Servizi tecnici: da equo compenso a equo ribasso

di Redazione tecnica - 28/01/2025

Secondo il Consiglio di Stato più che di equo compenso, è corretto parlare di equo ribasso, nel caso di appalti per l’affidamento di servizi di ingegneria e architettura.

Appalti pubblici ed equo compenso: per il Consiglio di Stato diventa equo ribasso

È destinata a far discutere la sentenza del Consiglio di Stato del 27 gennaio 2025, n. 594, che ha riformato la “celebre” sentenza del TAR Veneto 3 aprile 2024, n. 632, con cui il tribunale amministrativo, nell’ambito di una procedura per l’affidamento di servizi SIA per l’adeguamento antincendio e antisismico di una struttura ospedaliera, aveva accolto il ricorso e annullato l’aggiudicazione in favore di un OE per violazione della normativa sull’equo compenso.

La sentenza del TAR

Questi i punti cardine della sentenza di primo grado:

  • non vi è alcuna antinomia in concreto tra la legge n. 49/2023 e la disciplina del codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 50/2016: mediante l’interpretazione coordinata delle norme in materia di equo compenso e del codice dei contratti pubblici, il compenso del professionista è soltanto una delle componenti del “prezzo” determinato dall’Amministrazione come importo a base di gara, al quale si affiancano altre voci, relative in particolare alle “spese ed oneri accessori”;
  • sarebbe proprio su queste ultime che potrebbe manifestarsi la pressione concorrenziale, ferma restando invece la determinazione del compenso in termini di equità ai sensi della legge n. 49/2023 – la quale, sotto tale aspetto, stabilisce che è equo il compenso dell’ingegnere o architetto determinato con l’applicazione dei decreti ministeriali adottati ai sensi dell'art. 9, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1;
  •  e due tipologie di decreti ministeriali, ossia il d.m. 17 giugno 2016 e il d.m. n. 140/2012 adottato ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, sono costruiti con l’applicazione degli stessi parametri e la valorizzazione delle medesime voci;
  • lo stesso art. 9, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 disciplina unitariamente sia la determinazione dei compensi liquidabili giudizialmente al professionista, sia la determinazione degli importi da porre a base di gara da parte delle Amministrazioni.

Da ciò il primo giudice ha fatto derivare che:

  • il compenso determinato dall’Amministrazione ai sensi del d.m. 17 giugno 2016 deve ritenersi non ribassabile dall’operatore economico, trattandosi di “equo compenso” il cui ribasso si risolverebbe, essenzialmente, in una proposta contrattuale volta alla conclusione di un contratto pubblico gravato da una nullità di protezione e contrastante con una norma imperativa;
  • il confronto competitivo potrebbe comunque dispiegarsi sulle altre componenti di prezzo come spese e oneri accessori: nel caso di specie, il bando di gara non ha previsto, espressamente, l’applicazione della legge sul c.d. “equo compenso” e non ha precluso la formulazione di offerte economiche al ribasso sulla componente “compenso” del prezzo stabilito; tale lacuna, con riferimento ad un profilo sottratto alla libera disponibilità della Stazione appaltante, deve ritenersi eterointegrata dalle norme imperative previste dalla legge n. 49/2023 che ha stabilito la nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata secondo il meccanismo delle nullità di protezione. Ciò anche per evitare dolose o maliziose deduzioni postume della nullità successivamente alla stipula del contratto con conseguente riconduzione ad equità ed alterazione postuma dell’offerta.

Il TAR ha quindi concluso che nel caso di specie il ribasso offerto dall’aggiudicatario fosse superiore in entrambi i lotti al valore delle uniche voci soggette a ribasso (ossia spese e accessori) stante l’inderogabilità della voce sui compensi, motivo per cui l’aggiudicazione è stata giudicata affetta da illegittimità per violazione della disciplina imperativa sull’equo compenso.

La tesi della Stazione Appaltante

Da qui l’appello della SA, secondo cui:

  • i decreti ministeriali che fissano i parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, indicano anche la possibilità per il Giudice di procedere ad un aumento percentuale (c.d. “massimi”) o ad una riduzione percentuale (c.d. “minimi”) entro un range fissato dal decreto;
  • di contro, il decreto cui rinvia la disciplina sull’equo compenso discorre espressamente di “corrispettivi da porre a base di gara” e quindi da ribassare;
  • è dubbio che possa esservi un serio confronto concorrenziale se si limita il confronto all’importo fissato da d.m. per spese e accessori, le quali di contro dovrebbe ricadere nella nozione di equo compenso di cui all’art. 3 l. 49/2023;
  • infine, la lex specialis non potrebbe eteroinegrarsi con la disciplina imperativa sull’equo compenso: non vi era alcuna omissione da integrare nella lex specialis di gara, poiché la ridetta lex, lungi dall’omettere indicazioni in ordine alla formulazione del ribasso era inequivoca nel chiedere ai concorrenti di formulare un’offerta strutturata come “percentuale di sconto – ribasso … da applicare al compenso per la propria prestazione professionale per l’incarico oggetto di affidamento, comprensivo di ogni tipo di spese e compensi accessori”;
  • l’offerta dell’aggiudicataria, accusata di aver sovrastimato le spese generali e di aver considerato un costo del personale “ampliamente inferiore ai compensi previsti dalla disciplina di gara” ra invece congrua;
  • la non ribassabilità del compenso determinato ex d.m. 17.6.2016 è conforme alla disciplina UE in punto di tutela della concorrenza.

In sostanza, per la SA l’esclusione della formulazione di ribassi sui compensi si tradurrebbe nell’imposizione, da parte del legislatore, di tariffe obbligatorie prive di flessibilità, idonee ad ostacolare la libertà di stabilimento, di prestazione di servizi e la libera concorrenza nel mercato europeo, con particolare riferimento alla peculiare cautela con cui la Direttiva 123/2006/Ce affronta le “tariffe obbligatorie minime o massime” come possibile ostacolo alla libera prestazione dei servizi.

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