) allo scopo di far rientrare l’immobile nei limiti di volumetria disposti dalla normativa.

La Corte rileva che si tratta di un chiaro tentativo di aggirare indebitamente la normativa, in quanto non è in alcun modo ammessa la realizzazione di opere, seppur di demolizione, che comportino consistenti modifiche ad un manufatto dichiarato abusivo e oggetto di istanza di condono edilizio.

Dai fatti analizzati si evince infatti che l’immobile è stato effettivamente completato in data successiva a quella ultima prevista per il secondo condono.

Tale elemento da solo è sufficiente per determinare il diniego dell’istanza, tenendo conto anche del fatto che le opere realizzate non rientrano tra quelle consentite in seguito al termine per l’approvazione della sanatoria. Il ricorso è pertanto inammissibile.



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